Luís Alfredo Garavito, la storia del serial killer

Nome Completo: Luís Alfredo Garavito Cubillos

Soprannome: Trivilín (Pippo, l’amico di Topolino, in spagnolo), La Bestia

Data di nascita: 25 gennaio 1957

Data di arresto: 22 aprile 1999

Numero di vittime accertate: 142

Modus Operandi: Quasi sempre avvicina cordialmente e offre prima da bere alle sue vittime, per poi legarle, tagliuzzarle e infine squartarle e farle morire dissanguate.

Ultimo aggiornamento del dossier: 3 agosto 2014


Da stupratore ad assassino di bambini. La discesa agli inferi di Luis Alfredo Garavito è stata lenta ma costante, fino a diventare uno dei più pericolosi serial killer dell’America Latina.

A cadere sotto le sue grinfie sono stati soprattutto los niños de la calle, i bambini di strada della Colombia, che Garavito circuiva mediante la promessa di qualche soldo. Poi, la violenza, che iniziava con le sevizie (bruciature, tagli), continuava con lo stupro e finiva con lo sventramento e il dissanguamento delle vittime.

Una lunga, triste storia quella che raccontiamo oggi sulle pagine di LaTelaNera.com: una storia che comincia negli anni Ottanta e finisce solo nel 1999 dopo quasi 150 omicidi.


Luís Alfredo Garavito: infanzia e adolescenza

Luis Alfredo Garavito nasce il 25 gennaio 1957 - sotto il segno zodiacale dell'Aquario - a Génova, cittadina di diecimila abitanti situata nella provincia di Quindío, nella Colombia centro occidentale. È il maggiore di sette fratelli e sin dall’infanzia subisce maltrattamenti da parte del padre, un uomo violento e privo di scrupoli.

Luis Alfredo non è un bambino particolarmente dotato. Va a scuola fino alla quinta elementare, poi abbandona gli studi e, complice il clima di violenza che si vive nella regione del Quindío della lotta tra esercito ed eserciti rivoluzionari, deve abbandonare Génova con la famiglia per Ceilán, nella valle del Cauca.

Qui Luis Alfredo è testimone di come il padre accoltella la madre incinta, ma soprattutto vive un’altra esperienza che è determinante per il suo futuro. Un vicino di casa, un amico del padre, lo violenta brutalmente, legandolo al letto e praticandogli differenti sevizie.

Sembra un episodio isolato, invece l’uomo continuerà per due anni a frequentare la casa dei Garavito e a violentare sistematicamente Luis Alfredo. L’abuso finisce quando la famiglia si trasferisce di nuovo, questa volta a Trujillo, non molto lontano da Ceilán.

Sembra una nuova vita, ma presto Luis Alfredo cade di nuovo nelle grinfie di un altro violentatore.

A partire da questo momento lo stesso Garavito confessa di aver iniziato a provare un interesse morboso per le persone del suo stesso sesso, in particolare per i bambini. Ed è la polizia, avvertita da alcuni passanti, che lo arresta quando, vicino ad una stazione, poco più che adolescente ha rapito un bimbo. Vuole provare a fargli quello che hanno fatto con lui, ma il bambino grida ed attira l’attenzione della gente.

In seguito a questo episodio il padre lo caccia di casa e Garavito comincia a lavorare come bracciante in un podere agricolo.

Lavora, ma quando finisce di lavorare va in città, si ubriaca e si apparta la notte con i ragazzini che si prostituiscono.

In cerca di una normalità che non riesce a ottenere va a vivere con una donna, con la quale però non riuscirà mai ad avere un rapporto sessuale completo, pur vivendo con lei per diversi anni.
L’istinto che domina Luis Alfredo è un altro.

Dalla campagna si sposta in città, ad Armenia, grosso centro di 250.000 abitanti e capoluogo del Quindío. Garavito ha trovato lavoro in un supermercato e questa sua occupazione lo mette in contatto costante con minorenni. Durante le ore di lavoro si eccita a tal punto che durante la pausa pranzo si sposta nelle cittadine di periferia alla ricerca di bambini: li circuisce, li sequestra e poi, nelle campagne, li lega e li violenta, proprio come aveva fatto con lui l’amico del padre.


Luís Alfredo Garavito: il primo omicidio

Nel 1980, a 23 anni, le cose cambiano. Garavito comincia a sentire le "voci". Non si accontenta più di violentare i bambini, ma inizia a torturarli in un crescendo di sevizie: candele, lamette, funi, accendini diventano parte del suo repertorio.

Da allora, secondo le testimonianze, Garavito avrebbe violentato e seviziato in media un bambino al mese fino al 1992.

In quei dodici anni, qualcosa cambia di nuovo nella mente di Garavito, perché il connubio sesso-morte, l’impulso che aveva cominciato a sentire nel 1980, abbia il sopravvento.

Nel 1992, Garavito è a Jamundí, centro alle porte di Cali, è in un giardino pubblico ed è ubriaco. Vede un bambino, Juan Carlos e decide di approfittare di lui. Con la promessa di regalargli dei soldi, l’uomo si apparta con il bambino in un luogo abbandonato. "Sentivo di essere tornato alla mia infanzia" dirà poi ai giudici "e sentì odio, tantissimo odio".

Juan Carlos muore accoltellato, dopo essere stato seviziato e violentato. Non passano pochi giorni che Garavito colpisce di nuovo, a Tulúa: il suo cammino di sangue, violenza e morte, è cominciato...


Luís Alfredo Garavito: una lunga scia di sangue e di morte

Garavito segue un preciso schema. Aspetta l’oscurità della sera, si ubriaca e adesca il primo bambino che gli capita a tiro. Con uno stratagemma lo porta in un luogo appartato e lì dà sfogo ai suoi istinti.

Quasi sempre offre prima da bere alle sue vittime, poi procede a legarle e a tagliuzzarle.

È diventato esperto nello sezionare: con un taglio verticale preciso apre l’addome ai malcapitati, lasciandone mano a mano allo scoperto gli intestini. I piccoli rimangono coscienti per lunghi minuti, finché muoiono dissanguati.

In certi casi, sperimenta alcune varianti: a otto vittime strapperà le dita.

Quando l’orgia di sesso e morte finisce, Garavito è invaso dal rimorso e dal pentimento. Piange, si dispera, passa la notte a recitare versi della Bibbia per implorare il perdono. Fino a quando non sentirà di nuovo la "voce" che gli ordina un nuovo rito.

Per almeno sei anni Garavito agirà indisturbato, complice il fatto di viaggiare in continuazione da un luogo all’altro, colpendo in differenti città e in differenti regioni della Colombia. La polizia alla fine redigerà la lista dei posti dove sono avvenuti gli omicidi: sono addirittura cinquantuno.

Nei pressi di Pereira affiorano infine le fosse comuni dove l’uomo ha sepolto le vittime che ha fatto in quella città. Le autorità ritrovano 42 scheletri di bambini. I giornali parlano di un castigo divino piovuto a punire la dissolutezza, in un luogo dove la gioventù, in mancanza di opportunità, affonda tra droga e prostituzione.

Pereira è città di grandi fortune, ma soprattutto di grandi miserie. I bambini di strada sono i più esposti e sono la merce ricercata dai frequentatori delle decine di bar e discoteche che fanno di Pereira "La ciudad de la noche".

Garavito ci si ferma per mesi e si trova a proprio agio. La città è tra le più grandi della Colombia (con i dintorni fa ottocentomila abitanti) e tra le sue strade si può passare come a lui piace, da invisibile.

Perché poi questa era la qualità di Garavito, così peculiare nella terra del realismo magico: riusciva a essere invisibile, come invisibili erano i bambini. Quando Luis Alfredo entra in un bar a muoversi è un’ombra, un fantasma. Evanescente, insignificante, l’uomo si muove impercettibile tra i tavolini.

In strada, è la sua figura inoffensiva a proteggerlo: claudicante - per una malformazione a un piede e da lì il soprannome di Trivilín, il Pippo dei fumetti di Topolino - chi gli si avvicina si sente obbligato ad aiutarlo, come si aiuta uno sfortunato, un poveraccio: si cerca di dimenticarne in fretta il volto e le fattezze.

Per i bambini è la stessa cosa. A renderli invisibili è l’indifferenza. Tutti uguali, quei volti imberbi: mocciosi che si guadagnano la vita con l’elemosina, che sopravvivono con le monete che mani anonime, mani senza volto, offrono loro.

E così spariscono, senza lasciare traccia.


Carlos Hernán Herrera, la nemesi di Garavito

La polizia ci mette alcuni anni per rendersi conto che dietro quelle sparizioni c’è una matrice comune. Ci riesce grazie al lavoro di un medico forense, Carlos Hernán Herrera, che ha avuto la possibilità di studiare i resti delle vittime. Secondo il suo referto, dietro i massacri di Pereira c’è una sola mente assassina.

Herrera ritiene di aver individuato il modus operandi dell’omicida: usa solo armi da taglio, ferisce le sue vittime sempre nelle stesse parti, le violenta e ne causa la morte attraverso un colpo finale alla gola, separando la testa dal resto del corpo.

La polizia comincia a setacciare i profili di centinaia di persone implicate in violenze sessuali su bambini. Herrera, nel frattempo, ha un colpo di fortuna. Sul posto di un nuovo omicidio sono stati trovati alcuni indumenti dell’assassino.

Qualcosa ha disturbato Garavito, che ha dovuto abbandonare in tutta fretta un paio di occhiali, un pettine, le scarpe e dei pantaloncini. Da questi pochi indizi, il forense può determinare alcuni dati che servono per tracciare un primo, sommario, identikit: il ricercato è un uomo di circa 1,65 di altezza, di complessione magra e, soprattutto, è zoppo.

La segnalazione viene consegnata alla polizia, che trova almeno due persone, con precedenti penali per reati sessuali su minorenni, che corrispondono alla descrizione presentata da Herrera. Uno dei due è Luis Alfredo Garavito, che era stato arrestato già una volta a Tunja.

In questa cittadina era stato fermato perchè sospettato dello stupro e dell’uccisione di un ragazzino a cui era stata tagliata la testa e mozzato il pene. Il terribile omicidio aveva scosso la comunità, ciò nonostante Trivilín era riuscito a passare per un inoffensivo forestiero finito in un guaio più grosso di lui.


Luís Alfredo Garavito, la fortuna del serial killer

Per la sua scarcerazione si mobilita l’ombudsman locale, che riesce a scarcerarlo per mancanza di prove oggettive. Garavito esce dalla cella della prigione locale, ringrazia e se ne va per la sua strada, a compiere le sue crudeltà altrove. L’unico dato positivo è che, da questo momento, viene registrato ufficialmente negli archivi della polizia.

Sulla segnalazione di Herrera, gli agenti si presentano a casa di Garavito. È l’aprile 1998. Ad accoglierli c’è la convivente, una donna che cade dalle nuvole quando gli inquirenti presentano le accuse. Nella stanza dell’uomo, la polizia trova una quantità impressionante di agende con appunti di viaggio, biglietti di bus, ritagli di giornale, ricevute bancarie.

La donna, che si chiama Luz Mary, lo difende: Luis Alfredo viaggia per lavoro, impossibile che violenti e uccida bambini, è un uomo buono, che non ha mai fatto male a nessuno, spiega.

Dopo aver letto e studiato il materiale sequestrato, la polizia propende incredibilmente per l’altro sospettato. Gli sforzi per la cattura, quindi, si dirigono verso l’altra persona.

Nel giugno 1998 Luis Alfredo torna a casa, a Génova, la cittadina dove è nato. Situata nel cuore delle colline del Quindío, Génova è centro di raccolta del famoso caffè di montagna colombiano.

Qui, tutto ruota attorno a questa industria, le piantagioni danno lavoro a tutti, bambini compresi, che trascorrono lunghe giornate di lavoro piegati sotto il sole. I bambini vengono lasciati soli nei campi e diventano un bersaglio facile per chi ha cattive intenzioni. I terreni destinati al caffè sono sterminati e le cronache dei giornali sono piene delle storie di bimbi che vi si sono avventurati per non essere mai più visti con vita.
Génova non è un’eccezione.

Dopo pochi giorni dal ritorno di Luis Alfredo all’ombra delle piante del caffè vengono trovati i corpi, con segni di tortura e smembrati, di tre ragazzini di 9, 12 e 13 anni. La gente si interroga sull’orrendo crimine e qualcuno lo collega con il ritorno in paese di Trivilín, dello zoppo. La notizia della perquisizione della casa da parte della polizia ha fatto il giro della provincia. La polizia però tentenna.

Luis Alfredo la fa franca anche questa volta, ma la sua buona sorte è ormai esaurita.


Luís Alfredo Garavito: finalmente la cattura definitiva

Alcuni mesi dopo, il 22 aprile 1999 a Villavicencio è un pomeriggio di piena estate. Il caldo e la fatica, nonchè la voglia di fumarsi una canna in santa pace, hanno portato Brand, un ragazzo di sedici anni, a prendersi una pausa dal suo faticoso lavoro di sfasciacarrozze. Ha trovato un posto appartato per non farsi sorprendere dal padrone, quando sente delle urla...

Incuriosito si avvicina e vede un uomo chino su un ragazzino nudo, legato mani e piedi. Brand interviene e chiede all’uomo che cosa stia facendo. La risposta è sbrigativa: “Non è niente, stiamo giocando” e per dimostrarlo l’uomo taglia la fune che tiene stretti i piedi del ragazzino.

Appena libero, John Iván, il bambino prigioniero, si mette a correre con quanto fiato ha in corpo, seguito da Brand. Corrono per almeno un chilometro a rotta di collo, finché giungono alle prime case della cittadina. Chi li vede non riesce a credere alla scena di un ragazzino nudo che corre a mani legate in strada. È così che John Iván, 12 anni, sfugge alla morte, l’unica vittima che sia riuscita a beffare il mostro.

A quanti lo soccorrono racconta di essere stato avvicinato mentre stava vendendo biglietti della lotteria nella piazza principale, da un signore zoppo che, con la scusa di comprare un numero, lo aveva portato nei campi.

Garavito viene fermato mentre, approfittando della prima oscurità, cerca di abbandonare la città a piedi. John Iván è con i poliziotti: "È lui" grida. Luis Alfredo insiste sull’errore di persona, cerca anche di persuadere il ragazzino che si sta sbagliando.

Quando però la polizia gli chiede di aprire lo zaino che porta con sè, i dubbi si dissipano: c’è la fune, c’è il coltello, c’è anche il tubetto di vaselina che gli sarebbe servito per compiere la violenza sessuale. Uno dei poliziotti, disgustato, gli sferra un pugno nello stomaco e, tra una folla inferocita che lo vuole linciare, lo fa montare sull’autopattuglia.


Luís Alfredo Garavito: processo, condanna e incarcerazione

Garavito nega subito ogni addebito. Dà un nome fittizio al sergente Pedro Babatita, che aveva comandato le operazioni di ricerca dopo la denuncia di John Iván. È sorpreso di quanto gli sta succedendo.

Le telecamere nascoste che lo riprendono nella cella lo mostrano tranquillo. Anche davanti al giudice continua a recitare la parte dell’innocente: non sono io la persona che cercate, c’è un errore di persona.

Il pubblico ministero presenta la sua relazione. Garavito deve rispondere della sparizione e l’uccisione di 118 bambini.

Lui nega tutto, naturalmente. Rimane tranquillo sulla sedia, piegato in avanti, come per ascoltare meglio di cosa è accusato. Infine, lo affronta un investigatore e Garavito crolla.

L’uomo gli parla del suo passato, gli ricorda le sevizie del padre, di come sia stato violentato da due uomini, della sua incapacità di convivere con il suo lato oscuro, di come adescava i bambini, li torturava, li violentava e li uccideva.

Gli ripropone i dettagli delle sevizie: una volta legate, le vittime vengono violentate. Poi, l’aguzzino le accoltella poco sotto il cuore e procede al taglio verticale che libera gli intestini. Quindi vengono i tagli sulle natiche, sulle mani e attorno alle costole, per poi recidere infine la testa della vittima ormai dissanguata.

Garavito si mette a piangere e confessa. Al giudice rivela che le sue vittime sono molte più di 118. Ha annotato tutto e, secondo i suoi calcoli, i bambini uccisi sono 142: gli omicidi, tutti segnati per numero, luogo e data, sono annotati con maniacalità in un’agenda sdrucita.

La narrazione che segue dura sette ore e fa accapponare la pelle anche ai ben navigati giudici e poliziotti colombiani che di atrocità ne hanno viste tantissime. Luis Alfredo racconta infatti i particolari del suo rito omicida, ripetitivo, ossessivo, con dovizia di particolari.

Mauricio Arangurén, un giornalista colombiano che lo intervisterà, racconterà turbato la sua esperienza: "nella mia carriera ho intervistato criminali, guerriglieri, banditi, paramilitari, rilevando sempre l’esistenza di un’etica anche nel più temibile di loro, un’etica discutibile però da rispettare. Garavito esula da ogni comportamento umano: non ho mai sentito tanta paura nella mia vita come quando sono rimasto chiuso in cella con lui".

La condanna per Luis Alfredo Garavito è quella più severa che si possa comminare in Colombia: 40 anni di carcere.

Intanto, la lista di resti ritrovati aumenta ed arriva a 180. Il metodo è quello di Garavito, ma lui dice di non sapere o di non ricordare. Per mancanza di prove contundenti non si può aprire un altro processo.


Luís Alfredo Garavito: la vita in carcere e il suo futuro da uomo libero

In carcere, "La Bestia", come ormai tutti lo chiamano, si comporta da detenuto modello. Studia, si iscrive all’università e ogni giorno di studio è uno in meno di carcere. Con la buona condotta riceve altri sconti di pena e alla fine la condanna risulta di 24 anni.

Vive in isolamento e deve cambiare spesso carcere perché quando si sparge la voce della sua presenza gli altri detenuti vogliono liquidarlo.

È diventato membro della chiesa evangelica pentecostale e insiste nell’affermare che quando uscirà dal carcere farà il pastore, portando il Vangelo per le strade della Colombia.

Diverse organizzazioni stanno cercando di evitare che questo accada ed hanno aperto vari procedimenti processuali contro di lui.

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