Arthur Shawcross, la storia del serial killer

Nome completo: Arthur John Shawcross

Soprannome: Genesee River Killer

Nato il: 6 giugno 1945

Morto il: 10 novembre 2008

Vittime accertate: 13

Modus operandi: uccisione per strangolamento. Ritorno sulla scena del delitto per deturpare i cadaveri. Episodi di necrofilia e riferiti, ma dubbi, episodi di cannibalismo.

Ultimo aggiornamento del dossier: 20 settembre 2008


Sulle pagine di LaTelaNera.com parliamo di Arthur Shawcross, conosciuto anche come il "Killer del fiume Genesee": è stato un serial killer statunitense che ha gettato un'ombra tetra sul sistema giudiziario degli Stati Uniti.

La sua storia è diventata un simbolo di terrore criminale. La sua "carriera" di omicida seriale è stata innescata dopo il rilascio dal carcere per l'omicidio colposo di due bambini. Invece di dimostrare una presunta riabilitazione, Shawcross ha sfruttato la libertà condizionata per seminare terrore attraverso una serie di efferati assassinii, principalmente di donne. Questo periodo di violenza ha esposto le falle del sistema giudiziario, innescando dibattiti sulle necessarie riforme nel sistema penale.


Arthur Shawcross: no strano bambino

Arthur John Shawcross nasce di sette mesi, il 6 giugno del 1945, nel Maine. Il padre, Arthur Roy, è un caporale dell’esercito: nell’attesa che egli termini il servizio militare, sua moglie Bessie porta il piccolo Arthur junior con sé a Watertown, nello stato di New York, a vivere a casa della cognata.

Watertown è una cittadina piccola e accogliente, pochi abitanti e un clima “familiare” che favorisce l’instaurarsi di solidi rapporti all’interno della comunità, soprattutto per la famiglia Shawcross, ben radicata nella zona. Nonostante però le favorevoli condizioni, il piccolo Arthur sente come estranei i suoi stessi parenti e comincia invece a interloquire precocemente con una serie di personaggi immaginari.

Accanto a questa tendenza a isolarsi dal mondo reale per interagire con quello fittizio costruito dalla fantasia, dopo la nascita del fratellino Jimmy, si rende protagonista di reiterati episodi di enuresi che costituiscono un primo significativo indizio del suo futuro da serial killer.

Enuresi/piromania/crudeltà con gli animali, è questa infatti la famosa Triade di MacDonald, i tre segnali che più spesso si riscontrano nelle infanzie di chi da adulto è diventato un omicida seriale.

Il piccolo Arthur bagna il letto in maniera cronica, diventando ben presto oggetto di scherno da parte di alcuni parenti.

A questa situazione di disagio familiare, va ad aggiungersi il mancato inserimento scolastico. Il suo rendimento non è cattivo, ma Arthur trascorre gran parte del tempo da solo, tenuto a distanza dagli altri bambini che guardano con sospetto il suo continuo dialogo a voce alta con interlocutori inesistenti. Per ingraziarsi alcuni dei ragazzini più grandi, comincia a bulleggiare con i piccoli e i deboli, e ad andare in giro con una barra di ferro da usare per picchiarli. A ogni colpo che infligge fa seguire effetti sonori simili a quelli dei fumetti: “Bang! Zap! Boom!”.

Dopo il suo arresto, un’insegnante racconterà come Shawcross a scuola apparisse "continuamente coinvolto in fantasie varie, all’interno delle quali percepiva se stesso come una persona diversa, meritevole di rispetto e dignità."

All’età di nove anni, visto il suo preoccupante comportamento, Arthur viene sottoposto a una serie di test psicologici per comprendere la causa del suo disagio. I medici che lo valutano riferiscono di “opprimenti sensi di inadeguatezza e di abbandono e rifiuto, sulla base dei quali ha sviluppato un forte risentimento nei confronti dei familiari, in particolar modo della madre.”

Parallelamente al rafforzarsi del comportamento antisociale, il suo rendimento scolastico subisce un netto peggioramento. Quando arriva in quinta elementare, ha già tre anni più degli altri bambini.
Come riferirà in seguito, già in questo periodo l’idea del sesso è sempre presente in lui, e si delinea col passare del tempo come un’ossessione da cui non riuscirà mai a liberarsi.

All’età di otto anni, Shawcross si masturba frequentemente e, stando a quanto affermerà agli psichiatri che lo esamineranno, intrattiene relazioni di sesso orale sia con bambini maschi che femmine, e pure con animali da allevamento, soprattutto pecore e mucche – una volta con un cavallo, e con una gallina che uccide durante un "gioco".
Le motivazioni di tale comportamento stanno nelle violenze che subisce da parte della zia, Tina.

Per la maggior parte degli omicidi seriali, i traumi psicofisici subiti in età infantile rappresentano uno dei motivi principali della formazione di personalità psicopatiche e antisociali: nel caso di Shawcross, l’elemento deviante, o quanto meno uno dei tanti, è una precoce iniziazione al sesso orale da parte della zia.
L’esperienza indirizza così gli immaturi istinti sessuali dello Shawcross bambino verso una pratica di cui non riuscirà più a fare a meno.


Arthur Shawcross: la fame di sesso

Passando dall’infanzia all’adolescenza, la situazione peggiora ulteriormente. Se da un lato Arthur è del tutto estraniato dal mondo reale e trascorre le giornate a vagare per i boschi, seguitando a parlare coi suoi immaginari compagni, dall’altro la sua attività sessuale subisce ancora un’accelerazione.

Da quando ha compiuto quattordici anni, intrattiene stabilmente una relazione di sesso orale con sua sorella Jeannie, sua cugina Linda, e un’altra adolescente che abita nei paraggi. In particolare, racconterà, un giorno viene sorpreso dal fratello di quest’ultima mentre le pratica del sesso orale e il ragazzo, minacciando di rivelare tutto ai suoi genitori, lo costringe a fare altrettanto con lui.

È in questo periodo che la fame di Shawcross per il sesso si mostra in tutta la sua insaziabilità, ed è in questo periodo che si forma nella sua mente il legame sesso-violenza.

Un giorno, mentre sta tornando da scuola, un uomo lo obbliga a salire sulla sua auto e tenendogli un coltello puntato alla gola gli pratica una fellatio. Arthur, però, non raggiunge l’orgasmo, e l’uomo, contrariato, decide di sodomizzarlo e picchiarlo. Da questo momento in poi, Shawcross non riuscirà più a provare piacere senza usare violenza.

Negli anni successivi, finita la scuola, cambia lavoro in continuazione, senza trovare un equilibrio professionale e soprattutto personale. Compie alcuni piccoli furti d’animali per i quali viene arrestato.

È diciannovenne quando, nel 1964, si sposa. Il matrimonio però dura solo quattro anni, durante i quali diventa padre.


Arthur Shawcross: il Vietnam

Una tappa fondamentale del suo percorso da assassino è l’anno 1968.
Shawcross viene spedito a combattere in Vietnam, ed è qui che imparerà cosa significa uccidere. L’orrore iniziale per la bruttezza della guerra viene presto sostituito dal piacere per l’essere “predatore”. Come racconterà dopo l’arresto, in guerra si rende protagonista di straordinarie violenze nei confronti di donne vietnamite.

Un giorno s’imbatte per caso in due di loro che nascondono armi in un albero cavo. Spara a una alla testa, e lega l’altra a un albero. Mentre è ancora viva, decapita la prima e sistema la sua testa su un palo, in modo che sia ben visibile ai soldati nemici che passeranno di là, le asporta una fetta di carne dalla gamba, la cuoce al fuoco e la mangia. Costringe invece la seconda a praticargli sesso orale, dopodichè spara anche a lei.

«Il Vietnam ha tirato fuori i miei istinti animali» dirà in seguito, cercando tuttavia di giustificare il suo comportamento con gli orrori propri del conflitto; come vedremo, sarà proprio una sua peculiarità quella di trovare continuamente miserevoli giustificazioni alle sue terribili gesta.

Uno dei più suoi agghiaccianti resoconti sarà il seguente: «Le puttane vietcong s’infilavano lamette nelle vagine, nascosti in piccole coppette delle quali non potevi sapere niente, fino a che non era troppo tardi. Quando i soldati le avrebbero scopate, si sarebbero affettati il pisello, o se lo sarebbero tagliato del tutto. Un giorno ero con certi ragazzi coreani: presero una puttana, le infilarono un idrante dentro e aprirono l’acqua. Morì all’istante. Il suo collo saltò lontano un piede dal resto del corpo. Un’altra volta, acchiappammo un’altra puttana e la legammo a due alberi piegati verso il basso. Aveva una lametta nella vagina, si tagliò dall’ano al mento, poi lasciammo andare gli alberi e lei si squartò a metà. La lasciammo così, a penzolare.»


Le prime vittime del serial killer Arthur Shawcross

Quando torna dal Vietnam, Shawcross è un uomo estremamente agitato: prende a picchiare di continuo la sua seconda moglie, Linda, sposata dopo un fidanzamento lampo poco prima di partire in guerra. Uno psichiatra consiglia alla donna di fargli seguire una terapia, tuttavia lei si rifiuta di firmare la pratica per il suo internamento.

Senza il supporto psichiatrico di cui avrebbe disperatamente bisogno, lo stato mentale di Shawcross peggiora sempre più.
Si trasferisce in Oklahoma e comincia ad appiccare incendi nel vicinato, poi dà fuoco a una fabbrica di carta e alla fabbrica di formaggio in cui lavora. Viene condannato a cinque anni di carcere, ma viene rilasciato due anni dopo, per aver salvato la vita a una guardia coinvolta in una rivolta dei detenuti. Subito dopo il rilascio, si sposa per la terza volta e vive di lavoretti temporanei.

In questo periodo ha molto tempo libero: lo trascorre pescando.
In riva al fiume conosce un gran numero di ragazzini che come lui passano il tempo in compagnia di una canna da pesca.

Corre l’anno 1972 quando comincia a uccidere.
La sua prima vittima è il piccolo Jake Blake, dieci anni. Lo rapisce, lo sodomizza e lo uccide. Ne violenta il cadavere, si ciba del cuore e dei genitali.

Dopo la scomparsa del bambino, la madre dichiara alla polizia di sospettare di Shawcross: i suoi figli sono stati a pesca con lui, giusto qualche giorno prima. Ma le indagini non conducono a nulla: nonostante l’uomo cambi più volte versione e si contraddica spesso, senza un cadavere e senza prove i poliziotti non possono procedere a un arresto.

L’interrogatorio e i sospetti delle forze dell’ordine dovrebbero indurre Shawcross ad abbandonare la sua strada omicida, ma ciò non accade. A distanza di poco tempo, questi ripete il suo rituale con una bambina di otto anni, Karen Ann Hill, il cui cadavere viene ritrovato sotto un ponte che attraversa il Black River. Accanto agli evidenti segni di violenza, gli investigatori scoprono foglie e fango spinti a forza nella sua gola e nei suoi vestiti.

Il detective Charles Kubinski pensa subito a Shawcross come possibile omicida.

Nonostante sia da considerarsi un serial killer “organizzato”, quest’ultimo non brilla certo per intelligenza (l'uomo ha un quoziente intellettivo di 89). Le prove che conducono a lui sono schiaccianti: confessa, e dà indicazioni sul luogo in cui si trova il cadavere del piccolo Jake. Viene condannato a venticinque anni di carcere, malgrado la sua improbabile difesa: afferma infatti di essere posseduto dallo spirito di un cannibale del XIII secolo, Ariemes, che lo obbligava al rapimento, all’omicidio e al cannibalismo.

In carcere, tiene un comportamento irreprensibile che gli permette di ingraziarsi parte dei membri della Commissione del riesame. Nell’aprile del 1987, dopo quindici anni di reclusione, viene proposto per il rilascio sulla parola, contro il parere del capo della commissione stessa, che dichiara pubblicamente: «A costo di sembrare melodrammatico, considero quest’uomo come il più pericoloso criminale liberato in questa comunità da tempo immemorabile.»

Purtroppo, però, il sistema penitenziario statunitense dimostra di non brillare per lungimiranza o per efficienza, e Shawcross torna in libertà.

Anche John Douglas, famoso profiler del Federal Bureau of Investigation (FBI), si interrogherà in seguito su questa assurda decisione. A dispetto del suo passato violento e dei presunti traumi infantili, la vita in prigione è stata talmente meravigliosa ed edificante da mostrare a Shawcross la luce e trasformarlo in un cittadino integerrimo? Oppure talmente orribile che il timore di ripetere l’esperienza è riuscito ad annullare il suo costante desiderio di stuprare e uccidere bambini? Ambedue le ipotesi sembrano davvero improbabili.

Il dottor Park Dietz nella sua relazione avrà modo di dire: «È difficile immaginare in quali circostanze questi individui dovrebbero essere restituiti alla società.» E lo stesso Ed Kemper, più intelligente di molti assassini e forse anche di molti psichiatri, aveva dichiarato che le autorità non avrebbero mai dovuto rilasciarlo.

Invece Shawcross è di nuovo in circolazione, ed è di nuovo libero di uccidere.
Uscito di prigione, in ogni caso, non è visto certo come un buon vicino di casa: i cittadini di due piccoli comuni manifestano contro la sua presenza e costringono le autorità a mandarlo da un’altra parte. Si trasferisce così a Rochester, dove nessuno lo conosce, assieme a Rose Walley, una donna con cui ha intrattenuto rapporti epistolari mentre era in carcere.

È qui che Ariemes si manifesta ancora, aiutandolo a uccidere undici donne nel giro di venti mesi.


Arthur Shawcross: ritorno all’assassinio

Il fiume Genesee, che scorre nei pressi di Rochester, è un affascinante corso d’acqua che gorgoglia in una gola, formando tre cascate dal forte impatto visivo. L’intera area offre zone dedicate ai picnic, ai cacciatori, ai pescatori, è meta di turisti e di amanti della natura. Nessuno aveva mai pensato a un posto simile come al luogo di un delitto, almeno fino al 1988...

Due mesi dopo il suo trasloco a Rochester, Shawcross inizia una relazione extraconiugale con Clara Neal, dalla quale si fa prestare l’auto. Il particolare pare di poco conto, ma in realtà è molto importante visto che in questo periodo il mezzo di trasporto che lui usa per muoversi è una bicicletta da donna.

Con l’auto di Clara, dunque, comincia a frequentare il distretto delle prostitute. Un giorno, ne carica una a bordo, la strangola, passa ore col cadavere e poi lo getta nel fiume.

È il 24 marzo 1988 quando il corpo viene ritrovato da un gruppo di cacciatori: il ghiaccio si sta sciogliendo, sulla superficie dell’acqua affiora il volto congelato di una giovane donna, identificata in seguito come Dorothy “Dotsie” Blackburn, 27 anni.

Il medico legale, eseguendo l’autopsia, rinverrà sul suo cadavere segni di percosse, di numerosi e violenti calci all’inguine, oltre che un trauma vaginale ed evidenti impronte di morsi, dati forse prima che la vittima fosse morta.

Gli omicidi di prostitute sono relativamente comuni, e spesso determinati da cause ordinarie, quali per esempio debiti con spacciatori, la polizia però, rendendosi conto di trovarsi di fronte a un caso insolito, richiede il supporto dell’F.B.I. Alcuni esperti, tra cui anche Robert Ressler, tracciano un profilo: l’uomo che cercano è bianco, sui trent’anni, dotato di un’auto.

Ma sfortunatamente nei mesi successivi non accade niente che possa aiutare a risolvere il caso. Altre prostituite vengono uccise, ma in circostanze che niente hanno a che vedere con la morte della Blackburn.
Passa un anno, e le indagini si interrompono.
Shawcross intanto continua a uccidere.


Arthur Shawcross: 1989 un anno di sangue

L’ennesimo licenziamento, causato dalla scoperta del suo passato da parte del principale, fa scattare in lui una rabbia che non riesce e, in qualche modo, non vuole controllare.
Preleva dalla strada una seconda prostituta con cui ripete i gesti compiuti la prima volta: la strangola e ne getta il cadavere nel Genesee.
Il corpo verrà ritrovato solo qualche tempo dopo, trasportato più a valle dall’acqua e in condizioni tali da rendere difficile la sua identificazione.

La terza vittima è una barbona con cui intrattiene una relazione sessuale e il cui cadavere viene rinvenuto il 21 ottobre 1989 da tre sportivi. Nel momento in cui i resti della donna vengono recuperati dagli investigatori, Shawcross si trova nei paraggi, all’apparenza un tranquillo e innocuo pescatore.

Sei giorni dopo, all’approssimarsi di Halloween, un quarto corpo viene trovato da un bambino che stava cercando la sua palla. Nonostante l’avanzato stato di putrefazione, si riesce a stabilire che ancora una volta la causa della morte è un’asfissia.

La stampa collega i quattro casi, di cui tre molto recenti, e si sparge rapidamente la voce di uno “Strangolatore di Rochester” o, come poi verrà unanimemente chiamato, del “Killer del Genesee River”.

Shawcross segue con attenzione gli sviluppi delle indagini, frequenta assiduamente il “Dunkin’ Donuts”, un locale in cui ha modo di incontrare i poliziotti che lavorano al caso, e addirittura esorta sua moglie e Clara a stare attente agli estranei.

Lo sconcerto della popolazione e lo stato d’allerta che la polizia raccomanda alle prostitute però non lo fermano.

Ne uccide altre due, prima di June Stotts, un’amica di Rose leggermente ritardata. A quest’ultima, esporta parte dei seni e della vagina, per mangiarli in un secondo momento, e pratica una lunga incisione dall’ombelico alla gola per favorire il processo di decomposizione.
Il fatto che non fosse una prostituta lo salva dall’arresto. Il compagno della ragazza, infatti, allarmato dalla sua assenza più lunga del solito, si reca alla polizia e ne denuncia la scomparsa. Le aveva raccomandato di non avvicinarsi a macchine sconosciute e dunque non ritiene che sia stata uccisa dal serial killer, tuttavia è preoccupato. La polizia annota la cosa, ma l’unico pensiero, al momento, è capire chi potrebbe essere la nuova vittima.
Shawcross non viene fermato.


La polizia assiste all’escalation

Il 21 novembre1989 viene ritrovato il corpo di Kimberly Logan, una prostituta di colore che batteva dalle parti della Lyell Avenue, strada da cui provenivano pure altre vittime. Prima dello strangolamento era stata presa a calci all’addome e nella sua gola spinte foglie bagnate.

Otto giorni dopo cade il Giorno del Ringraziamento. Mark Stetzel sta portando a spasso il suo cane. Quando quest’ultimo lo trascina verso un punto lontano dal sentiero che stanno percorrendo, pensa si tratti di uno dei suoi soliti capricci da animale.
Un piede scalzo, però, sbuca fuori dall’acqua melmosa.

Gli investigatori si recano sul posto e già a prima vista ipotizzano di trovarsi di fronte a una nuova vittima del serial killer. Il corpo sembra essere in quel posto da almeno due o tre settimane, ma l’assassino è sicuramente tornato sul luogo dopo il suo abbandono.
Il “livor mortis” indica che il cadavere ha giaciuto sulla schiena per lungo tempo, mentre loro lo hanno trovato bocconi: l’omicida l’ha spostato in un secondo momento, e la posizione suggerisce l’abbia penetrato analmente. Voltandolo, scoprono un taglio lungo tutto il tronco.
Ancora non lo sanno, ma June Stotts è stata ritrovata.

Quando l’identità della vittima viene scoperta, un dubbio si affaccia allora nell’indagine: non essendo la Stotts una prostituta, ed essendo stata ritrovata a 7 miglia dagli altri siti, è possibile che ci sia un altro assassino in circolazione?

Viene chiamato a Rochester l’Agente Speciale dell’F.B.I. Gregg McCrary, ma prima che possa arrivare si scopre un nuovo cadavere, quello di Elizabeth Gibson.
La donna era stata vista parlare con un certo “Mitch”, che già era stato segnalato come sospetto alla polizia, ma di cui non si era riuscito a risalire alla vera identità.

McCrary giunge in città il 13 dicembre 1989, assieme a Ed Grant, un ufficiale a cui ha chiesto una mano, e inizia subito col porre dei punti fermi alle indagini.

L’analisi dei dati raccolti su tutti gli omicidi indica che non c’è mai stato “assalto sessuale” dopo la morte della vittima, e ciò pare indicare che il killer sia affetto da qualche tipo di disfunzione erettile, o comunque che abbia un problema nel portare a termine un atto sessuale. Forse è il fatto che le prostitute lo deridano per la sua impotenza che gli fa perdere il controllo e lo spinge all’assassinio. In ogni caso, scrive McCrary nei suoi appunti, è chiaro che si tratti di un tipo “straordinariamente ordinario”.

Alcuni particolari, poi, fanno pensare che sia sposato o fidanzato, che svolga un lavoro manuale e che viva non molto distante dalla Lyell Avenue. Le condizioni di ritrovamento di June Stotts, infine, lasciano supporre che ami far ritorno sul luogo del delitto, per prendere “souvenir” o per deturpare i cadaveri, ed è quindi utile sorvegliare i siti, anche con elicotteri.

Con l’inizio del nuovo anno, il 1990, la polizia è alle prese con 4 donne scomparse e nessun cadavere. L’inverno non aiuta le indagini, c’è neve dappertutto, il fiume è gelato e gli elicotteri non possono volare.


L’assassino viene scoperto

Il 3 gennaio, però, il cattivo tempo concede una tregua e finalmente gli elicotteri si alzano in volo.
Durante la ricognizione, una squadra avvista una figura umana giacere sul ghiaccio e, sopra il ponticello che sovrasta il fiume, un uomo che sta orinando. L’uomo rimonta in macchina e parte prima che riescano a identificarlo. Lo seguono, lo vedono parcheggiare e scoprono che l’auto appartiene a Clara Neal.

Il guidatore è Arthur Shawcross, quarantaquattrenne, quindi apparentemente oltre il range di età stimata, compreso tra i venticinque e i trent’anni. Su questo punto, è da notare come la discordanza rispetto al profilo tracciato sarà poi spiegata dal periodo di reclusione di Shawcross. È come se il tempo per lui non fosse passato: uscito di carcere ha ripreso esattamente da dove aveva lasciato.

Quando viene interrogato, Shawcross dice di pensare d’essere stato seguito perché aveva orinato nel bosco. Alla richiesta di mostrare la sua patente, confessa di non averla, e aggiunge d’essere stato in carcere per omicidio.
La notizia sorprende gli investigatori. Si rendono conto di trovarsi di fronte al serial killer, tuttavia non possono esserne sicuri e non vogliono commettere l’errore di torchiare un innocente per ottenere una confessione. Decidono di affidare l’interrogatorio all’esperto Charlie Militiello.

Shawcross viene condotto alla centrale e accetta di buon grado di rispondere alle gentili domande del detective. Rivela d’essere stato in carcere sedici anni prima, perché “due bambini erano morti”, ma insiste col dire che si trovava nei pressi di un cadavere per pura coincidenza. Nelle cinque ore successive, però, racconta d’avere penetrato analmente la bambina che aveva strangolato e parla della relazione sessuale avuta con la sorella quand’erano ragazzini. Forse è per questo che ha ucciso tanta gente in Vietnam, dice. Per ogni cosa che ha fatto, comunque, adduce pallide scuse.

L’impressione d’avere in mano la soluzione del caso anima Militiello, ma, mentre Shawcross parla, un esperto di profili insiste col dire che un pedofilo non cambia tipo di vittima.

Lo rilasciano, chiedendogli però di farsi fotografare. Con la sua foto la polizia si reca in Lyell Avenue.
Jo Ann Van Nostrand, la donna che aveva raccontato di come “Mitch” avesse manifestato uno strano interesse per il suo collo, vedendola, conferma: «È proprio lui!»

Il giorno successivo, Shawcross viene portato di nuovo in centrale e interrogato da Dennis Blythe, della polizia dello stato di New York, e Leonard Borriello, del dipartimento di Rochester. Messo alle strette, inizialmente si dichiara innocente. Comincia a cedere solo quando Blythe accenna a un possibile coinvolgimento di Clara.
«Lei non c’entra» geme, tenendosi la testa tra le mani.

Ventotto minuti dopo, sta parlando di Elizabeth Gibson: lei aveva provato a rubargli il portafogli e lui l’aveva schiaffeggiata più volte. La donna poi l’aveva colpito con un calcio e per bloccarla aveva dovuto premerle l’avambraccio contro la gola: era morta prima che se ne fosse reso conto. Era stato costretto a disfarsi del cadavere e l’aveva gettato nel primo posto che gli era sembrato adatto.

Quando Borriello però gli parla di certe prove raccolte sul corpo di June Cicero, un’altra vittima, crolla del tutto. Si fa mostrare una mappa e le foto delle vittime di casi irrisolti, elimina quelle che non ha ucciso.

Per ognuno degli omicidi dà poi una spiegazione: alcune lo avevano deriso per la sua mancata erezione, altre avevano provato a derubarlo, una non voleva star zitta, la barbona aveva minacciato di rivelare i loro incontri alla moglie e a Clara, la prima vittima l’aveva morso al pene durante un rapporto orale. «C’era sangue ovunque, credevo sarei morto... Le ho stretto la gola per dieci minuti buoni.»

Fornisce quindi indicazioni sui luoghi in cui ha lasciato i cadaveri di due donne scomparse: Maria Welch e Darlene Trippi. Ammette l’omicidio di Felicia Stephens, una prostituta di colore, che dirà d’aver ucciso per provare a sviare le indagini, ma smentisce categoricamente di essere l’assassino di Kimberly Logan. «Non mi piacciono le negre.»
Nonostante il particolare delle foglie nella gola della vittima, del tutto analogo a quello messo in pratica con la piccola Karen Hill, non verrà condannato per questo delitto.


Arthur Shawcross: il processo dell'assassino seriale

Di fronte alla corte, seguendo il consiglio del suo avvocato, Shawcross si dichiara innocente e chiede l’infermità mentale. Il suo sarà uno dei più controversi processi del recente passato, terreno di scontro per interminabili dispute tra psichiatri.

Viene esaminato da Dorothy Lewis, del Bellevue Hospital di New York. Durante i loro incontri, la dottoressa lo sottopone più volte a ipnosi, facendolo regredire fino ai primi anni di vita. Shawcross assume altre personalità, fra cui anche quelle di Ariemes e di sua madre, in una scena che ricorda in maniera bizzarra il film Psycho. Quest’ultima però rigetta ogni accusa di violenza e lo denuncia.

Tutte le persone che lo hanno conosciuto e hanno fatto parte della sua infanzia e adolescenza vengono interrogate. La sorella dichiara di non aver mai avuto rapporti di sesso orale con lui e tutti sono concordi nel dichiarare che non aveva mai bagnato il letto e che non aveva mai mostrato crudeltà verso gli animali. La storia delle violenze sessuali subite dalla zia Tina diventa dubbia quando sua madre dichiara di non avere una sorella che si chiami in quel modo.

I reduci dal Vietnam del suo battaglione non lo ricordano e rivelano che erano stati assegnati a una zona molto tranquilla, dove non si combatteva affatto.

Sembra che tutti i terribili racconti di Shawcross siano delle pure invenzioni.

Contattato dal capo del collegio d’accusa, Robert Ressler accetta di analizzare i suoi resoconti. In breve tempo li giudica fasulli: «Shawcross sta menando la Lewis per il naso.»

Al termine delle perizie, anche lo psichiatra Richard Krauss dichiara l’uomo sociopatico, sano e non affetto da PTSD (Disturbo da Stress Post Traumatico). Shawcross, dice, tende a recitare drammatiche storie che cambiano a ogni racconto, a seconda di chi sia l’interlocutore e di cosa probabilmente questi vorrebbe sentirsi dire, e, in particolare, gli episodi di cannibalismo compaiono nei suoi resoconti solo dopo che molte persone l’hanno già intervistato. Il dottor Krauss, tuttavia, non verrà mai chiamato a testimoniare.

La difesa però continua a sostenere la tesi dell’infermità mentale. Il suo avvocato definisce Shawcross: “emozionalmente instabile, lento e disadatto nei processi di apprendimento, geneticamente condannato, biochimicamente in forte disordine, psicologicamente alienato e sofferente delle conseguenze di forti traumi subiti durante l’infanzia.”

Gli elementi su cui fa più affidamento sono due patologie di difficile interpretazione.

La prima arma della difesa è un’alterazione genetica. Shawcross presenta un’eccessiva quantità di “urine kryptopyrrole” nelle urine, come conseguenza di un cromosoma Y di troppo (XYY). Questa anomalia viene ritenuta, creando un precedente nella giurisprudenza dello stato di New York, causa di un “parziale senso di disorientamento e di una progressiva perdita di ambizioni, di potenza sessuale e di senso di adattabilità sociale”.

Il secondo particolare su cui poggia la linea difensiva è il riscontro da parte della dottoressa Lewis dell’esistenza di una piccola cisti benigna in un lobo temporale.
«Il cervello è un organo sensibile» afferma la psichiatra. «La più piccola ferita, o tumore, o cisti, può, in certe circostanze, causarne un’anormale attività elettrica.»
A suo parere, l’irregolare tracciato encefalico della regione temporale è stato un motivo dei comportamenti “animaleschi” dell’imputato. Shawcross si trovava in uno stato di fuga mentale, al momento degli omicidi: ipotizza un caso di personalità multipla.

In seguito, John Douglas osserverà come tale teoria nasconda numerose pecche. Innanzitutto, a distanza di mesi Shawcross era stato in grado di raccontare nei dettagli gli omicidi commessi e inoltre aveva assunto delle iniziative per non essere scoperto. È poi documentato come gli unici rari casi di personalità multipla si manifestino nella prima infanzia, addirittura nella fase preorale. Quando si parla di personalità multipla per gli adulti, stranamente, è sempre riguardo a individui processati per omicidio.


Colpevole!

Quando il processo entra nel vivo, la dottoressa Lewis scopre che il neurochirurgo incaricato di esaminare Shawcross non l’ha fatto: si è limitato a dirsi d’accordo con lei sull’opportunità di condurre altri accertamenti, senza però eseguirli.

Viene allora presentata una richiesta di rinvio, che il giudice ignora. «Avrei dovuto tornarmene a casa» dichiarerà in seguito la Lewis, la quale tuttavia decide di restare e andare avanti. È il suo secondo errore.

A confronto con l’esperto dell’accusa, Park Dietz, appare confusa e disorganizzata. Dietz convince la giuria del fatto che Shawcross sia un manipolatore e un bugiardo. Non c’è nessuna dissociazione della personalità.

Intanto, come ha fatto durante tutto il processo, Shawcross siede al tavolo degli imputati in apparente stato di catatonia, sembra in trance, incapace di comprendere ciò che gli sta intorno. È ancora uno dei suoi ultimi tentativi: lontano dagli sguardi dei giurati è invece molto loquace e addirittura capace di scherzare.

Dopo cinque settimane di testimonianze e dimostrazioni in aula, la giuria giunge al verdetto. Arthur Shawcross è perfettamente sano e colpevole dell’omicidio di dieci persone.
Il giudice lo condanna a 250 anni di carcere.

Shawcross è infine morto per arresto cardiaco il 10 novembre 2008. Per salvarlo dall'infarto viene trasportato d'urgenza dal carcere all'ospedale Albany Medical Center, ma viene dichiarato deceduto alle ore 21:50.


Arthur Shawcross: l’intervista

La fama di cannibale che si è costruito coi suoi dubbi racconti induce la reporter inglese Katherine English a intervistarlo per il documentario Cannibal: The real Hannibal Lecter.

Shawcross si lancia in orribili rivisitazioni dei suoi crimini, rivelando macabri particolari, come l’aver ingerito i genitali del piccolo Jake Blake. Nel corso del colloquio, in ogni caso, si prende continuamente gioco della giornalista: le dice di non essere disposto a parlare di certe cose con una donna, e però le racconta di come abbia mangiato la carne di una prostituta in Vietnam.

«Che sapore aveva?» gli domanda lei.
«Quando è stata l’ultima che hai assaggiato della buona carne di maiale arrosto?» le risponde.
«Perché l’hai mangiata?»
«Non ne ho idea», con un sorriso.
«Avevi fame?»
«No.»

Quando parlano delle prostitute, lui ripete: «Signora, è difficile parlarne.» (non era stato però difficile farlo coi terapisti che dovevano dimostrare la sua infermità mentale)
Alla fine, accenna all’essersi cibato di parti di vagina.
«Avevano un significato simbolico?»
«Credevo di stare uccidendo mia madre, capisce, quelle cose che mangiavo... pensavo fosse mia madre.»
Ma tutte le persone che hanno avuto a che fare con lui dubitano che abbia mai assaggiato davvero carne umana.
Sono in molti a crederlo: Arthur Shawcross non è mai stato un cannibale.


Arthur Shawcross: curiosità

Il 19 settembre del 1999, le autorità carcerarie di New York hanno condannato Shawcross a due anni di isolamento, dopo aver scoperto che spediva, in cambio di vestiti e scarpe, i suoi disegni a dei venditori che li mettevano all’asta su Internet.
«Non possiamo tollerare che i prigionieri intraprendano attività commerciali mentre sono in custodia sfruttando la notorietà creata dai loro crimini», queste le parole di un ufficiale della Commissione carceri.

Copie di un suo disegno erano comunque in vendita sul sito Supernaught.com

Vista le revoca della possibilità di disegnare, ha poi cominciato con lo scrivere ricette. Famosi i suoi “biscotti coi lombrichi”.
Egli stesso ritiene che molte delle pietanze che suggerisce non otterranno il consenso dei lettori.
Personalmente, voglio credere abbia ragione.

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Giuseppe Pastore

La copertina del libro Il sogno del buio (Storie dal NeroPremio)
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La copertina del libro Per chi è la notte (Storie dal NeroPremio)
La storia del serial killer Andrei Chikatilo

La storia del serial killer Robert Berdella

La storia della serial killer Leonarda Cianciulli

La storia del serial killer Jeffrey Dahmer

La storia del serial killer Ted Bundy

La storia del serial killer Charles Manson

La storia del serial killer Albert Fish

La storia del serial killer Ed Gein

La storia del serial killer Aileen Wuornos

La storia del serial killer Richard Ramirez
La copertina del libro Figlio del tuono (Storie dal NeroPremio)

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