Serial Killer: il modello motivazionale Douglas, Ressler e Burgess
Vediamo qui il modello motivazionale di Douglas, Ressler e Burgess (1995).
Esso si compone di cinque elementi: l'ambiente sociale del soggetto, gli eventi formativi dei periodi dell'infanzia e dell'adolescenza, le risposte a questi eventi (spesso traumatici), le risultanti azioni verso gli altri e le reazioni del killer alle sue azioni assassine attraverso il "mental feedback" fra fantasie e razionalità.
1. L'ambiente sociale
Gli studiosi delle relazioni familiari sostengono che le interazioni fra la famiglia e l'individuo sono elementi fondamentali per la crescita e la formazione di un'immagina positiva di sé. Per un bambino in crescita il genere di attaccamento alla famiglia si tradurrà in uno schema generale di come comprenderà e categorizzerà le cose al di fuori della famiglia stessa e influirà in modo decisivo sul suo grado di adeguamento sociale.
Nella nostra popolazione di assassini questi legami falliscono inesorabilmente per una ragione o l'altra. Gli adulti non sono efficaci nell'imporre una corretta disciplina accompagnata da adeguate spiegazioni sulle norme di comportamento.
Spesso non hanno reazioni per quanto riguarda i problemi manifesti dell'individuo che sta crescendo. Adottando un atteggiamento indifferente riguardo a problemi di droga o di comportamento di un adolescente si può sostanziare la sua visione di essere stato incastrato dalla società e di non essere in realtà colpevole di niente.
Non solo gli adulti non sono in grado di fornire delle linee guida per il fanciullo ma spesso impongono indiscriminatamente ai figli aspettative e valori adulti, con il risultato di scoraggiare i ragazzi da qualsiasi interazione con gli altri facendoli sentire incapaci ed emarginati.
Da questa emarginazione nasce il rifugio nel mondo delle fantasie.
2. Eventi formativi
Tre fattori contribuiscono al livello di formazione di questo modello.
Il primo è il trauma, in forma di abuso fisico, psicologico o sessuale.
Durante gli anni formativi i soggetti da noi trattati sono frequentemente vittime di eventi fortemente negativi. Questi eventi possono essere traumi diretti come violenze subite in prima persona o traumi indiretti, come assistere a scene disturbanti. L'ambiente non reagisce in nessun modo ai traumi del soggetto, favorendone l'isolamento e non premettendogli nessun tipo di recupero.
L'assunzione di Douglas e Ressler è che gli eventi traumatici nella memoria dell'individuo formino il modo in cui i suoi pensieri si sviluppano riguardo alla sua interazione con il mondo. Lo vediamo negli schemi di gioco da adolescenti e negli schemi di pensiero da adulti.
Gli schemi di gioco contengono fissazioni riguardanti gli eventi traumatici, e spesso sono rivisitazioni, possibilmente con i ruoli invertiti, dei traumi stessi.
La stessa cosa accade per gli schemi di pensiero e di fantasia, che contengono allegorie ed elementi legati a questi eventi.
I soggetti vengono lasciati soli con il loro mondo fantastico all'interno del quale ricreano situazioni sulle quali possono esercitare il controllo del quale nella realtà non hanno esperienza.
Un secondo assunto è che queste esperienze moleste influenzano il modo in cui il soggetto si relaziona con altri.
Spesso il risultato è che il ricordo e la fissazione del trauma provoca una iper o una ipo sensibilità e quindi un eccessivamente alto o eccessivamente basso livello di eccitazione, nervosa ed emotiva.
Se questi livelli sono alterati, le relazioni interpersonali ne risentiranno perché il soggetto avrà reazioni anormali e ricercherà stimoli continui e anomali. Una dimostrazione di questo assunto è il fatto che molti di questi killer colpevoli passano il test della macchina della verità con estrema facilità. I fattori analizzati dal poligrafo sono: conduzione elettrica della pelle, battito e frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, livello di ansia. Dunque se queste persone hanno un livello di attivazione delle emozioni più basso, possono comportarsi naturalmente in presenza della macchina e niente di quello che provano davvero sarà rivelato.
Il fallimento delle relazioni interpersonali, il nostro terzo elemento, rappresenta l'inefficienza da parte dei genitori di fornire un modello di comportamento socialmente adeguato. Il padre o la madre possono essere alcolizzati, oppure il bambino può essere testimone di episodi in famiglia in cui la violenza e gli elementi erotici sono strettamente legati.
Vale, qui più che mai, il classico principio dell'educazione che vedere un padre che esercita la violenza con successo in famiglia può insegnare al bambino l'insana lezione che la violenza funziona, all'interno del microcosmo della famiglia come nel macrocosmo della società.
3. Risposte agli eventi
Le risposte agli eventi e il modo in cui il soggetto si comporta sono divisibili in due grandi categorie: i tratti critici della personalità e le funzioni e i processi cognitivi.
Nella crescita e nel positivo sviluppo di un bambino i tratti personali positivi come fiducia, sicurezza e autonomia aiutano a stabilire le relazioni dell'individuo con gli altri.
Queste caratteristiche, combinate con un ambiente sano e positivo, aiutano il bambino a sviluppare competenza sociale e fiducia in se stesso e negli altri.
C'è stata invece una propensione per tutti e trentasei gli individui del gruppo di serial killer a sviluppare tratti di personalità negativi invece di positivi. Questi tratti negativi interferiscono con la formazione di relazioni sociali e con lo sviluppo di emozioni e risposte emotive nei confronti dell'ambiente sociale.
Il bambino basa il suo sviluppo emotivo sulle proprie fantasie e sui loro temi dominanti invece che sulle relazioni sociali. Questa spaccatura netta è quella che secondo il parere degli agenti e degli scienziati a essi allineati, crea la differenza.
I tratti che emergono in questa fase sono un senso di isolamento sociale, una preferenza per le attività autoerotiche, una forte tendenza alla ribellione, aggressività e un senso di essere privilegiati e di sentirsi autorizzati a fare qualsiasi cosa. Le conseguenze di questo stato sono una generale sfiducia nelle relazioni umane e una ben radicata rabbia verso la società che li rifiuta.
Il cronico mentire dell'assassino riflette una mancanza di fiducia e di possibilità di scambio reciproco con gli altri. Al contrario egli sviluppa invece un senso di autorizzazione implicita a fare tutto quello che vuole come conseguenza della rabbia e dello spostamento della colpa sulla società. L'isolamento sociale e la rabbia interagiscono impedendo uno sviluppo sessuale basato sull'amore, il piacere della vicinanza e dello scambio affettivo.
Le funzioni cognitive
Per quello che riguarda le funzioni e i processi cognitivi, con questi termini facciamo riferimento a quell'insieme di schemi cognitivi che servono per il controllo e lo sviluppo della vita interiore e che poi legano l' individuo al contesto sociale.
L'insieme delle funzioni cognitive genera il significato degli eventi per un individuo.
Esso è anche diretto a preservare uno stato interno di tranquillità e di calma attraverso la riduzione dell'ansia, del terrore e, molto importante, della sensazione di impotenza. Le funzioni cognitive sono generate e sostenute dagli elementi da noi già presi in considerazione: il contesto sociale e le interazioni con esso.
Quando il contesto sociale è critico e le interazioni traumatiche, le funzioni cognitive si orientano a sostenere l'individuo e si organizzano in schemi fissi di pensiero e di comportamento.
Nel nostro caso, nei futuri serial killers si sviluppano unicamente funzioni negative, volte cioè a riparare i traumi ed equilibrare gli stati emotivi sempre e comunque in risposta a una serie di eventi e di convinzioni che si autoalimentano. Gli schemi divengono fissi. L'individuo ne diventa vittima perché gli schemi di pensiero e le conseguenti fantasie sono concepite unicamente per un equilibrio interno attraverso la riduzione della tensione.
Le altre persone vengono escluse a priori, per timore.
È specificamente in questo momento che i temi di controllo e di dominio sugli altri prendono il sopravvento sulla vita interiore dei soggetti.
Essi divengono un sostituto per il senso di dominio delle situazioni che nella vita reale non viene provato. Il dialogo interiore risulta anch'esso impoverito e orientato al pensiero ripetitivo e fortemente guidato da pregiudizi su cause, effetti e probabilità degli eventi.
Il pensiero si struttura e si abitua a ragionare per assoluti e luoghi comuni, perdendo la capacità di discriminare sul momento e bloccandosi su una serie di schemi e di idee fisse a proposito delle persone e di quello che esse pensano.
In questo modo i livelli di attivazione emotiva e di eccitazione dei soggetti finiscono per concentrarsi unicamente intorno agli schemi fissi che hanno sviluppato; in più la realtà deve risultare paradossale e iperbolica per suscitare le stesse forti emozioni delle fantasie.
Da qui la continua ricerca di stimoli forti e sensazioni inusuali.
4. Le azioni verso gli altri
Il comportamento di una persona è guidato dal suo mondo interiore.
I bambini che crescono senza grandi problemi cambiano e adattano il loro pensiero ogni giorno per conseguenza delle sfide e degli stimoli che il mondo esterno e le persone pongono loro.
Questa flessibilità è sconosciuta al serial killer da bambino.
Per primo le esperienze che fa nel senso dell'illegalità e della crudeltà verso gli animali e gli altri passano inosservate e impunite o perlomeno il bambino è in grado di rifugiarsi nel suo mondo interiore per rendersi comunque conto che le sue azioni non sono sbagliate e che aveva il diritto di fare le cose che ha fatto.
Secondo, le convinzioni che il bambino rinforza ogni giorno non trovano nessuna sfida o nessun riscontro nel mondo esterno, in pratica non avendo la possibilità di interagire con gli altri il bambino è solo e nel suo isolamento non può trovare stimoli per mettere in discussione quello che pensa ma soltanto autoconferme.
Per conseguenza le azioni violente verso il mondo, orientate a provare le stesse sensazioni di dominio e di controllo che caratterizzano il mondo interiore del soggetto, diventano sempre più crude e senza rimorso.
Si passa dalla crudeltà sugli animali e la piromania nella prima infanzia, alle violenze sui compagni e ai conflitti con gli adulti nell'adolescenza, ai crimini veri e propri subito dopo, furti, aggressioni, stupri, omicidi.
E' difficile arrestare un serial killer incensurato. Tutti gli assassini detenuti confermano questi dati e questo tipo di percorso; non esiste nessuno di questi uomini che non ha già avuto qualche genere di guaio con genitori, educatori, tutori della legge. Molti di essi vengono spesso arrestati in relazione a crimini minori, magari incriminati per furto, per stupro o banalmente per una lite condominiale. Si pensi al recente caso eclatante di Timothy McVeigh, l'uomo che ha piazzato la bomba ad Oklahoma city che ha scosso l'America e provocato centinaia di morti; fermato per guida privo di patente, l'agente accertatore ha notato che aveva avuto guai penali mentre era nell'esercito e che più di una volta era stato incriminato per porto abusivo d'armi e per ingiustificato uso di armi da fuoco in luogo pubblico. Soltanto dopo una notte in prigione grazie agli arguti sospetti degli agenti che hanno gestito il caso, la polizia e la stampa internazionalesi sono rese conto di chi fosse l'uomo in realtà.
5. Il feedback mentale dell'assassino
Chiamiamo questa parte feedback mentale perché l'assassino risponde alle sue azioni con una serie di considerazioni mentali che a loro volta influenzano le sue azioni future. Si è potuto notare infatti che le azioni dei serial killers subiscono dei cambiamenti così come le loro fantasie e il loro modo di porsi verso la società, il crimine e le altre persone.
In quanto la realtà del crimine è molto diversa da quello che i soggetti immaginano, la loro psiche reagisce fornendo nuove vesti alle fantasie stesse, adattandole alle nuove informazioni, creando giustificazioni per le azioni sempre più articolate e convincenti. Alcune di queste sono così forti che molti di questi criminali a un certo punto del loro percorso ingaggiano una vera e propria lotta con la polizia e la società sotto forma di macabro gioco. Per aggiungere eccitazione e sensazione di dominio e controllo quello che fanno assume nella loro mente una veste di sfida e di aperta dimostrazione della loro superiorità.
Purtroppo le menti di questi uomini sono molto diverse dalle spettacolarizzazioni mediatiche di cui sono protagonisti; l'inquietante sguardo di Anthony Hopskins e il suo sagace e intelligentissimo personaggio Hannibal sono molto diversi dai serial killers del mondo reale.
Con pochissime eccezioni quelli che vengono ritenuti una classe a parte di criminali geniali e privi di rimorso che sfidano le regole e la morale della società non sono altro che patetici e quasi autistici casi clinici. Corrotti e impoveriti da una vita di pensieri uno uguale all'altro questi uomini usano le loro intelligenze sovente unicamente per tentare di eludere la legge il più a lungo possibile. Naturalmente esistono delle eccezioni e, benché gli anni formativi e le principali esperienze prima dell'inizio dei crimini coincidano per la maggioranza dei soggetti, alcuni si distinguono per la capacità di prevedere le mosse della polizia e della società e per l'abilità che dimostrano nel far perdere tracce di sé.
Serial Killer: il Modello Diathesis-Stress
Questo modello è molto simile a quello proposto da Douglass, Ressler e Burgess. Si chiama Diathesis-stress model. È stato postulato per la prima volta in modo ufficiale da Gottesman e Shields nel 1982. Fondamentalmente propone come motivazioni alla base della formazione della personalità del serial killer una combinazione tra fattori biologici innati e ambiente sociale. La definizione individua i fattori genetici come causa primaria però non sufficiente a generare il fenomeno.
Hans e Marcus (1987) hanno compiuto un'interessante analisi della schizofrenia in una prospettiva di Diathesis-stress, sottolineando rispettivamente il concetto di vulnerabilità costituzionale, indicando l'eredità genetica come fattore di fondamentale importanza nella genesi della malattia, le responsabilità dell'ambiente familiare, le precoci manifestazioni comportamentali anomale dei soggetti.
Le basi di questa teoria sono biologiche, non tutti i bambini con infanzie terribili diventano serial killers, alle spalle c'è una costituzione di un certo tipo che predispone la recettività del soggetto a una determinata risposta introspettiva ed essenzialmente violenta.
La combinazione di un ambiente traumatico e di una naturale predisposizione a risposte condizionate generano dei conflitti a livello di concetto e di stima di sé.
Questi conflitti sono spesso aggravati dalla natura sessuale dei traumi e automaticamente dalle risposte ai traumi.
A questo punto la teoria prevede che queste premesse generino una serie di risposte interne distorte e consequenzialmente un ritiro all'interno di un mondo di fantasie, unico garante di tranquillità e di familiarità per l'individuo in preda ad avvenimenti giudicati più grandi di lui.
La teoria sembra simile a quella già affrontata se non che, a questo punto, si osserva una descrizione di un processo che inevitabilmente porta ai primi crimini e non a una modificazione della fantasie e a una correzione delle azioni come abbiamo già visto; piuttosto a uno sviluppo di una forte capacità di dissociazione.
Praticamente quello che succede è che si varcano i confini della fantasia interiore e i soggetti sperimentano un vero e proprio sdoppiamento che finisce inesorabilmente per far prevalere la parte violenta della persona.
La fase che segue consiste nella comparsa di un ciclo auto-alimentante di azioni di matrice ossessivo-compulsiva. Il killer ha ormai capito cosa soddisfa la sua fantasia, ha scoperto la sua ossessione, sa che è soltanto una questione di tempo prima che succeda di nuovo.
A volte si inganna, prende tempo, qualche volta prova rimorso per i suoi atti. Rimanda perché non ha tempo, mette in discussione la sicurezza delle sue azioni. Oramai è entrato in un circolo vizioso che sarà sempre più esigente.
È per questo che molti non reggono la pressione delle proprie stesse urgenze.
Il ciclo si ripete, sempre più spesso, la voglia, la fame, l'impulso all'azione è sempre più pressante. Così spesso si commettono imprudenze che risultano fatali. L'elegante e sofisticato Ted Bundy, inesorabile nello sparire nel nulla, verso la fine della "carriera" commette una stupidaggine dietro l'altra in preda a una vera e propria frenesia.
Jeffrey Dahmer viene alla fine arrestato in preda a uno stupore quasi ipnotico, la sua psiche è così satura e distorta dalle dissociazioni che non è più in grado di orientarsi.
|