Interrogatorio e confessione del Terminator ucraino
Alla centrale di polizia, Kryukov ha una montagna di prove, ma non riesce a ottenere l'unica cosa di cui ha realmente bisogno: una confessione. Anatoly non è interessato a parlare e soprattutto non vuole parlare con lui, non ha reazioni, solo qualche sporadico e tranquillo sorriso.
"Parlerò con un generale, non con te".
Kryukov decide di contattare l'investigatore capo di Yavoriv Bogdan Teslya, considerato da tutti un esperto in interrogatori difficili. Alle dieci di sera Teslya resta solo con Anatoly e comincia a parlargli.
Onoprienko prima tace, poi, improvvisamente, dopo mezz'ora, inizia a raccontare all'investigatore la sua infanzia, la sua rabbia verso il padre, allora Teslya tenta il tutto per tutto e chiede se quell'odio per il padre non è forse diventato odio per tutte le famiglie.
Anatoly tace, esita e si richiude a riccio. Vuole parlare con un generale.
Alle undici Teslya lascia il posto al Generale Romanuk e Anatoly Onoprienko dà il via alla sua confessione.
Citizen O: il processo, la condanna e la morte
Il 23 novembre 1998 il tribunale di Zhytomyr dichiara che il trentanovenne Anatoly Onoprienko "non soffre di alcuna malattia mentale, è perfettamente in grado di intendere e di volere e il suo stato non richiede ulteriori perizie psichiatriche".
Il processo inizia il 12 febbraio 1999 nella città di Zhytomyr. Anatoly, così come in passato è successo al serial killer Andrei Chikatilo, in aula è rinchiuso in una gabbia di ferro, dileggiato e sbeffeggiato dal pubblico presente che non perde occasione di dimostrargli la sua rabbia.
"Lasciatemi cinque minuti sola con lui" dice una donna presente a un'udienza "non bisogna fucilarlo, deve avere una morte lenta e dolorosa".
Proprio per evitare che qualcuno decida di farsi giustizia da solo, la polizia perquisisce chiunque voglia assistere al processo e in tribunale viene montato un metal-detector di quelli usati negli aeroporti.
Nel frattempo Anatoly non ha molta voglia di parlare. Quando gli chiedono se vuole fare qualche dichiarazione scuote le spalle e risponde che non ha niente da dire e, informato dei suoi diritti, conclude "è la vostra legge", dichiara di non avere nazionalità e non riconosce l'autorità del tribunale.
"Tu non sei in grado di dirmi chi sono" grida al giudice Dmytro Lypsky "non vedi tutto il bene che sono venuto a fare e non mi comprenderai mai. C'è una grande forza che controlla tutto questo. Tu non sarai mai in grado di capirla. Forse solo tuo nipote potrebbe".
Il difensore di Anatoly non nega le colpe del suo cliente, ma calca la mano sulla sua infanzia disperata e chiede una pena più mite. Il Pubblico Ministero Yury Ignatenko sostiene che l'imputato possiede una natura violenta e crudele, naturalmente portata all'omicidio. Secondo lui, Onoprienko merita il massimo della pena.
Anatoly, intanto, non batte ciglio, sembra quasi che il processo non lo riguardi.
"Oggi potrei uccidere e senza nessuna ragione. Oggi sono una bestia al servizio del diavolo".
Il primo aprile 1999, dopo appena tre ore di Camera di consiglio, la giuria lo condanna a morte per fucilazione.
"Ho rubato e ho ucciso, ma sono un robot, non sento niente. Sono stato vicino alla morte così tante volte che ora penso sia più interessante avventurarmi nell'oltretomba per vedere cosa c'è dopo".
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