Andrei Chikatilo, la storia del serial killer

Nome Completo: Andrei Romanovich Chikatilo

Soprannome: il Mostro di Rostov

Nato il: 16 Ottobre 1936

Morto il: 14 Febbraio 1994

Vittime Accertate: oltre 53

Modus operandi: strangolamento, sevizie e mutilazioni sessuali, episodi di cannibalismo.

Ultimo aggiornamento del dossier: 21 novembre 2014


Genesi di un omicida: l’infanzia del serial killer

Il Mostro di Rostov, l’Hannibal Lecter russo, Evilenko al cinema e lo Squartatore di Rostov: tanti nomi per un solo individuo, all’anagrafe rispondente ad Andrei Romanovich Chikatilo, nato il 16 ottobre 1936 in un villaggio dell’Ucraina.

Figlio di contadini in un’epoca in cui il cannibalismo era diffuso e milioni di persone morivano di stenti per le condizioni di vita terribili da una parte all’altra della Russia, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale suo padre è catturato dai tedeschi e farà ritorno a casa molti anni dopo.

Durante l’invasione delle Germania, egli assiste al rapimento della madre da parte di un gruppo di soldati della Wehrmacht, ma le notizie a riguardo sono comunque pochissime e confuse anche per quanti, medici e studiosi a vario titolo, hanno cercato nell’infanzia le cause che hanno originato una personalità così deviata e disturbata.

Di vero c’è che la giovinezza di Andrei è colma di miseria e d’impotenza fisica così evidente da essere motivo di scherno agli occhi dei compagni di scuola.

Ma l’episodio a cui si dà la responsabilità maggiore della sua follia è quello capitato al fratello maggiore Stepan, morto durante una grave carestia nel 1930, prima ucciso e poi mangiato dalla folla affamata per evitare la stessa sorte; questo racconto lo segnò profondamente a tal punto da credere di avere una qualche colpevolezza da espiare per la sciagura.

Tuttavia non esiste alcun documento che provi l’esistenza di tale fratello, bensì è assodato che patisse di una disfunzione sessuale che lo rese (quasi) impotente a vita.

All’età di 19 anni un altro incubo: è chiamato a prestare il servizio militare e lì viene subito etichettato come omosessuale finché egli denuncia di essere stato violentato. Nel 1960 lasciata la divisa, l’ennesimo appuntamento con una ragazza, fallito a causa dell’impotenza e della reazione di lei che lo mette alla berlina di fronte agli amici, non fa che gettare altra benzina sul fuoco dell’odio verso le donne.

Tenta di iscriversi alla facoltà di Legge dell’Università di Mosca ma viene respinto, così a 24 anni trova lavoro come operatore telefonico a Rostov. Da subito l’integrazione con i colleghi è difficile e quando viene sorpreso a soddisfare i suoi impulsi sessuali con la masturbazione non manca di essere ridicolizzato.

Nel 1963 gli presentano un’amica della sorella, Feodosia (o Fayina?), con la quale si sposerà e nonostante i loro rapporti a letto siano fin dalla prima notte disastrosi la giovane moglie non si arrenderà al primo fallimento e due anni più tardi nascerà il primo figlio Lyudmil (1965) seguito da Yuri (1967).

Nel frattempo frequenta l’Università e fa un corso per corrispondenza finché dopo tanti sacrifici si laurea in Letteratura russa presso la Libera Università di Arte di Rostov.

È il 1971, e comincia per lui una nuova carriera di insegnante. Fin da subito però i suoi rapporti con gli alunni non sono dei migliori, è schernito e poco amato: questo capita alla maggior parte dei docenti, ma nel suo caso è segno premonitore di allarmanti episodi futuri.

Tre anni dopo, durante una lezione in piscina con la scolaresca, afferra una quindicenne e inizia ad accarezzarla con insistenza fermandosi solo quando le urla della giovane attirano i presenti.
Ma non basta.

Solo due settimane più tardi trattiene con una scusa oltre l’orario scolastico una studentessa di 14 anni e inizia a picchiarla con un righello finché non raggiunge il piacere.
La ragazza denuncerà l’accaduto e Andrei dovrà dimettersi. Tuttavia troverà lavoro in un’altra scuola, ma la sua fama da allora in poi sarà quanto meno “impopolare”, soprattutto dopo il tentativo di avere un rapporto orale con un quindicenne nel sonno.

È soltanto l’inizio di quello che si nasconde dietro un anonimo borghese, un professore padre di famiglia e uno stimato membro attivo del partito comunista - quest’ultimo fatto è stato alla base di una lettura politico-metaforica che associa la sua vicenda al crollo degli ideali di una vita (sono gli anni della Perestrojika) - dall’equilibrio psichico fragile fin dall’infanzia e ora in procinto di cadere nell’abisso della follia.


Il primo omicidio: Lena Zakotnova, nove anni

È una fredda sera d’inverno del 1978 e mancano pochi giorni a Natale quando Lena Zakotnova di nove anni sta tornando a casa da scuola infagottata nel suo cappotto rosso. Abita a Shakty, una piccola cittadina vicino Rostov nel sud della Russia, conosce bene la strada, ma quel giorno si è fermata più del solito a chiacchierare con i compagni e ha fatto tardi. Così lungo la strada incontra un signore gentile che le offre una vera rarità: gomme da masticare importate. Tentata, si lascia convincere e lo segue fiduciosa. Lena non tornerà più a casa. Quella notte ha preso per mano l’Uomo Nero.

Andrei Chikatilo la conduce in una baracca abbandonata. La spinge per terra e le strappa i vestiti, le monta a cavallo strusciandosi, ma non basta, come non bastano le dita a penetrarla, la vista del sangue lo eccita e ne vuole sempre di più. La sevizia e accoltella per il piacere di farlo, poi la strangola.

Adesso sa come raggiunge l’orgasmo: la dominazione, la mutilazione, l’agonia delle sue vittime e il terrore della lama del suo coltello impresso nello sguardo (a questo proposito, alla fine di tutto le ferisce agli occhi convinto che così mantengano impressa l’ultima immagine della loro vita trucidata). È il 22 dicembre, due giorno dopo il corpo della bambina verrà ripescato nelle acque del fiume Grushovka.

È il primo di una serie di delitti in cui le vittime sono tutte giovanissime, perlopiù bambini e adolescenti, e la dinamica è sempre la stessa: li abborda con qualche promessa di regali e li invita a seguirlo in luoghi appartati per poi stuprarli, seviziarli, mutilarli e ucciderli a coltellate o strangolati. Nessuno può fermarlo.

Vive una doppia vita e nessuno sospetta che dietro un padre modello e professore di scuola si nasconde qualcuno che spinto da un’eccitazione sessuale incontrollata uccide degli innocenti: è il serial killer dei bambini.


Gli omicidi successivi al primo: ouverture di sangue

I sospetti sull’omicidio della piccola Lena cadono su di lui. La polizia sta interrogando casa per casa e alcuni residenti dichiarano di aver visto Chikatilo nella zona al momento dei fatti, ma sua moglie lo scagiona subito affermando che è stato a casa tutta la notte. Così le ricerche prendono un’altra direzione. Ormai è inarrestabile.

La sua prossima vittima è una diciassettenne di nome Larisa Tkachenko. Quel 3 settembre 1981 ha marinato la scuola cittadina di Rostov e lo incontra per strada.
Iniziano a chiacchierare e lui propone di raggiungere un posticino tranquillo in una pineta fuori città. Strada facendo in mezzo alla boscaglia, l’odore della pelle e il sudore della ragazza sono sufficienti a scatenarlo tanto da spingerla a terra e iniziare a spogliarla. Le ficca in gola un pugno di terra per smorzare le sue urla e poi la strangola. Con questo inizia a defluire in lui quella sensazione di benessere abbinata alla lussuria, che lo strappa via dalla vittima solo quando è morta.

Col passare del tempo e soprattutto dei morti, affina la sua tecnica abbastanza da permettergli di mantenere in vita più a lungo le prede per soddisfare le proprie voglie. Con il coltello provoca ferite superficiali per vederle lottare e piangere di più, poi mangia gli organi genitali. Preferisce farlo mentre loro sono ancora vive, mentre gli strappa a morsi i capezzoli, il naso e la punta della lingua prima di recidere gli occhi.

Nove mesi più tardi la prossima vittima: una tredicenne che gli regala l’orgasmo solo dopo il sangue e le urla.

La stessa sorte tocca a una ragazza di quattordici anni seguita di un mese da un bambino di nove.

E ancora tre giorni dopo una sedicenne viene uccisa, passano due settimane e succede lo stesso a una diciottenne e a un ragazzo di sedici anni. È una lista lunghissima.

Dai corpi delle femmine asporta il seno a colpi di coltello, distrugge l’utero e l’addome, ai maschi mutila il pene, lo scroto e l’ano. Oltre naturalmente a cibarsi di alcune parti. La furia omicida accelera al punto tale che la polizia scopre un cadavere al giorno.

Intanto Andrei lascia il suo lavoro d’insegnante per uno di commesso viaggiatore, questo implica di dover viaggiare abbastanza distante dalla familiare Rostov per conto della ditta. Proprio attraverso questi viaggi trova un’ampia scelta di giovani vittime da colpire, oltretutto scagionandolo da eventuali sospetti per via della distanza. Molte di queste infatti vivono centinaia di miglia lontano dalla sua abitazione rendendo difficile un qualsiasi collegamento dei fatti.

Nell’estate del 1983 uccide una sedicenne dell’Armenia, poi una ragazza russa di tredici anni, seguita da una ventiquattrenne senza fissa dimora, un ragazzo di diciotto e una prostituta di diciannove e ancora uno studente di soli quattordici anni.

L’anno dopo li seguono una diciottenne e un alcolizzato che viene ritrovato senza naso e con il labbro superiore strappato. Non lo ferma nemmeno la scoperta di un ragazzino di undici anni nei dintorni di casa sua, due mesi dopo, con 54 pugnalate.

Nel maggio del 1984 è la volta di Tanya Petrosan e della figliola undicenne Sveta durante un picnic. La bambina si allontana con la sua bambola lasciando la madre in compagnia del demonio. La donna tranquilla e rilassata invita Chikatilo a consumare un rapporto sessuale, ma quando si accorge che è impotente inizia a deriderlo. Saranno le ultime risate prima di trovarsi piantato nella testa un coltello da cucina. Quando più tardi la bambina fa ritorno e vede il corpo della madre in un lago di sangue in mezzo al prato inizia a urlare. La ritroveranno decapitata.

Seguono altri tre cadaveri privati dell’utero. Stavolta durante l’autopsia viene identificato lo sperma di un maschio con gruppo sanguigno AB al quale appartiene “solo” il 6% della popolazione russa. È il primo errore, ma non basta: fermato e interrogato, viene rilasciato nonostante i numerosi sospetti, perché il suo sangue appartiene al gruppo A.

Sollevato per averla fatta franca, il suo regno di terrore continua, come e più di prima. Si rifà subito con una diciottenne strangolandola e colpendo 34 volte prima di ucciderla, poi le strappa gli occhi.

La pressione delle autorità aumenta e il mostro di Rostov si prende un anno sabbatico diminuendo la sua attività, ma solo per poco, per iniziare con sei nuovi omicidi.

Ormai l’area intorno a Rostov “scotta” sorvegliata giorno e notte da agenti in borghese, Andrei ne è consapevole e decide di uscire dal suo habitat per colpire una giovane donna di ventidue anni sistematicamente mutilata dei capezzoli e degli organi genitali.

Il 19 novembre 1990 a Novocherassk è il giorno del suo arresto. Confesserà 53 delitti, così ripartiti: 21 bambini, 14 bambine e 18 giovani donne, tutte violentate, mutilate e in parte mangiate, ammettendo anche di aver provato eccitazione sessuale nel farlo.

Che quella sessuale sia stata del resto la causa scatenante nessuno ha più dubbi. Sono passati dodici anni dal primo omicidio. Il regno di terrore di una generazione.


La cattura del serial killer Andrei Chikatilo

Fin dal principio il caso è affidato ai due detective Viktor Burakov e Colonel Fetisov. La serialità degli omicidi fa convergere i sospetti su un pregiudicato di nome Aleksandr Kravchenko, età venticinque anni, che in passato ha commesso reati simili. L’uomo è estraneo ai fatti, ma la polizia riesce comunque a estorcere una confessione per venti omicidi e nel settembre 1984 finisce davanti al plotone d’esecuzione. Ma è la mano di Chikatilo a premere il grilletto.

Convinti che giustizia sia stata fatta, la polizia archivia il caso fino a quando non vengono ritrovati i corpi mutilati di altri adolescenti.

A questo punto le autorità chiedono aiuto a un noto psicologo russo (quello che oggi chiameremmo profiler, ossia uno psicologo specializzato nello studio e modalità dei crimini seriali nonché della psiche di chi li commette) Aleksandr Bukhanovsky che ne traccia un profilo definendolo il “cittadino X”. Proprio da quella “X” si deduce l’estrema difficoltà nell’individuare quello che risulta secondo il medico un uomo di mezza età, forse sposato e con figli, ma che ha subito un trauma nella sfera sessuale che lo porta a privare degli organi genitali i corpi delle sue vittime.

Sembra il ritratto di Andrei Chikatilo: un uomo dalla doppia vita. Da padre ideale di famiglia e insegnante di scuola a mostro spietato che nasconde sotto una maschera di gentilezza e affabilità la lama affilata della follia omicida scatenata dall’impulso sessuale e maniacale.

Lungo una scia di morti innocenti la polizia intensifica i controlli, ha individuato quello che ritiene il campo d’azione del serial killer dei bambini e pattuglia l’area con decine di agenti in borghese.

Durante un controllo presso una stazione ferroviaria viene fermato un professore di scuola di mezza età. Nella borsa trovano un tubetto di vaselina, una corda, asciugamani sporchi e un coltello da cucina. È abbastanza per credere che sia lui la persona ricercata e poter mettere la parola fine dietro una vicenda drammatica, ma qualcosa va storto. Il test del DNA lo scagiona: non combacia con quello presente nello sperma trovato sui corpi delle vittime.

Tuttavia viene condannato per il furto della tela cerata a un anno di carcere che non farà mai, grazie alla clemenza del giudice. Chikatilo torna a piede libero.

Violenta e uccide ancora. Fino al novembre del 1990 quando le autorità riescono a incastrarlo: questa volta confessa tutti i 53 delitti e ammette l’eccitazione provata nell’uccidere, mutilare e cibarsi di alcune parti dei loro corpi, quasi tutti bambini. Addirittura porta la polizia sui luoghi del delitto e ricostruisce come su un set cinematografico i fatti con l’aiuto di manichini al posto delle vittime.

Più tardi dichiarerà: «Badate tutti a cose inutili. Che cosa pensate possa aver fatto?... Non sono un omosessuale... ho il latte nei mio petto e sto per partorire!»

Resta il mistero della differenza tra lo sperma ritrovato e il sangue che contiene le proteine geneticamente determinate e il DNA. Infatti al momento del primo arresto Chikatilo risultò appartenere al gruppo sanguigno A, mentre dalle analisi del seme maschile il ricercato doveva essere del gruppo AB. La scienza spiega la cosa come una rara mutazione genetica che può portare a una divergenza tra le proteine e il DNA stesso: Chikatilo era uno di questi casi.


Prigionia, sentenza, sconto della pena

Il processo ad Andrei Romanovich Chikatilo, istituito nel 1992, lo vede preda della follia più completa: arriva a negare di essere l’autore di quegli orrendi crimini da lui stesso confessati.

Fortunatamente le registrazioni lo inchiodano e giudicato capace di intendere e di volere e responsabile degli omicidi a lui ascritti, viene condannato a morte con un colpo di pistola alla testa.

Lo riceverà in ginocchio davanti al boia il 14 febbraio 1994 nel penitenziario di Mosca, dopo aver trascorso gli ultimi sei mesi in isolamento in una vera e propria gabbia.

Sembra addirittura che alcuni istituti mentali abbiano reclamato a titolo di studio, e dietro la promessa di grosse somme di denaro, il suo cadavere, che secondo le dicerie riposa per essere analizzato dalla scienza.


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