Nome completo: Daniel Camargo Barbosa
Soprannome: La Bestia di los Manglares, il sadico di Chanquito
Data di nascita: 22 gennaio 1930
Data di morte: 13 novembre 1994
Numero di vittime accertato: 72
Modus Operandi: attira con delle scuse giovani ragazze o bambine in luoghi appartati, le stupra minacciandole con un coltello e poi le strangola o accoltella.
Ultimo aggiornamento del dossier: 20 settembre 2015
Con il dossier di oggi il nostro LaTelaNera.com torna a occuparsi di assassini seriali sudamericani e per la precisione colombiani.
Coincidenze mortali o semplici scherzi del destino che siano, la nazione che vede Bogotà come capitale (estesa quasi 4 volte l'Italia e con una popolazione di oltre 46 milioni di abitanti) ha dato i natali a 3 dei peggiori serial killer mai esistiti: Pedro Alonso Lopez, Luis Alfredo Garavito e Daniel Camargo Barbosa sono infatti tra i più perversi, crudeli, malati e (purtroppo) prolifici della storia.
Del letale terzetto Camargo Barbosa è l'ultimo del quale parliamo, un omicida mentalmente molto dotato capace di evadere dal peggiore e più duro carcere colombiano per potersi dedicare alla caccia di giovani e innocenti vittime.
Questa è la sua triste e spietata storia.
Daniel Camargo Barbosa: infanzia e adolescenza
Colombiano, nato in un remoto villaggio delle Ande il 22 gennaio 1936 (sotto il segno zodiacale dell'Aquario), Daniel Camargo Barbosa vive da subito un’infanzia infelice.
La madre, infatti, muore quando lui è ancora in fasce, lasciandolo alla mercè di un padre violento e della matrigna, una donna psicologicamente disturbata, consumata dal desiderio, reso vano dalla sua sterilità, di avere una figlia. A farne le spese è Daniel, che viene vestito e trattato da bambina non solo in casa, ma anche a scuola e in pubblico.
L’esperienza sarà traumatizzante: a partire da quel momento, Camargo sviluppa quell’odio e risentimento verso le donne (ed in particolare per le bambine, a cui era stato costretto ad assomigliare e che diventeranno le sue vittime favorite) che ne faranno uno spietato serial killer.
Quando la famiglia si trasferisce a Bogotá, Daniel trova nella scuola una valvola di sfogo: è molto intelligente e studioso e tra i banchi ottiene buoni risultati. Gioca a calcio e a pallacanestro e legge molto.
La famiglia, però, ancora una volta si frappone. Il padre, brutale e violento, con un severo problema di alcolismo, lo obbliga a lasciare la scuola e lo manda a lavorare perché contribuisca alle spese famigliari. Camargo è ancora minorenne e deve ubbidire, ma poi con gli anni, quando infine sfugge al controllo del padre, si fa una sorta di famiglia, con una donna di nome Alcira Castillo, con la quale ha due figli.
Daniel Camargo Barbosa: famiglia, Esperanza e il carcere
Sembra destinato ad un’esistenza mediocre, ma tutto sommato tranquilla, quando all’improvviso le cose cambiano. Perde infatti la testa per una ragazza, Esperanza, con cui costruisce un rapporto torbido che altererà la sua psiche fragile.
Ormai adulto, Daniel Camargo Barbosa ha un aspetto abbastanza innocuo. Magro, introverso, dall’aria inoffensiva, raggiunge appena 1,65 di statura.
Ha però una ossessione, che rivela ad Esperanza: quella di deflorare una vergine. Alcira non lo era, Esperanza nemmeno. Quest’ultima, però, accetta di aiutarlo a compiere la fantasia e per ben cinque volte riesce a circuire delle ragazzine, che porta nell’appartamento di Camargo, dove le droga e le offre all’amico, che può violentarle indisturbato.
È il 1964. La quinta vittima stuprata è appena una bambina, ma è determinata. Va dalla polizia e denuncia l’accaduto. Daniel ed Esperanza sono arrestati e per il futuro serial killer si aprono le porte del carcere, dove sconterà una condanna a otto anni.
Daniel Camargo Barbosa: il primo omicidio
Quando esce, Camargo Barbosa è un uomo pieno di risentimento verso la società. Ritiene che il castigo che gli è stato comminato sia stato troppo severo e d’ora in avanti, invece di cercare espiazione, deciderà di seguire l’istinto.
Trova lavoro come venditore ambulante, un’occupazione che gli permette quella libertà necessaria per compiere le violenze.
Il 2 maggio 1974, durante uno dei suoi giri si trova a Barranquilla, dove vede una bambina di nove anni che attira la sua attenzione.
Con un raggiro si apparta con lei. La violenta, le ruba la verginità, ma soprattutto questa volta Camargo oltrepassa il limite tra la vita e la morte. Per evitare di essere denunciato e finire di nuovo in carcere, questa volta, al termine della violenza sessuale strangola la sua vittima.
Commette, però, un errore grossolano lasciando sul luogo del delitto le merci che offre in vendita. Goffamente, cerca di recuperarle il giorno dopo e viene fermato dalla polizia, che lo accusa del crimine.
Al processo, non c’è pietà per un criminale recidivo ed il giudice, visti i precedenti, condanna Camargo a venticinque anni.
Daniel Camargo Barbosa: ancora in carcere e la fuga
Viene mandato nel penitenziario della Gorgona, un carcere che sorge sull’omonima inospitale isola, di 26 kmq, situata a trentacinque chilometri dalla terraferma.
Considerata ¨un inferno in terra¨ dal conquistador del Perù, Francisco Pizarro che dovette passarci tredici mesi in seguito ad un naufragio, la Gorgona è l’ultima tappa per assassini e stupratori che qui ricevono un trattamento brutale.
I prigionieri più deboli sono sottomessi allo stesso trattamento che hanno riservato alle loro vittime, torturati, seviziati e violentati, in una colonia penale disegnata sul modello dei campi di concentramento nazisti.
Daniel Camargo Barbosa sopravvive, e non solo, ma sarà l’unico carcerato a riuscire a scappare dal penitenziario della Gorgona quando organizza una fuga pari solo a quella del famoso Henri Charriere, il Papillon evaso dalle prigioni della Guayana francese.
L’isola è l’habitat ideale di differenti specie di serpenti velenosi e le acque che la circondano sono infestate da squali. Camargo, per scappare, usa la sua intelligenza. Per lungo tempo studia le correnti marine, le abitudini e gli orari delle guardie, fa tesoro dei racconti degli altri prigionieri che hanno tentato la fuga.
Il 24 settembre 1984 Camargo scappa.
È il giorno della Madonna della misericordia ed i controlli sono meno rigorosi. Riesce a nascondersi nella vegetazione e a costruire una zattera di fortuna con assi di legno tenute insieme dalle liane degli alberi tropicali e con questa affronta il mare.
Nessuno è mai riuscito nell’impresa e le autorità della Gorgona lo danno per morto, mentre i giornali riportano la trucida fine dello stupratore divorato dagli squali.
Sembra finita, invece l’incubo è appena iniziato.
Daniel Camargo Barbosa: l'Ecuador si bagna di sangue
Camargo è vivo. Ha raggiunto la costa e, rifocillatosi, è espatriato in Ecuador. All’inizio di dicembre si trova a Guayaquil, la città dove commetterà la maggioranza dei suoi crimini, cinquantaquattro omicidi secondo le sue deposizioni, settantuno in tutto il paese.
La prima vittima, una bambina di dieci anni, viene trovata dopo soli dieci giorni che Daniel Barbosa ha raggiunto il grande porto dell’Ecuador. Poco a poco, i macabri ritrovamenti diventano costanti.
Si tratta di bambine e di ragazze adolescenti che scompaiono in un’area ristretta ma impenetrabile, quella dei manglares, dei canali di mangrovie che crescono a ridosso della trafficata Via Perimetral, che delimita la zona pantanosa dai quartieri della periferia.
L’Ecuador non si è ancora ripreso dall’ondata di omicidi compiuta da Pedro Alonso López, il "Mostro delle Ande", che era stato arrestato solo quattro anni prima e aveva confessato l’uccisione di più di un centinaio di bambine in quel paese sudamericano.
L’incubo di quei giorni è tornato e sulle prime gli inquirenti non sanno in che direzione rivolgere le indagini. Non credono che ci sia di nuovo un maniaco in giro e preferiscono seguire la pista degli stupri di gruppo. Solo lentamente riescono a mettere insieme le prove che appuntano verso una sola persona e a dirigere un profilo che rimanda immancabilmente a un nuovo serial killer.
Camargo Barbosa, intanto, vive in una situazione di quasi indigenza. Per comprarsi qualcosa da mangiare fa da scaricatore al mercato, attività che gli vale meno di un dollaro al giorno e che non gli permette di avere dove dormire. Lo fa sulle panchine dei parchi pubblici e quando sente la polizia alle calcagna cambia città, continuando a uccidere a Quito, Machala, Nobol, Ambado e Quevedo.
L’uomo dimostra più dei suoi 54 anni ed il suo aspetto è quello di una persona provata dalle avversità della vita. Eppure, Camargo si avvale di questa sua apparente debolezza per avvicinare le sue vittime.
È ossessionato dalla purezza, dal simbolo casto della verginità, e quando deve scegliere si rivolge sempre a delle bambine o a delle adolescenti dall’aspetto impubere. Disprezza le prostitute simbolo non solo del peccato, ma di malattie ed infermità e le donne adulte, ritenute impure, che hanno già perduto da tempo la castità.
Bibbia in mano, si presenta in strada alle ragazze o alle bambine, raccontando di essere straniero e di essersi perso. Sta cercado il pastore di una chiesa evangelica e non sa come fare, chiede aiuto perché lo accompagnino alla ricerca del fantomatico predicatore.
Tante non gli danno retta e proseguono per la loro strada, ma altre accettano e quando la situazione diventa propizia, Camargo Barbosa le minaccia alle spalle con un coltello. È un uomo piccolo, ma è diventato forte grazie a scaricare casse al mercato e ha sviluppato negli anni una determinazione che non lascia scampo alle vittime.
Le obbliga ad appartarsi con lui sempre sotto la minaccia del coltello, al riparo degli arbusti che limitano con i canali delle mangrovie, dove il rumore del traffico cittadino si confonde con i suoni della natura. Le violenta e quando finisce, invece di lasciarle libere come ha promesso, le strangola.
La morte è un attimo unico ed irripetibile, dirà più tardi alla polizia e per questo Camargo cercherà sempre di memorizzarne ogni dettaglio. È attratto dai volti angelicali, dal pianto e le implorazioni delle ragazze, dall’essere padrone del loro destino. Non solo, per avere sempre presente quei momenti irrepetibili, porterà con sè dal luogo del delitto i ricordi delle povere ragazze uccise: anelli, collanine, capi di abbigliamento, ogni piccola cosa che possa ricollegare il suo gesto assassino ad una determinata vittima.
Finito il rituale, Camargo procede a smembrare i corpi a colpi di machete, un accorgimento con il quale vuole depistare gli inquirenti. Poi, si orina sulle mani per lavarsi del sangue e si cambia di camicia. Sempre lo stesso, sempre i soliti gesti.
Daniel Camargo Barbosa: la cattura definitiva
Daniel viene infine catturato il 26 febbraio 1986 a Quito, capitale dell’Ecuador. I delitti di Guayaquil hanno ormai attirato l’attenzione della polizia e l’uomo ha ripreso il suo cammino a ritroso, verso la natia Colombia, nel tentativo di scomparire per sempre dal paese e sfuggire così alla pressione delle autorità.
Non può, però, resistere al proprio istinto omicida e torna a colpire anche a Quito.
A fermarlo è una pattuglia della polizia, che lo nota su un marciapiede mentre cammina senza una mèta. È sporco, in stato confusionale ed ha tutta l’aria di un indigente che non sa dove andare. Gli agenti procedono a un controllo abituale, ma quando chiedono al barbone di fare vedere loro cos’ha nel borsone trovano dei capi vestiari insanguinati.
Camargo ha appena violentato e ucciso una bambina di 10 anni, Elizabeth Telpes.
Viene immediatamente incarcerato e durante l’interrogatorio rivela di essere lui l’autore dell’ondata di omicidi a sfondo sessuale che ha sconvolto l’Ecuador nell’ultimo anno e mezzo. È lui stesso a dare la cifra degli assassinii che ha commesso: 71, a cui c’è da aggiungere la piccola uccisa in Colombia.
Daniel Camargo Barbosa: le parole del mostro
Nei resoconti resterà sempre un alone di mistero su una parte della vita di Camargo, quella che va dal suo rilascio dopo la prima condanna a quando viene arrestato per l’omicidio della bambina di Barranquilla.
Secondo gli psicologi, il mostro ha ucciso più di una volta in Colombia e in Brasile, paese dove si trovava nel 1973, e per questo il numero delle sue vittime potrebbe essere molto più alto. Alcuni inquirenti parlano di almeno 150 delitti.
Camargo, el monstruo de los manglares, però, non farà mai riferimento a quel periodo, lasciando in sospeso le domande su quel passato scomodo e terribile.
Camargo, intanto, non dimostra nessun pentimento. Quando parla lo fa senza dimostrare alcuna emozione che non siano rabbia e odio. Agli inquirenti dice di aver agito per vendetta contro la società e nel profilo psicologico che ne viene tracciato risulta chiara la sua personalità psicopatica caratterizzata da una totale mancanza di responsabilità morale.
Ai giornalisti o agli psicologi che gli chiedono un’intervista chiede a cambio cifre da capogiro e quando accetta di parlare dimostra il cinismo tipico di chi non si rende conto delle nefandezze che ha compiuto.
Guida gli inquirenti sui posti dove ha sotterrato le vittime e spiega la sua maniera di agire, del perché ha sempre preferito le bambine, senza rimorsi, raccontando gli omicidi in forma precisa e metodica.
Daniel Camargo Barbosa: confessioni e condanna
Daniel Camargo Barbosa mantiene il suo comportamento sfrontato anche durante il processo. Ha studiato il codice processuale ecuadoriano e sa che non lo possono condannare a più di sedici anni di carcere.
Lo dice anche ai giornalisti, come se gli anni che lo attendono in prigione non siano gran cosa perché alla fine tornerà libero.
Francisco Febres Cordero e Marco Jurado sono gli unici due reporter che, fingendosi psicologi, riescono a strappargli una lunga intervista. La loro testimonianza sarà una delle poche che viene consegnata all’opinione pubblica. Magro, di bassa statura, il volto scavato, perenne sigaretta tra le dita, Camargo risponde con sicurezza alle domande dei falsi psicologi. Questi, si trovano di fronte ad una persona che definiscono brillante, con una cultura al di sopra della media, che oltre allo spagnolo parla inglese e portoghese.
Con loro ripercorre le tappe della sua vita, dall’infanzia infelice al primo omicidio, dalla fuga dalla Gorgona alle decine di assassinii compiuti in Ecuador. Freddo, lucido, Camargo ha una risposta a tutto, anche su sè stesso. Al contrario di quanto ha dichiarato agli inquirenti, confessa di essere pentito dei suoi crimini, anche se, ammette, nella sua testa si agita qualcosa che non può controllare.
L’esperienza con il mostro lascerà i segni. Febres Cordero, dopo essere stato rinchiuso in cella con Camargo per scattargli le foto con cui accompagnare il servizio, chiederà ed otterrà al suo direttore di essere riassegnato ad un altro settore. Dopo quell’incontro non vorrà più saperne della cronaca nera.
Intanto, i giudici emettono la condanna, ma proprio come aveva predetto Camargo la pena è a sedici anni di carcere.
Daniel Camargo Barbosa: il carcere e la morte
Lo portano prima a Guayaquil e quindi viene trasferito nel carcere di Quito, il "García Moreno", dove viene rinchiuso nella stessa cella del Mostro delle Ande, il famigerato Pedro Alonso López.
Come nella sua adolescenza, come negli anni trascorsi alla Gorgona e nelle sue vicissitudini in Ecuador (al momento dell’arresto, nel suo borsone aveva con sé Delitto e castigo di Dostoevskij) Camargo legge molto, da García Márquez a Herman Hesse, da Vargas Llosa a Stendhal.
Le guardie mantengono lui e López isolati dal resto dei carcerati per il timore di rappresaglie. Sarà però una precauzione inutile.
Il 13 novembre 1994 è domenica di visite nel carcere. La cella di Camargo è aperta. In essa fa irruzione all’improvviso un altro detenuto, Luis Masache Narváez, un giovane di 29 anni, il cugino di una delle sue vittime. Prende Camargo per i capelli e lo costringe ad inginocchiarsi: "è l’ora della vendetta", lo avvisa, e gli sferra otto pugnalate mortali.
Masache, una volta consumato il delitto, si abbevera del sangue del mostro, convinto che solo in quella maniera riuscirà a liberarsi dall’essere perseguitato dallo spirito maledetto dello stupratore. Una precauzione che non sortirà effetto: Masache, infatti, continuerà nelle sue azioni delittive, uccidendo ed amputando, sempre all’interno di quello stesso carcere dal quale non è mai più uscito.
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