Nikolai Dzhumagaliev (pagina 3)

Nikolaj Džurmongaliev: Altri omicidi e secondo arresto

Zanna di Metallo riprende da dove aveva lasciato. L’instabile misticismo che permea le sue folli gesta evolve ulteriormente.

Dalle dichiarazioni dell’omicida, l’8 novembre 1980 si sveglia nel suo letto accanto alla sua ultima partner occasionale, che dorme ubriaca. È tormentato da un dubbio: “Magari sono io che sbaglio a non avere rimpianti?”. Con una consecuzione difficile da seguire, squarcia poi la gola della donna e beve il suo sangue direttamente dalla ferita.

“Nel libro Black Mist avevo letto che se si taglia la gola di una persona e la si fissa da vicino si può vedere l’anima che lascia il corpo. Ho guardato e guardato, ma non l’ho vista…”

Stando alle parole dell’omicida, in quel testo erano descritte alcune antiche pratiche divinatorie germaniche, secondo le quali era possibile ottenere poteri straordinari attraverso il sacrificio umano e l’assunzione del sangue delle vittime, in particolare delle vergini.

Tra questi poteri ci sarebbe quello della preveggenza, che Zanna di Metallo afferma di aver effettivamente ottenuto, profetizzando il proprio destino con esattezza dall’80 all’88, e vagamente fino al 2000. Senza voler minimamente suggerire che tali farneticazioni abbiano alcun fondamento, ho comunque ritenuto interessante fare qualche ricerca a riguardo.

Il libro in questione non è semplice da identificare. Alcuni siti internet lo descrivono come “un raro incunabolo”, oppure “un testo mistico medievale”, ma non mi è stato possibile risalire a niente del genere neppure negli archivi dedicati. Sospetto che il passaggio cui fa riferimento Dzhumagaliev sia in realtà tratto da qualche brano di un’omonima antologia pubblicata in lingua Russa nel 1976, a cura di Vishnevskaya e Vyukov, ma non posso confermarlo.

Si noti, comunque, l’incongruenza tra la missione dichiarata di Nikolai Dzhumagaliev - punire le donne lascive - e il requisito della verginità delle vittime sacrificali. La filosofia pseudo musulmana originale cede il passo a una forma di sincretismo incoerente, rinunciando a qualsiasi vaga pretesa di logicità.

Il definitivo tracollo mentale del cannibale è evidente nell’episodio che ha portato alla sua cattura sulla fine del 1980, sicuramente il più celebre.

Una foto del serial killer kazako Nikolai Dzhumagaliev in manette

Alle cinque di mattina del 18 dicembre, un cittadino terrorizzato chiama la centrale di polizia asserendo di aver visto Nikolai Dzhumagaliev massacrare una donna. Gli agenti sono increduli: “Nikolai è un bravo ragazzo”, avrebbe commentato uno di loro di primo acchito.

La sera precedente, Kolya aveva invitato degli amici a casa. La scena era quella consueta: vodka a fiumi e ragazze facili. Il mostro e la sua ignara vittima, Zoya, si appartano in un’altra stanza – per fare sesso, avranno tirato a indovinare gli altri conoscendo la disinvoltura di Nikolai. Lo psicopatico bramava invece l’ennesimo sacrificio in nome di antiche leggende.

Nell’altra stanza sgozza Zoya e ne beve il sangue mentre ancora zampilla dalla carotide, poi scola il resto in una grossa ciotola. I resoconti variano notevolmente da questo punto in poi, e le rielaborazioni sensazionalistiche abbondano. La ricostruzione che segue è quella che mi pare più plausibile nella sua semplice, folle crudeltà.

Uno dei compagni di bevute di Dzhumagaliev, forse notando che ormai mancava da parecchio o magari solo per salutare prima di andarsene, decide di andare a controllare che fine avesse fatto il suo ospite. Varcata la soglia dell’altra stanza, scopre l’amico mezzo nudo e completamente coperto di sangue, intento a macellare i resti della povera Zoya. Il maniaco è completamente assorto nella sua opera, e non si accorge neppure di essere stato scoperto. Gli invitati si danno alla fuga, e qualcuno chiama la milizia.

Al loro arrivo, gli agenti sono sconvolti dalla brutalità della scena. Solo allora Dzhumagaliev realizza cosa sta succedendo. Perquisendo la casa trovano un barile dove l’assassino aveva conservato in salamoia le parti più pregiate delle sue vittime per un consumo successivo.

I miliziani sono del tutto impreparati a fronteggiare uno scenario del genere. Zanna di Metallo, al contrario, recupera rapidamente la sua lucidità e sfrutta la prima distrazione per dileguarsi nella notte. Molte fonti affermano che sia fuggito con un’ascia, ma vista la presenza della polizia sembra piuttosto improbabile.

Uzun-Agach si trova a 814 metri sul livello del mare, ormai è quasi inverno. Nikolai deve trovare un riparo o morirà assiderato. La polizia comincia dai posti più ovvi, perquisendo le abitazioni dei parenti.

La caccia all’uomo sembra infruttuosa finché, durante l’ispezione nella casa di un cugino del ricercato, un miliziano nota delle assi sconnesse sul pavimento. Dzhumagaliev è nascosto lì sotto.

Subito dopo la cattura avrebbe detto:
“Volevo farmi arrestare. Ho ucciso molta gente, ma non ho mai visto l’anima uscire. Forse vuol dire che non abbiamo un’anima?”


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