Perizie, valutazioni cliniche e la condanna del 2007
Dopo l’arresto Pedro Pablo Nakada viene visitato da differenti psichiatri. Alla fine, il collegio medico determina che l’assassino non è schizofrenico, ma soffre di un disordine della personalità.
Insomma, è in grado di stabilire la differenza tra il bene e il male.
I suoi crimini, dicono i dottori, sono in gran parte premeditati e in ogni assassinio c’è di mezzo una buona parte di calcolo. Nakada, insomma, è un delinquente comune e come tale va giudicato.
Secondo alcuni si tratta di una soluzione politica, che risponde alle pressioni di pubblico ministero, parenti delle vittime e mezzi di comunicazione che chiedono una condanna esemplare a fronte della ventilata possibilità di una degenza in un ospedale psichiatrico.
Il tribunale fa il suo dovere e nei primi mesi del 2007 condanna Pedro Nakada a 35 anni di carcere.
Il condannato dà in escandescenze. Vuole che lo uccidano, chiede la fucilazione, perché nella sua mente contorta pensa che deve essere così. Come lui uccideva le sue vittime perché colpevoli di essere andate contro la morale della società, così, se ritenuto colpevole, anche lui deve essere ucciso.
Non sopporta l’idea di finire in una cella e già la prima notte di detenzione tenta di nuovo il suicidio, proprio come quando era stato arrestato. Viene salvato dalle guardie e quindi tenuto in costante osservazione per evitare che compia di nuovo un gesto estremo.
La revisione del processo nel 2009
Sembra tutto finito, ma la difesa nel 2009 ottiene la revisione del processo e questa volta il panorama cambia. Nakada, dicono periti ed esperti, è davvero schizofrenico e legalmente non può rimanere nel carcere di Carquín tra i detenuti comuni.
Una sentenza annulla la condanna anteriore, non nella sostanza - rimane fermo il verdetto a 35 anni di prigionia - ma nella forma.
Nakada viene trasferito al reparto psichiatrico della prigione di Lurigancho a Lima, dove ancora oggi sta scontando la condanna completa.
La nuova sentenza divide l’opinione pubblica e gli esperti. Sono in tanti a credere che Nakada finga la malattia mentale e che alcuni degli omicidi siano stati perpetrati solo per futili motivi, dal furto alla vendetta verso chi, a conoscenza del suo segreto, l’avrebbe potuto tradire.
Una delle vittime, infatti, era il suo socio ai tempi dei furti d’auto. Un’altra sarebbe stato testimone di uno degli omicidi.
Inoltre, non si spiegherebbe perché Nakada abbia sempre sottratto alle vittime gli averi di cui erano in possesso al momento della loro morte: soldi, gioielli, moto, auto, oggetti personali.
Di fatto, Nakada a Lurigancho si comporta da detenuto modello e diventa un discreto artigiano, che intaglia i motivi classici della cultura incaica che piacciono tanto ai turisti.
Secondo i colpevolisti, si tratta solo di un altro espediente per usufruire di maggiore libertà e poter scappare senza troppe difficoltà, in modo di mantenere la promessa che ha fatto ai giudici durante il processo: "una volta libero, ritornerò a uccidere".
Voci o no, ripulire il mondo dalla feccia rimane la sua missione.
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