Nome Completo: Milena Quaglini
Soprannome: La Vedova Nera del Pavese
Nata nel: 25 marzo 1957
Arrestata il: 6 ottobre 1999
Morta il: 16 Ottobre 2001
Arco degli omicidi: 4 novembre 1995 - 5 ottobre 1999
Vittime Accertate: 3
Modus operandi: Uccisione tramite strangolamento, affogamento o l'uso di oggetti contundenti.
Ultimo aggiornamento del dossier: 7 luglio 2015
Milena Quaglini. Ricerca tipica femminile di un amore ideale senza mai trovarlo. Le persone con cui aveva rapporti, che in qualche modo la deludevano lei le eliminava.
Omicidi atipici, che molti studiosi non catalogano nemmeno come seriali.
Il corpo di Milena pendeva appeso a una corda nella sua cella.
Il carcere di Vigevano in cui era rinchiusa è stato lo scenario dell’ultima morte legato al caso Quaglini.
Alla vigilia della sentenza del suo terzo assassinio ha deciso di soffocare in ultimi spasmi d’ossigeno.
È stata trovata come carne appesa in macelleria. Macelleria della mente umana.
Il cuore le batteva ancora all’arrivo dell’agente del carcere. Corsa in pronto soccorso dove ammirare le angosce prendere il posto della vita e del respiro. Volteggiare intorno al corpo divenuto cadavere prendendosene beffa.
Milena non c’è più. Milena vittima di abusi e violenze. Milena carnefice.
Milena Quaglini: primo omicidio
1995. Il pensionato di Este Giusto Dalla Pozza. Venti mesi di carcere. Aveva reagito a un tentativo di violenza sessuale. L’eccesso di legittima difesa l’ha condannata.
La donna lavora come custode in una palestra e per arrotondare lo stipendio fa la domestica in casa del pensionato. L’uomo di 83 anni tenta di violarla. Milena cerca di scappare. Non riesce. Lo colpisce con una lampada alla testa.
È proprio Milena a dare l’allarme.
Sarà quel colpo a farlo morire qualche giorno dopo in ospedale.
Ma tutto questo verrà scoperto solo quattro anni dopo.
Solo dopo gli altri due omicidi.
Milena, 19 anni, diplomata ragioniera di Pavia, decide di andar via di casa. Suo padre era violento. Suo padre era ossessivo. Suo padre era geloso. Mancava la libertà e la voglia di sorridere. Fino a quando trova un uomo con il quale ha un figlio. Si sposa e vive felice a Como e Lodi.
Fino alla malattia.
Malattia che in poco ucciderà il suo compagno.
Con confusione e dolore la Quaglini trova un altro lavoro e un’altra casa.
Conosce un altro uomo: Mario Fogli, che diventerà il suo secondo marito. Una bella storia d’amore che sembrava finalmente l’inizio della serenità.
Ma non è così.
È appunto solo l’inizio di una storia d’amore. Solo qualche mese che ha condotto a un matrimonio prematuro. Solo qualche mese che ha condotto a un nuovo parto.
Costretta a stare a casa, a lasciare il nuovo impiego.
“Donna che lavora, donna che tradisce” diceva Mario Fogli.
Una vita condotta con non poche difficoltà. Il marito faceva lavori saltuari. I soldi erano pochi. Troppo pochi.
Bussano alla porta. Un giorno.
Uno dei tanti. Un ufficiale giudiziario. Pignoramento. Conseguenza di un fallimento. Milena non ne sapeva nulla. Milena ne era all’oscuro.
Un altro parto. Una seconda figlia.
Lite. Solite scenate. Ogni gesto, ogni azione pesava come non mai. Mario Fogli diventava violento. Picchiava il primo figlio di Milena, lo costringeva a trovare lavoro.
L’inferno. Milena Quaglini conosceva l’inferno.
Milena Quaglini: omicidi successivi
Si separa. Ma dopo poco ritorna con il coniuge. Ritenta una vita “normale”. Una vita di coppia. Ma la depressione l’assale.
Ricomincia a bere. A bere. Bere. Mischia i farmaci all’alcol. Sempre più distrutta. Sempre più vicino alla sua fine interiore. Fogli non la capisce. La picchia. Le usa violenza psicologica umiliandola.
È un sabato.
1998. 2 Agosto. Lui si sdraia a letto. Vuole dormire.
Lei lo stordisce. Poi lo incapretta.
L’incubo così sembra finito.
Le figlie sono nella stanza accanto. Non si accorgono di nulla.
Domenica sera sarà la stessa Milena a chiamare il 112 e mostrare il cadavere avvolto in un tappeto in balcone.
Per la prima volta la donna conosce la prigione. Le due bambine, entrambe minorenni sono affidate alla sorella.
Il carcere la ospita per un anno, dopo inizia la disintossicazione in una clinica a Pavia.
Sono i medici che date le condizioni insistono affinché la donna non torni in carcere. Ma a casa nessuno la vuole.
Milena è sola.
In clinica la Quaglini conosce un uomo che si offre di ospitarla in un appartamento. Qualcosa non torna. Milena non crede nell’altruismo. Quest’uomo vuole approfittarsene.
Presa dal panico cerca un’altra sistemazione. La trova in un annuncio su una rivista.
Cercasi domestica. Località: Bescapè.
Chi ha scritto l’annuncio è Angelo Porello di anni 53. Abbandonato dalla moglie e dalle figlie accusato a sei anni di carcere per averle violentate.
Ma questo Milena non lo sa.
Non lo può sapere.
Passano solo due giorni. Costretta sul letto viene stuprata. Ormai i pensieri scorrono troppo veloci. Si accavallano. La rabbia e la frustrazione iniziano a tormentarla.
Prepara un caffè sciogliendo all’interno una scatola di tranquillanti.
Porello si addormenta dopo poco. La donna trascina il corpo in vasca da bagno.
Apre il rubinetto. Fa in modo che anneghi. Una volta morto si libera del corpo trascinandolo in una letamaia.
La sua ultima preoccupazione è cercare di cancellare le sue tracce.
Le sue prove.
Inutilmente.
Milena Quaglini: cattura, processo, prigionia
Una donna vittima.
Milena ha reagito contro chi le ha fatto del male. Contro chi l’ha fatta soffrire.
Milena si sarebbe risposata in carcere. Con un uomo di nome Roberto. Prima della morte aveva parlato con la sua legale delle pubblicazioni.
Milena stava male. Forse il suo gesto voleva solo essere un richiamo d’aiuto.
La depressione era molto forte. Era costantemente sorvegliata in cella.
Problemi finanziari non mancavano.
Una scatola di farmaci veniva 42 mila lire.
Era la legale a darle dei soldi.
Un tempo Milena dipingeva. Vendeva i suoi quadri. Ora era troppo debole.
Durante l’ultimo processo ha raccontato la sua vita. L’ha narrata. Sinceramente.
L’ha descritta.
Facile condannare Milena e pensarla assassina.
Ora.
A mente lucida non ci si dovrebbe dimenticare di chi erano le vittime.
Uomini violenti che hanno goduto del suo corpo senza averne il consenso.
Uomini che in precedenza avevano già stuprato altre donne.
Uomini che hanno aiutato la follia di una donna che umiliavano di continuo.
Una morte strana. Rea confessa. Lo stato di depressione doveva essere profondo.
Alcuni serial killer sono soliti uccidersi quando stanno per essere incastrati.
O quando, anche se in carcere, hanno sempre negato.
Il senso di colpa doveva essere atroce. Graffiante.
Un angelo sterminatore. Una vedova nera.
Qualcuno l’ha definita così.
I suoi delitti avevano tutti qualcosa in comune: uccideva chi alzava le mani contro di lei.
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