Nome Completo: Vincenzo Verzeni
Soprannome: il Vampiro di Bergamo, il Vampiro della Padania
Nato il: 11 aprile 1849
Morto il: 23 luglio 1874
Vittime Accertate: 2
Modus operandi: Avvicinava le sue vittime in luoghi isolati, per poi aggredirle all'improvviso provando a strangolarle e in caso di morte procedeva poi ad atti di mutilazione, vampirismo e cannibalismo.
Ultimo aggiornamento del dossier: 20 settembre 2015
Benché Vincenzo Verzeni, ribattezzato dalla stampa il Vampiro di Bergamo, abbia avuto all’attivo solo due vittime, è rimasto impresso nell’immaginario collettivo italiano per l’efferatezza dei sui delitti e per la sua aberrante sete di sangue. E non vi è dubbio che, se non fosse stato catturato dopo "soli" due omicidi, le sue gesta di morte sarebbero proseguite ancora.
Attivo già dall’età di diciotto anni (concluderà la sua breve "carriera criminale" a ventidue), è inoltre il primo serial killer italiano di cui si abbia una seria e dettagliata documentazione, grazie agli studi su di lui condotti dal famoso antropologo e criminologo Cesare Lombroso.
Questa, raccontata sulle pagine di LaTelaNera.com da Alessandro Nespoli e Alessio Valsecchi, è la sua storia...
Vincenzo Verzeni: la famiglia difficile e la povertà
Vincenzo Verzeni nasce a Bottanuco, un piccolo paesino in provincia di Bergamo, situato sulla riva sinistra del fiume Adda, l’11 aprile 1849. Alto 1,66 per 68 kg di peso, a vent'anni Vincenzo è quello che comunemente si può definire "un bravo ragazzo", silenzioso, docile e molto solitario. Ma dietro quella calma apparente, si cela una personalità pericolosamente borderline.
Verzeni, come molti assassini seriali, proviene da una situazione familiare decisamente complessa: un padre contadino alcolizzato e violento e una madre remissiva e bigotta (oltre che malata di epilessia). A chiudere questo triangolo all’insegna del precariato emozionale vi è un’inguaribile avarizia, che pone costantemente i membri della famiglia gli uni contro gli altri.
Questo clima, altamente patogeno, concorse ad alimentare le instabili fantasie del Verzeni, il quale non perse tempo a dare sfogo alla sua crudeltà, trasformandosi in un incubo lungo quattro anni, dal 1870 al 1873.
Vincenzo Verzeni: gli omicidi
La prima vittima accertata di Vincenzo Verzeni risale all’8 dicembre 1870. Si tratta della quattordicenne Giovanna Motta, uccisa in aperta campagna.
La ragazzina si stava recando a Suisio da alcuni parenti, ma non vi giunse mai. Aggredita da Verzeni, scomparve per sempre, come inghiottita dalla campagna bergamasca.
Il suo corpo, orribilmente mutilato, fu trovato solo quattro giorni dopo. Nuda e squartata, a Giovanna Motta le erano stati asportati gli organi genitali e le interiora, quest’ultime rinvenute successivamente in un cavo di gelso. Il collo presentava numerosi morsi, mentre una parte del polpaccio era stata asportata con inaudita ferocia. Su una pietra, posta vicino al cadavere, vennero rinvenuti dieci spilloni disposti a raggiera.
È possibile ipotizzare, data la presenza di questi oggetti, che il Verzeni fosse affetto anche da piquerismo, ma che non si sia spinto oltre, forse interrotto da qualcuno o perché tornato in sé. Non vi sono tuttavia prove che inducano a ritenere che l’assassino abbia abusato sessualmente della ragazzina, vista e considerata l’asportazione dei genitali.
Dopo otto mesi e diciannove giorni, e precisamente il 27 agosto del 1871 (alcuni asseriscono che si tratti del 1872), il Vampiro torna a colpire. La seconda vittima, Elisabetta Pagnoncelli, viene ritrovata pressappoco come la precedente vittima: squartata e con vistose tracce di morsi sul collo.
Vincenzo Verzeni: le aggressioni
La follia di Vincenzo Verzeni era già scoppiata in precedenza. Pur non esitando in omicidi, durante queste aggressioni si delinearono le sue tristemente note, inclinazioni patologiche.
Nel 1867 tenta di mordere alla gola e di bere il sangue della cugina Marianna mentre questa dormiva, ma la ragazza, svegliatasi di soprassalto, si mise a urlare, mettendolo subito in fuga.
Nel 1869 un’altra giovane donna, tale Barbara Bravi, viene aggredita da uno sconosciuto. Anche in questo caso le sue urla bastarono a mettere in fuga l’ignoto aggressore. Successivamente, la Bravi, pur non avendo visto bene in volto il suo aguzzino, non escluderà a priori che si possa trattare di Verzeni.
Sempre nel 1869, viene aggredita Margherita Esposito e questa volta Verzeni viene identificato con molta precisione. Nella dura colluttazione, la Esposito riesce a colpire e a ferire visibilmente Verzeni. Sempre nello stesso anno accade un fatto curioso. Un’altra donna, Angela Previtali, viene stordita e condotta in una zona disabitata. Ma alla fine il Verzeni, mosso a compassione, la libera.
Il 10 aprile del 1871 è la volta di Maria Galli, la quale viene importunata da un uomo che in identifica come Vincenzo Verzeni.
Il 26 agosto del 1871, il giorno prima dell’omicidio di Elisabetta Pagnoncelli, il mostro aggredisce Maria Previtali, spingendola e cercando di morderla alla gola.
Vincenzo Verzeni: arresto, processo e morte
Vincenzo Verzeni fu arrestato nel 1873 e posto immediatamente sotto processo. L’incarico di stendere la sua perizia psichiatrica fu affidato a Cesare Lombroso, riconosciuto padre dell’odierna criminologia, il quale, dopo attenti esami (compreso quello frenologico), giunse a definire Verzeni: "un sadico sessuale, vampiro, divoratore di carne umana."
Nonostante questa valutazione, Lombroso non arrivò mai a sostenere che gli omicidi commessi dal Verzeni fossero stati compiuti in uno stato di completa infermità mentale, pur rilevando che la nella famiglia dell’omicida vi erano già stati casi di alterazioni mentali. Lombroso stabilì che il padre dell’omicida, oltre che alcolizzato e violento, soffriva di ipocondria, mentre uno zio era affetto da iperemia cerebrale, termine medico per indicare un aumento di sangue in una data parte del corpo.
Durante il processo l’omicida ammise:"Le graffiature che si trovarono sulle cosce non erano prodotte con le unghie ma con i denti perché io, dopo averla strozzata, la morsi e ne succhiai il sangue che era colato, con la quale godei moltissimo."
Verzeni scampa al plotone d’esecuzione e viene condannato ai lavori forzati a vita, ma non resisterà a lungo.
Il 13 aprile del 1874 viene trasferito nel manicomio giudiziario di Milano dove viene sottoposto a torture di ogni genere. Qui l’omicida vive nell’isolamento e nell’oscuramento più totali, ricevendo gettiti d’acqua gelata fatti calare da tre metri d’altezza, seguiti da bagni bollenti e scosse elettriche.
In seguito a questo brutale trattamento, il mostro si chiude in un mutismo totale fino al 23 luglio del 1874, quando gli inservienti del manicomio lo trovano morto nella sua cella. Verzeni è nudo, solo con calze e pantofole, impiccato a un’inferriata.
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