L’assassino viene scoperto.
Il 3 gennaio, però, il cattivo tempo concede una tregua e finalmente gli elicotteri si alzano in volo.
Durante la ricognizione, una squadra avvista una figura umana giacere sul ghiaccio e, sopra il ponticello che sovrasta il fiume, un uomo che sta orinando. L’uomo rimonta in macchina e parte prima che riescano a identificarlo. Lo seguono, lo vedono parcheggiare e scoprono che l’auto appartiene a Clara Neal.
Il guidatore è Arthur Shawcross, quarantaquattrenne, quindi apparentemente oltre il range di età stimata, compreso tra i venticinque e i trent’anni. Su questo punto, è da notare come la discordanza rispetto al profilo tracciato sarà poi spiegata dal periodo di reclusione di Shawcross. È come se il tempo per lui non fosse passato: uscito di carcere ha ripreso esattamente da dove aveva lasciato.
Quando viene interrogato, Shawcross dice di pensare d’essere stato seguito perché aveva orinato nel bosco. Alla richiesta di mostrare la sua patente, confessa di non averla, e aggiunge d’essere stato in carcere per omicidio.
La notizia sorprende gli investigatori. Si rendono conto di trovarsi di fronte al serial killer, tuttavia non possono esserne sicuri e non vogliono commettere l’errore di torchiare un innocente per ottenere una confessione. Decidono di affidare l’interrogatorio all’esperto Charlie Militiello.
Shawcross viene condotto alla centrale e accetta di buon grado di rispondere alle gentili domande del detective. Rivela d’essere stato in carcere sedici anni prima, perché “due bambini erano morti”, ma insiste col dire che si trovava nei pressi di un cadavere per pura coincidenza. Nelle cinque ore successive, però, racconta d’avere penetrato analmente la bambina che aveva strangolato e parla della relazione sessuale avuta con la sorella quand’erano ragazzini. Forse è per questo che ha ucciso tanta gente in Vietnam, dice. Per ogni cosa che ha fatto, comunque, adduce pallide scuse.
L’impressione d’avere in mano la soluzione del caso anima Militiello, ma, mentre Shawcross parla, un esperto di profili insiste col dire che un pedofilo non cambia tipo di vittima.
Lo rilasciano, chiedendogli però di farsi fotografare. Con la sua foto la polizia si reca in Lyell Avenue.
Jo Ann Van Nostrand, la donna che aveva raccontato di come “Mitch” avesse manifestato uno strano interesse per il suo collo, vedendola, conferma: «È proprio lui!»
Il giorno successivo, Shawcross viene portato di nuovo in centrale e interrogato da Dennis Blythe, della polizia dello stato di New York, e Leonard Borriello, del dipartimento di Rochester. Messo alle strette, inizialmente si dichiara innocente. Comincia a cedere solo quando Blythe accenna a un possibile coinvolgimento di Clara.
«Lei non c’entra» geme, tenendosi la testa tra le mani.
Ventotto minuti dopo, sta parlando di Elizabeth Gibson: lei aveva provato a rubargli il portafogli e lui l’aveva schiaffeggiata più volte. La donna poi l’aveva colpito con un calcio e per bloccarla aveva dovuto premerle l’avambraccio contro la gola: era morta prima che se ne fosse reso conto. Era stato costretto a disfarsi del cadavere e l’aveva gettato nel primo posto che gli era sembrato adatto.
Quando Borriello però gli parla di certe prove raccolte sul corpo di June Cicero, un’altra vittima, crolla del tutto. Si fa mostrare una mappa e le foto delle vittime di casi irrisolti, elimina quelle che non ha ucciso.
Per ognuno degli omicidi dà poi una spiegazione: alcune lo avevano deriso per la sua mancata erezione, altre avevano provato a derubarlo, una non voleva star zitta, la barbona aveva minacciato di rivelare i loro incontri alla moglie e a Clara, la prima vittima l’aveva morso al pene durante un rapporto orale. «C’era sangue ovunque, credevo sarei morto... Le ho stretto la gola per dieci minuti buoni.» Fornisce quindi indicazioni sui luoghi in cui ha lasciato i cadaveri di due donne scomparse: Maria Welch e Darlene Trippi. Ammette l’omicidio di Felicia Stephens, una prostituta di colore, che dirà d’aver ucciso per provare a sviare le indagini, ma smentisce categoricamente di essere l’assassino di Kimberly Logan. «Non mi piacciono le negre.»
Nonostante il particolare delle foglie nella gola della vittima, del tutto analogo a quello messo in pratica con la piccola Karen Hill, non verrà condannato per questo delitto.
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