Richard "The Iceman" Kuklinski: l'ultimo chiaro di luna
Per Richard Kuklinski il denaro contava molto. Se ne avevi eri un uomo di successo, se non ne avevi eri una nullità qualunque che si vedeva sfilare impotente il bello della vita davanti agli occhi. Ma il suo problema principale era quello di avere le mani bucate: più soldi possedeva e più ne spendeva e sperperava al gioco d'azzardo, solamente che la differenza tra lui e una persona normale stava nel fatto che Richard, quando i soldi scarseggiavano, diventava nervoso e violento, molto violento.
Dopo diversi lavori su commissione, tra cui l'eliminazione di un certo Paul Rothenberg, suo socio in affari e con il quale aveva in mano l'intera produzione e distribuzione di videocassette porno di tutta New York, Kuklinski divenne ancor più legato a Roy DeMeo, ma, cosa ancora più importante, aveva aperto il collegamento con Nino Gaggi e, per il suo tramite, con la famiglia Gambino.
Un giorno DeMeo lo aveva invitato a pranzo in un ristorante tipico italiano, La Villa, nella zona di Bensonhurst. Il locale si trovava verso la Ventiseiesima Avenue, un vecchio edificio con delle colonne sulla facciata. Servivano piatti espressi della cucina napoletana, quella che Gaggi preferiva. In quel posto tutti sapevano chi era Nino Gaggi e lo accoglievano come se si trattasse di un nobile principe italiano: appena arrivava, in un attimo tutto il meglio dei cibi e dei vini era a sua disposizione, lo staff dei camerieri sull'attenti. Ovviamente Gaggi era soddisfatto del lavoretto di Richard che aveva tolto di mezzo l'infido Paul Rothenberg e gli aveva assicurato che gli avrebbe fatto guadagnare dei bei quattrini.
Da parte sua Roy DeMeo si comportava come il mentore di Richard, come se quel killer spietato fosse una sua creatura... una specie di segreto Mostro di Frankenstein, una implacabile macchina di morte capace di onorare qualsiasi impegno, per quanto pericoloso fosse.
Grazie all'intercessione di DeMeo, Kuklinski avrebbe potuto dunque diventare un membro dell'armata di sicari che faceva capo al clan Gambino. Il fatto che non fosse italiano e non avesse mai avuto rapporti con gang organizzate di killer era un credito in più per lui, perché, qualora fosse stato necessario, avrebbe potuto mettersi al servizio dell'una o dell'altra famiglia indifferentemente, come libero professionista.
La settimana dopo DeMeo ricontattò Richard, invitandolo al Tappan Zee Bridge, divenuto classico luogo di incontro tra i due, in cui gli venne proposto un nuovo lavoro, un qualcosa di speciale: a Miami, un cubano aveva pensato bene di rapire e stuprare la figlia quattordicenne di un affiliato di DeMeo: non era stato riconosciuto, perchè si era coperto il volto con una bandana, ma la sicurezza che fosse lui era ben radicata. Dopo avergli spiegato dove potesse trovarlo, a Richard gli venne ordinato di farlo soffrire molto, moltissimo. Salutandosi con una stretta di mano e con ventimila dollari in più nelle tasche di Richard, quest'ultimo partì immediatamente per Miami.
Il giorno dopo si era messo in viaggio, senza fermarsi lungo il tragitto, né per mangiare un boccone né per riposare. Aveva guidato fino a destinazione senza mollare. Al posto di rifornimento, per verificare il livello dell'olio e fare il pieno di benzina, aveva pagato in contanti. Possedeva una carta di credito, ma non voleva lasciare traccia alcuna di quel suo spostamento. Non disponeva di una fotografia del bersaglio, ma DeMeo gli aveva precisato qual'era la sua automobile, che teneva posteggiata nel parcheggio destinato agli impiegati dell'hotel, e gli aveva anche segnalato il numero di targa.
Le persone che Richard odiava di più erano gli stupratori. Mentre guidava, immaginava quale reazione avrebbe potuto avere se qualcuno avesse commesso una cosa simile nei confronti di una delle sue figlie... la rabbia e l'odio, sfociando immancabilmente nell'omicidio.
Così come era del tutto indifferente al cospetto della sofferenza di un uomo, Richard era invece fortemente empatico e solidale nei confronti delle giovani ragazze che subivano quel genere di violenza. Per questo stava già pregustando quell'omicidio come qualcosa di molto stuzzicante. Era un lavoro che si apprestava a fare volentieri, al punto che, se glielo avessero chiesto, l'avrebbe svolto anche gratuitamente, senza compenso.
Come sua abitudine, Richard non si era messo in azione spinto dalla fretta di fare ma aveva ponderato al meglio le sue possibilità d'intervento. Si era portato dietro una calibro .38 caricata con proiettili a palla appuntiti e un coltello da caccia, affilato meglio di un rasoio, dalla lama leggermente incurvata. Ogni volta che uccideva qualcuno con un coltello, aveva preso l'abitudine di segnare una tacca sul manico. Su quello che si era portato dietro aveva già quattro tacche.
Raccontava: "Non ricordo bene quando mi è venuta questa mania, so solo che a un certo punto ho incominciato a segnare con delle tacche sul manico dei coltelli ogni omicidio portato a buon fine. Un pò come facevano, e forse fanno ancora, i pistoleri. Nel corso degli anni ho utilizzato dozzine di pugnali per uccidere. Il manico di alcuni è arrivato a riportare 10-15 tacche. A quel punto me ne liberavo, li gettavo via".
Per quel lavoro aveva pensato di usare proprio un coltello. Ammazzare con una lama gli piaceva in modo particolare, perchè era un gesto molto diretto e personale, che costringeva all'essere vicino, in intimo contatto con la vittima. Gli piaceva vedere la vita abbandonare gli occhi del morente, una soddisfazione ancora maggiore se si trattava di uno stupratore, come in quel caso.
Insomma, si sarebbe divertito.
La vittima risiedeva in un complesso residenziale a tre piani lungo la Collins Avenue, accanto alla Settantesima, che si affacciava sia sull'oceano che sulla grande arteria. Presa una stanza in un hotel vicino, dopo aver ben pranzato, aveva parcheggiato nel posteggio alla ricerca della targa segnalatagli da DeMeo. Non l'aveva trovata.
C'erano in pratica due turni: dalle 8 del mattino alle 4 del pomeriggio e da quest'ora fino a mezzanotte. Era il pieno inverno del 1974 e il parcheggio era zeppo. Doveva stare molto attento a non farsi notare dal bersaglio. Se n'era andato, ma solo per ritornare alle 15:30. Non aveva dovuto attendere molto.
Il cubano era arrivato, aveva parcheggiato, era sceso fischiettando, del tutto ignaro di quello che avrebbe potuto capitargli. Aveva una Chevy rossa mezza scassata, la targa era quella, corrispondeva. Quando aveva inquadrato il soggetto, Richard in un baleno aveva realizzato come portare a buon fine il lavoro e ancora una volta se n'era andato. Adesso non era che una questione di tempo.
Alle 23:30 di quella stessa notte era di nuovo in macchina, nel parcheggio del complesso residenziale. Appena al di là della strada c'era il Nebas, un ritrovo per giovani, dove si accalcava un pò di gente. Parcheggiato il suo van professionale nel posto libero più vicino alla macchina del cubano, era sceso, gli aveva squarciato una gomma ed era tornato sulla sua auto. Il metodo era ben collaudato e lo aveva applicato in molte occasioni. Aveva già anche predisposto dove avrebbe portato la vittima una volta catturata, un palmeto isolato in riva all'oceano a circa un'ora e mezza da lì.
Verso mezzanotte il bersaglio era arrivato a prendere la macchina. Accortosi della gomma bucata, si era messo a imprecare mentre apriva il cofano per recuperare la ruota di scorta. Aveva appena voltato le spalle che già Kuklinski gli puntava la pistola contro la schiena. Lo intimò di seguirlo, con una voce distaccata e fredda, quasi fosse quella artificiale di una registrazione telefonica.
A questo punto gli aveva mostrato la pistola e lo trascinò fino al suo van. Qui l'aveva cacciato dentro, gli aveva stretto le mani dietro la schiena e infilato uno straccio in bocca sul quale aveva poi applicato il solito pezzo di nastro isolante grigio da idraulico. Salito al posto di guida, con tutta calma aveva fatto manovra ed era uscito dal parcheggio.
Il tutto non era durato più di un paio di minuti.
Mentre procedeva lungo la Collins Avenue in direzione nord si era rivolto al malcapitato passeggero, spiegandogli il motivo di tale gesto e come mai avesse scelto proprio lui come bersaglio. La vittima, impossibilitata a parlare, emetteva soltanto versi e mugugni, ma si tranquillizzò subito dopo qualche minaccia esplicita da parte di Richard.
Quello che era strano in lui, non erano tanto le parole che diceva, quanto il modo, algido e distaccato, con cui le pronunciava, quasi come se ogni parola fosse un taglio, una ferita inflitta con un coltello affilato. Richard approfittò anche del fatto di stuzzicarlo un pò, rendendo il tutto molto più divertente e intrigante, dicendogli addirittura che prima di ucciderlo doveva farlo soffrire moltissimo, che lo avevano pagato proprio per quel motivo.
Imboccata una stradina sterrata che conduceva nel cuore di quella isolata e selvaggia distesa di palme, giù verso la spiaggia. Infilati i soliti guanti in plastica, Richard aveva fatto scendere la vittima, lo condusse verso una palma e qui lo legò per bene con una robusta corda gialla di nylon. A questo punto l'uomo era precipitato nel panico più totale: Kuklinski gli mostrò il coltello e la sua lama affilata sulla quale i raggi della luna di quella notte sembravano rimbalzare, mettendo ancora più in evidenza il filo perfetto. Gli aveva fatto scendere pantaloni e mutande, quindi, afferrati i testicoli con una mano, con l'altra glieli aveva staccati di netto con un colpo di coltello.
Un dolore parossistico era esploso nell'uomo privato degli attributi. Gli occhi fuori dalla testa, aveva visto i suoi genitali in mano al killer. Lasciando passare qualche minuto affinché il malcapitato si riavesse dallo spavento e dal dolore, Richard non perse tempo per continuare a punzecchiarlo verbalmente, si stava divertendo un mondo. Riprese subito dopo con il lavoro e, preso questa volta il pene tra le mani, glielo amputò, mostrandoglielo poi in contemporanea a una sadica risata, mentre ancora la ferita zampillava sangue.
Poi, infilò il trofeo in un sacchettino per conservare morbidi i sandwich che si era portato dietro apposta, in modo tale da avere le prove da esibire al committente e dimostrargli che realmente il malcapitato avesse sofferto.
Tornato dalla vittima, l'aveva completamente denudata. Poi col coltello aveva incominciato a farla letteralmente a fettine. Staccava lentamente delle strisce di carne, come delle piccole bistecche da fare arrosto. Ogni volta che ne tagliava una, gliela mostrava, con un sorriso.
In breve l'uomo era diventato una cosa orribile a vedersi anche alla pallida luce argentea della luna di Miami. Di nuovo Richard era tornato al van. Si era procurato un barattolo di sale e ora si divertiva a cospargerlo a profusione sulle tante lacerazioni fresche che gli aveva inflitto. Sapeva che quel tocco aggiuntivo avrebbe provocato una sinfonia di dolore ancora più straordinario. Aveva lasciato tempo al sale di svolgere la sua azione.
A questo punto, aveva affondato completamente il coltello nel basso ventre dell'uomo e gli aveva squarciato la pancia. Le budella erano scivolate fuori dal corpo ed erano rimaste penzoloni per qualche momento, simili a serpenti scuri che si agitavano nervosi dentro una gabbia.
Infine lo liberò dalla palma, gli infilò un salvagente e lo trascinò fin sulla spiaggia, al limite dell'acqua.
Con la voglia di punzecchiarlo e renderlo più o meno conscio di quello che gli stava facendo, Richard spiegò che una volta in acqua i pescecani non ci avrebbero impiegato più di un secondo a trovarlo, sentendo l'odore del suo sangue, specialmente in quella zona dove se ne avvistavano molti, assieme agli squali tigre.
Con questa benedizione, lo trascinò e spinse in acqua, affidandolo al mare.
Poi ritornò sul suo van, raccolse tutti i pezzi di carne staccati dal corpo dell'uomo e li gettò in mare. Completato anche questo lavoro, contento e rilassato più che mai, se ne tornò in hotel per mangiare qualcosa e per riposarsi, dopo la grande fatica appena fatta.
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