Nikolai Dzhumagaliev, la storia del serial killer

Nome Completo: Nikolai Yespolovich Dzhumagaliev

Soprannome: Kolya l’Orco, Zanna di Metallo

Nazionalità/Paese: Kazakistan

Data di Nascita: 15 novembre 1952

Segno Zodiacale: Scorpione

Data del primo arresto: 19 dicembre 1980

Data di morte: in vita

Periodo degli omicidi: 1979-80, 1989-91, 1994-95?

Vittime accertate: 10

Vittime presunte: 50+

Modus operandi: inizialmente sceglie le sue vittime tra le passanti, quindi le segue o le rintraccia per ucciderle nella notte con un coltello o un’ascia. In evoluzione smette di seguire questa prassi, aggredendo le vittime anche in casa loro, oppure assassinandole dopo un rapporto sessuale consensuale. In ogni caso, dopo l’uccisione di una donna si abbandona alla necrofilia, beve il suo sangue e si nutre delle sue carni, asportandone infine delle parti per consumarle in seguito, servirle ai suoi ignari ospiti o alla vittima successiva.


Sulle pagine di LaTelaNera.com dedicate agli assassini seriali presentiamo oggi la storia di Nikolay Dzhumagaliev, un criminale che per anni è stato considerato uno dei peggiori serial killer russi (o, più precisamente, dell'Unione Sovietica) mai esistiti. Oggi, in seguito alla disgregazione della USSR, è "semplicemente" il più noto e crudele omicida in serie del Kazakistan, la nazione riconosciuta come tale nel 1991, l'ultima ad aver annunciato l'indipendenza dall'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

Nonostante abbia operato per un arco di tempo piuttosto limitato, Dzhumagaliev (conosciuto anche come Nikolaj Džurmongaliev) è stato uno dei più feroci assassini seriali dell’epoca sovietica. Recentemente è stata provata la sua responsabilità per la decima vittima, ma si ipotizza che il numero effettivo possa arrivare a dieci volte tante.

Ematofago, necrofilo e cannibale, sceglieva i propri bersagli tra le donne di età compresa tra i venti e i quarantacinque anni, impegnato in una guerra personale contro il matriarcato e la lascivia.

Fu arrestato per la prima volta nel 1979, a causa di un incidente apparentemente slegato dagli omicidi, e prontamente rilasciato a dispetto di una diagnosi di schizofrenia. All’incirca un anno più tardi fu identificato come Kolya l’Orco, e dopo una breve fuga catturato dalle autorità.

La sua storia di insensata brutalità non era però destinata ad arrestarsi: dieci anni più tardi, ritenuto erroneamente sulla via della guarigione, evase durante il trasferimento a una struttura di minima sicurezza. Il massiccio dispiegamento di uomini e mezzi messo in campo per rintracciarlo, astutamente depistato dall’omicida, si dimostrò inutile.

Zanna di Metallo (così era soprannominato) vagò libero fino al 1991 quando, ormai stanco di fuggire, cercò di farsi arrestare per un reato minore spacciandosi per un profugo cinese. Nonostante fosse stato identificato, dopo tre anni fu sorprendentemente assegnato alle cure della famiglia, ma fuggì presto da Uzun-Agach e si nascose tra le montagne.

Arrestato per la quarta e ultima volta nel 1995 mentre cercava di espatriare. Attualmente è detenuto presso l’ospedale psichiatrico di Almaty, dove è condannato a rimanere fino alla fine dei suoi giorni.

Nikolay Dzhumagaliev, un personaggio spaventoso reso ancora più suggestivo dalla dentiera di metallo che gli è valsa il soprannome dopo la cattura, è diventato il fulcro di dicerie e leggende spesso infondate. Per LaTelaNera.com l'autore Alessio Lanterna ha cercato di fare chiarezza scavando tra le fonti russe, delineando un profilo che non ha alcun bisogno di fantasiose integrazioni per essere definito terrificante.


Nikolaj Džurmongaliev: famiglia, infanzia e adolescenza

Nikolaj Yespolovich Džurmongaliev nasce a Uzun-Agach, in territorio Kazako, il 15 novembre 1952 (altre fonti minori segnalano però l'1 gennaio o l'1 settembre come sua data di nascita). Padre kazako e madre bielorussa, Nikolay è il terzo e penultimo figlio di una famiglia benestante di Uzun-Agach (o Uzynagash), l’unico maschio. Secondo alcune fonti, eredita dal padre una rigida visione del mondo di matrice islamica radicale, sulla base della quale, in età adulta, costruirà l’inverosimile razionale delle sue azioni.

Pur dimostrando di essere un ragazzo sveglio, è uno studente mediocre. Conclude le scuole medie nel 1968, e continua la sua istruzione presso la scuola tecnica ferroviaria.

Lavora brevemente a Guryev nel 1970, prima di essere chiamato per il servizio di leva nei reparti di difesa chimica di base a Samarcanda, in seguito dispiegati a Otara.

Congedato due anni più tardi, Nikolay Dzhumagaliev tenta senza successo di accedere alla facoltà di prospezione geologica dell’università del Kazakistan. Prova a diventare un pilota professionista, ma è un altro fallimento.

Decide infine di cercare la sua strada vagando per l’Unione Sovietica, abbandonando temporaneamente il paese d’origine a una cinquantina di chilometri da Alma-Ata (oggi Almaty).

Dopo l’arresto descriverà così le sue esperienze sessuali di questo periodo:
“Ho iniziato a fare sesso sin dal 1970, quando avevo diciotto anni, e ho sempre avuto un paio di ragazze. Mi è sempre piaciuto, ma non so perché”.

Ci sono almeno tre particolari degni di nota riguardo a questo periodo, che è piuttosto mal documentato.

In primo luogo, non esistono riscontri di alcuno dei segnali precursori della Triade di Macdonald o dell’ematofagia. Secondo alcune fonti, il giovane Nikolay non poteva neppure essere definito particolarmente solitario – un ragazzo come tanti, insomma.

Secondo, non esistono informazioni attendibili su quando e come abbia perso i suoi denti naturali. Vista la relativa agiatezza della famiglia e le unanimi descrizioni che lo dipingono come un uomo in salute, persino piacente, appare improbabile che la causa sia la semplice malnutrizione. Ciò circoscriverebbe il campo a una malattia, un incidente o un atto di violenza.

Negli ultimi due casi, il trauma potrebbe aver comportato un danno cerebrale o settale, che potenzialmente spiegherebbe l’assenza dei precursori testé menzionata.

Terzo e ultimo fatto oscuro della gioventù di Dzhumagaliev è la scomparsa di una delle sorelle, che una singola fonte colloca nel 1967. Interrogato sul punto, Kolya l’Orco ha declinato ogni responsabilità, liquidando sommariamente l’argomento come qualcosa di scarso interesse. Non risultano indagini successive a riguardo.


Nikolai Dzhumagaliev: maturità e primo omicidio

Abbandonata l’ambizione di una formazione superiore, Nikolai Dzhumagaliev – che aveva il vezzo di definirsi discendente di Gengis Kahn - lavora brevemente come elettricista nel suo villaggio natio prima di cominciare a spostarsi per l’Unione Sovietica.

Pratica vari lavori saltuari, senza mai fermarsi nello stesso luogo per più di tre mesi. Si ha notizia di un suo impegno come mozzo nell’Atlantico, elettricista per la società GRES a Pechora, partecipante a una spedizione nel Komi (forse la Kama Ethnographic Expedition avviata nel 1975), autista di mezzi pesanti a Aldan, infine manutentore di linee elettriche a Murmansk, Salechard, Bilibino e Magadan.

Ovunque vada, Džurmongaliev stenta a integrarsi. Più tardi dichiarerà di essere stato disgustato dalle donne del nord, che bevevano, fumavano, imprecavano e dormivano con chiunque.

Dopo tanto vagabondare, nel 1977 Dzhumagaliev ritorna a casa, dove trova impiego come vigile del fuoco e lavora fino al primo arresto.

Secondo le sue dichiarazioni, è durante i turni di notte che matura la sua allucinante filosofia omicida, impiegando ben due anni per svilupparla e pianificare il primo delitto. Tuttavia, tali affermazioni sembrano più che altro un tentativo di giustificazione ex post, in particolar modo vista la sua condotta sessuale.

A dispetto del suo dichiarato odio per la promiscuità delle donne straniere, Nikolai ha infatti un discreto successo con il gentil sesso, e non si risparmia a rapporti occasionali con donne di etnia non khazaka. Per sua stessa ammissione, mantiene anche una relazione stabile con Tatiana Ya fin dal ‘77, che perdura almeno fino al primo arresto.

Appare invece credibile la descrizione di un macabro sogno ricorrente, nel quale vedeva parti smembrate di corpi femminili fluttuare attorno a sé.

È generalmente accettato che la discesa nella follia di Džurmongaliev sia stata contrassegnata da tre tappe fondamentali, due disavventure sessuali e una grave delusione amorosa. Nel corso degli esami psichiatrici effettuati più tardi, Zanna di Ferro afferma di aver contratto la sifilide da Tatiana P. e la tricomoniasi da un’altra ragazza, Lyuba (altre fonti la chiamano Olga), rispettivamente nel ’77 e nel ’78.

Questi episodi rafforzano la sua convinzione che tutte le donne siano sgualdrine, tant’è che dopo l’arresto dichiarerà: "Tutte le disgrazie provengono da loro – l’ingiustizia, la criminalità".

La svolta definitiva è però attribuita al rifiuto di una donna khazaka che Nikolaj desiderava sposare. Da quel momento non cercherà più alcun coinvolgimento romantico, pur continuando ad avere rapporti consensuali con molte donne.

Il 25 gennaio 1979, un bambino incappa nei resti mutilati della sua prima vittima, che si scoprirà essere Nadezhda Yerofim, un’avventista del settimo giorno di un villaggio vicino a Uzun-Agach. Dzhumagaliev l’aveva notata mentre rincasava dalla chiesa, lungo la strada di Maibulak.

È l’assassino stesso, in seguito, a descrivere l’omicidio:
"Ho sempre amato la caccia, e andavo a caccia spesso, ma quella era la prima volta che cacciavo una donna… Ho sentito l’eccitazione martellare dentro di me e mi sono avvicinato. Lei ha udito i miei passi e si è voltata, ma io le sono corso incontro e l’ho afferrata per il collo, trascinandola verso la discarica. Fece resistenza, così le ho tagliato la gola con il coltello. Poi ho bevuto il suo sangue.

A questo punto, dal villaggio è apparso l’autobus della fabbrica. Mi schiacciai a terra, accovacciato accanto al cadavere. Mentre rimanevo immobile, le mie mani diventarono fredde. Quando l’autobus è sparito, ho scaldato le mani sul corpo della donna e l’ho spogliata, diventando il suo macellaio. Ho tagliato i seni del cadavere insieme a strisce di grasso, tagliato le ovaie, separato bacino e fianchi. Poi ho infilato tutti questi pezzi nello zaino e li ho portati a casa.

Ho sciolto il grasso, e con un po’ di sale l’ho mangiato come pancetta. Una volta ho usato un tritacarne per farla fina, e ho fatto delle polpette. Ho mangiato tutta la sua carne da solo, non l’ho offerta a nessun ospite. Due volte ho fritto cuore e reni. […] Ho mangiato la carne di questa donna per circa un mese".


Le autorità sovietiche considerano gli avventisti quasi alla stregua di una setta, e concentrano le indagini nella direzione di un omicidio rituale, che ovviamente si rivelerà un binario morto.
Zanna di Ferro rimane impunito, inaugurando così una stagione di massacri.

È giusto precisare che qualche fonte indica questo omicidio come il secondo, collocando il primo nel 1978 o addirittura nel ’77 (ad Almaty), ma la versione più accreditata è quella esposta sopra. Vale la pena ricordare che le informazioni su questo periodo sono confuse, frammentarie e spesso in contraddizione.


Nikolaj Džurmongaliev: omicidi seguenti

Anna è la seconda vittima accertata. La ragazza scompare mentre torna alla propria abitazione dai bagni pubblici, una passeggiata di poche decine di metri. Sgozzata, trascinata in una discarica, stuprata, smembrata, in parte bruciata e in parte sepolta.

Zanna di Metallo ha così giustificato la scelta di quella particolare vittima:
“Era pulita, ordinata e appena lavata. Beh, come potevo fare a meno di ucciderla e mangiarla?”

Voci scarsamente documentate sostengono che in un breve lasso di tempo ci sia stata una seconda sparizione collegata agli stessi bagni pubblici, altre parlano di una donna anziana assassinata tra il 21 e il 22 aprile, infine alcuni attribuiscono a Nikolai almeno un’effrazione con tre vittime.

In ogni caso, i ritrovamenti di resti umani dilaniati nei dintorni di Uzun-Agach si moltiplicano, destando il panico nella popolazione, e le donne del luogo si fanno più prudenti. Probabilmente è per questo motivo che Nikolai Dzhumagaliev cambia modus operandi.

Il 21 giugno 1979, attorno alle due di notte, irrompe con la forza in un’abitazione, massacrando, mutilando e mangiando – assaggiando, per la precisione - le due donne adulte che trova all’interno.

È probabile che l’azione avvenga senza premeditazione, perché Kolya sembra del tutto ignaro della presenza di una terza persona, Yulia, riuscita a nascondersi alle prime avvisaglie dell’intrusione. Dal suo nascondiglio, la ragazzina osserva impotente il maniaco che si accanisce sulla madre e la nonna, episodio che la segnerà a vita.

I vicini, allertati dalle urla, avvisano tempestivamente le autorità, ma al loro arrivo Nikolai ha già avuto tutto il tempo per ultimare i suoi macabri rituali e dileguarsi nella notte. Secondo i rapporti ha asportato dai cadaveri ampie porzioni dei tessuti molli, in particolare dalle gambe e dall’area genitale.

Riavutasi dallo shock, Yulia racconta che, tra le varie atrocità, l’assassino aveva bevuto il sangue della madre, ma non della nonna.
Sfortunatamente, sembra però che non sia stata in grado di fornirne una descrizione.

Anni più tardi, il maniaco spiegherà che l’anziana: "Non aveva un buon sapore. La più giovane era meglio". L’aveva scoperto assaggiando una striscia di carne presa dal collo, che aveva subito sputato per via della consistenza "gommosa".

Per la prima volta, però, gli inquirenti rinvengono le impronte digitali dell’omicida, chiaramente impresse nel sangue. L’arretratezza delle tecnologie investigative a disposizione degli investigatori khazaki dell’epoca rende la scoperta inutile per fermare Dzhumagaliev, ma più tardi le impronte consentiranno di collegarlo all’episodio.

Le uccisioni si fanno più serrate. Nel giro di sei giorni, Zanna di Metallo trucida una neomamma con diciotto coltellate, quindi s’improvvisa giustiziere. “Il 27 giugno 1979, la mia ragazza Tatiana Ya mi disse che una donna di nome Valentina aveva rubato dei suoi effetti personali. Tatiana aveva fatto denuncia alla polizia. Ho rimproverato Tatiana per averlo detto alla polizia e le ho ordinato di condurre la ladra a casa mia quella stessa sera, poi sono andato a bere della vodka con gli amici.

Quando sono rientrato a casa la sera ho trovato una ragazza bella e giovane. Tatiana era via, in compagnia di mia sorella Zoe. Io e la ragazza ci eravamo appena seduti sul letto, quando ci siamo spogliati e abbiamo fatto sesso. E tutto è avvenuto con il suo consenso.

Poi ho pensato che la mia ragazza poteva entrare in qualsiasi momento e chiesi a Valentina di continuare nel fienile. L’ho sollevata dal letto e l’ho portata in braccio nel fienile, che si trova nel cortile.

Nel fienile abbiamo avuto un altro rapporto sessuale, ma non ero soddisfatto. Allora ho sentito il desiderio di strangolarla. Le ho stretto il collo con entrambe le mani e ho cominciato a soffocarla. […] Poi ho preso il coltello e le ho tagliato delicatamente la gola.

Ho succhiato il suo sangue ed ero di nuovo eccitato. Dopo aver avuto un altro orgasmo mi sono reso conto che era già morta. Ho smembrato il suo corpo in corrispondenza delle articolazioni, ho messo la carne buona in un barile, e gli scarti li ho seppelliti in giardino”.



Il primo arresto di Nikolay Dzhumagaliev

Il 21 agosto la vita di Nikolai Dzhumagaliev assume una piega imprevedibile. È a casa, intento a ubriacarsi di vodka in compagnia di amici, si parla di caccia. A un certo punto mostra con orgoglio il fucile a colpo singolo ereditato dal nonno, vantandone la precisione.

Decide di dare una dimostrazione mirando a un piccione appollaiato su un’antenna, ma manca il bersaglio. Ricarica l’arma barcollando, inciampa e spara alla testa di uno degli spettatori, un collega pompiere.

La polizia lo prende in custodia, ma non ha la minima idea di aver messo le manette al maniaco che terrorizzava la regione.

Il 15 novembre 1979 è processato e condannato a quattro anni e mezzo di carcere per omicidio colposo (articolo 93 del codice penale kazako). Tuttavia, il tribunale stabilisce la necessità di un accertamento psichiatrico, del quale si occuperà l’Istituto Serbo di Mosca.

I medici classificano Nikolai come schizofrenico, una diagnosi che gli risparmia il carcere in questa occasione e, presto, gli consentirà anche di evitare la fucilazione.

In meno di un anno, il mostro è nuovamente libero per le strade di Uzun-Agach, dove nel frattempo la milizia aveva continuato a cercare Kolya senza, naturalmente, fare alcun progresso. La condanna non aveva minimamente intaccato la sua reputazione al paese e, nonostante la coincidenza temporale tra il suo ritorno e il riprendere degli omicidi, nessuno collegò i due eventi.


Nikolaj Džurmongaliev: Altri omicidi e secondo arresto

Zanna di Metallo riprende da dove aveva lasciato. L’instabile misticismo che permea le sue folli gesta evolve ulteriormente.

Dalle dichiarazioni dell’omicida, l’8 novembre 1980 si sveglia nel suo letto accanto alla sua ultima partner occasionale, che dorme ubriaca. È tormentato da un dubbio: “Magari sono io che sbaglio a non avere rimpianti?”. Con una consecuzione difficile da seguire, squarcia poi la gola della donna e beve il suo sangue direttamente dalla ferita.

“Nel libro Black Mist avevo letto che se si taglia la gola di una persona e la si fissa da vicino si può vedere l’anima che lascia il corpo. Ho guardato e guardato, ma non l’ho vista…”

Stando alle parole dell’omicida, in quel testo erano descritte alcune antiche pratiche divinatorie germaniche, secondo le quali era possibile ottenere poteri straordinari attraverso il sacrificio umano e l’assunzione del sangue delle vittime, in particolare delle vergini.

Tra questi poteri ci sarebbe quello della preveggenza, che Zanna di Metallo afferma di aver effettivamente ottenuto, profetizzando il proprio destino con esattezza dall’80 all’88, e vagamente fino al 2000. Senza voler minimamente suggerire che tali farneticazioni abbiano alcun fondamento, ho comunque ritenuto interessante fare qualche ricerca a riguardo.

Il libro in questione non è semplice da identificare. Alcuni siti internet lo descrivono come “un raro incunabolo”, oppure “un testo mistico medievale”, ma non è stato possibile risalire a niente del genere neppure negli archivi dedicati. Sospettiamo che il passaggio cui fa riferimento Dzhumagaliev sia in realtà tratto da qualche brano di un’omonima antologia pubblicata in lingua Russa nel 1976, a cura di Vishnevskaya e Vyukov, ma non possiamo confermarlo.

Si noti, comunque, l’incongruenza tra la missione dichiarata di Nikolai Dzhumagaliev - punire le donne lascive - e il requisito della verginità delle vittime sacrificali. La filosofia pseudo musulmana originale cede il passo a una forma di sincretismo incoerente, rinunciando a qualsiasi vaga pretesa di logicità.

Il definitivo tracollo mentale del cannibale è evidente nell’episodio che ha portato alla sua cattura sulla fine del 1980, sicuramente il più celebre.


Alle cinque di mattina del 18 dicembre, un cittadino terrorizzato chiama la centrale di polizia asserendo di aver visto Nikolai Dzhumagaliev massacrare una donna. Gli agenti sono increduli: “Nikolai è un bravo ragazzo”, avrebbe commentato uno di loro di primo acchito.

La sera precedente, Kolya aveva invitato degli amici a casa. La scena era quella consueta: vodka a fiumi e ragazze facili. Il mostro e la sua ignara vittima, Zoya, si appartano in un’altra stanza – per fare sesso, avranno tirato a indovinare gli altri conoscendo la disinvoltura di Nikolai. Lo psicopatico bramava invece l’ennesimo sacrificio in nome di antiche leggende.

Nell’altra stanza sgozza Zoya e ne beve il sangue mentre ancora zampilla dalla carotide, poi scola il resto in una grossa ciotola. I resoconti variano notevolmente da questo punto in poi, e le rielaborazioni sensazionalistiche abbondano. La ricostruzione che segue è quella che ci pare più plausibile nella sua semplice, folle crudeltà.

Uno dei compagni di bevute di Dzhumagaliev, forse notando che ormai mancava da parecchio o magari solo per salutare prima di andarsene, decide di andare a controllare che fine avesse fatto il suo ospite. Varcata la soglia dell’altra stanza, scopre l’amico mezzo nudo e completamente coperto di sangue, intento a macellare i resti della povera Zoya. Il maniaco è completamente assorto nella sua opera, e non si accorge neppure di essere stato scoperto. Gli invitati si danno alla fuga, e qualcuno chiama la milizia.

Al loro arrivo, gli agenti sono sconvolti dalla brutalità della scena. Solo allora Dzhumagaliev realizza cosa sta succedendo. Perquisendo la casa trovano un barile dove l’assassino aveva conservato in salamoia le parti più pregiate delle sue vittime per un consumo successivo.

I miliziani sono del tutto impreparati a fronteggiare uno scenario del genere. Zanna di Metallo, al contrario, recupera rapidamente la sua lucidità e sfrutta la prima distrazione per dileguarsi nella notte. Molte fonti affermano che sia fuggito con un’ascia, ma vista la presenza della polizia sembra piuttosto improbabile.

Uzun-Agach si trova a 814 metri sul livello del mare, ormai è quasi inverno. Nikolai deve trovare un riparo o morirà assiderato. La polizia comincia dai posti più ovvi, perquisendo le abitazioni dei parenti.

La caccia all’uomo sembra infruttuosa finché, durante l’ispezione nella casa di un cugino del ricercato, un miliziano nota delle assi sconnesse sul pavimento. Dzhumagaliev è nascosto lì sotto.

Subito dopo la cattura avrebbe detto:
“Volevo farmi arrestare. Ho ucciso molta gente, ma non ho mai visto l’anima uscire. Forse vuol dire che non abbiamo un’anima?”


La condanna e l'evasione di Nikolay Dzhumagaliev

Kolya l’Orco è ormai alla luce del sole, e la sua dentiera scintillante (che una fonte vuole di oro bianco) gli frutta i soprannomi con cui diventerà internazionalmente celebre: Metal Fang e Iron Tusk.

Il 3 dicembre 1981, il tribunale lo riconosce colpevole di sette omicidi, tre dei quali con l’aggravante del cannibalismo.

Zanna di Metallo dichiara:
“Ho ucciso le donne per vari motivi. Prima di tutto, ero profondamente appagato dalla loro passione sessuale verso di me. In secondo luogo, sentivo un’attrazione irresistibile per il corpo femminile: volevo cercare di conoscerlo pienamente e totalmente. Pertanto mangiavo la loro carne. In terzo luogo, nel libro Black Mist, che ho letto qualche anno fa, era scritto che gli antichi Germani bevevano il sangue di donna per compiere profezie. Volevo fare anch’io delle profezie, così ho bevuto il loro sangue. E ci sono riuscito […] Questa è la mia vendetta contro le donne perché violano la legge di natura. Un uomo deve essere al di sopra delle donne in tutto, ma tutto nella vita è sottosopra. Volevo incutere paura in tutte le donne del distretto. Non ho semplicemente ucciso. Ho sacrificato Tatiana G. per l’anniversario della morte della nonna, e Valya (il 13 dicembre 1980) per onorare il centenario di mio nonno”.

In circostanze normali la pena sarebbe la fucilazione, ma Nikolai Dzhumagaliev è già stato giudicato insano di mente, e la legge ne vieta l’esecuzione.

È inviato al manicomio criminale di Tashkent (in Uzbekistan), dove rimane per otto anni.

Durante la sua permanenza tenta il suicidio due volte, comportamento che, se ce ne fosse bisogno, conferma la vacuità delle sue sbandierate profezie, ma è compatibile con la diagnosi.

Nel 1989 viene disposto il trasferimento di Dzhumagaliev presso una struttura psichiatrica di lunga degenza nel suo paese natio.

Nel valutare tale decisione, motivata ufficialmente da miglioramenti nelle condizioni del paziente, bisogna prendere in debita considerazione i gravi disordini che attraversano la morente Unione Sovietica in quel periodo. In altre parole, è plausibile che la scelta sia stata motivata da questioni di budget piuttosto che da considerazioni mediche.

Quali che siano i reali motivi dietro a questa bizzarra decisione, essa si dimostra immediatamente errata.

Scortato soltanto da un medico e un infermiere, Dzhumagaliev elude la sorveglianza poco dopo l’atterraggio all’aeroporto Manas di Frunze (oggi Bishkek).

Kolya è di nuovo in libertà, ma questa volta le autorità sanno bene con chi hanno a che fare, e sono determinate a fare tutto il necessario per risolvere la questione.


Dossier da completare nelle prossime settimane...

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