Jack Unterweger: l’epilogo.
Il processo si svolse nel tribunale di Graz, dove tre consulenti, Greg McCrary, James Wright e il noto John Douglas del centro nazionale dell’analisi del crimine violento, lo definirono uno psicopatico organizzato.
Unterweger sceglieva le vittime con cura e premeditando gli omicidi. Non le mutilava e non portava via dei feticci. Le portava sul luogo del delitto con la propria macchina, le uccideva tutte nello stesso modo cercando poi di nascondere il corpo non solo a chi l’avrebbe dovuto trovare, ma forse anche a se stesso.
L’arma usata era la loro biancheria intima e il nodo che faceva era uguale in tutti i casi, tanto da poter esser considerato come la sua firma.
Lo definirono un “Lust Killer”, un assassino che “uccide per libidine, emozione che può essere trasmessa non solo da un atto sessuale, ma anche dal semplice atto di uccidere o dal fatto di avere il totale controllo sulla vittima”.
Messo davanti a queste accuse negò di essere la persona che essi descrivevano e cercavano.
In tribunale disse: «Ero un individuo avido, vorace, affamato di vita, deciso a risalire dal fondo... ma non ero io!»
Il 29 giugno 1994, la giuria lo ritenne responsabile di 7 omicidi e sospettato di altri 2 e lo condannò per la seconda volta all’ergastolo.
Poche ore dopo quella sentenza un secondino che gli portava da mangiare in cella lo trovò impiccato alle sbarre della finestra. Si era ucciso utilizzando delle stringhe della sua uniforme da carcerato: ovviamente il nodo che aveva fatto per uccidersi era uguale a quello usato in passato per strangolare le sue vittime.
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