Serial Killer: definizioni, dinamiche, patologie, modelli

Presentiamo sulle pagine de LaTelaNera.com un lungo articolo scritto dal Dottor David Papini. Indice dell'Opera

1. Introduzione
2. Definizioni e precisazioni
3. Sviluppo Storico
4. Dinamiche di comportamento
5. Patologie
6. Psicodinamica
7. Modelli motivazionali
8. Modelli minori
9. L'infanzia del serial killer
10. Le fantasie violente


Serial Killer: introduzione

Perché tutto questo nascente interesse intorno al fenomeno serial killer?
L'argomento, come popolo e come nazione, ci riguarda marginalmente, ma in realtà ma ci stiamo accorgendo che alcune tendenze nei delitti di cronaca nera degli ultimi 20 anni portano nella direzione degli assassini seriali.

Delitti di un certo tipo ne abbiamo sempre avuti, ma nelle pagine dei giornali stanno affiorando sempre più crimini cosiddetti "inspiegabili" e portati a compimento con efferatezza spesso inaudita. Fino agli anni ottanta, l'unico vero caso famoso a livello nazionale di serial killer inteso come assassino sessuale era stato quello del Mostro di Firenze.
Ma il crimine si evolve, come si evolve la psicologia delle persone e delle popolazioni, e in realtà questo tipo di criminalità è in continua espansione anche da noi.

Fonti governative statunitensi affermano che il fenomeno ha avuto una crescita del 450 per cento negli ultimi dieci anni. È vero che l'America alberga il 75 per cento dei "nati per uccidere" ma il fenomeno è in espansione anche da noi, soprattutto in Russia e nella vicina Gran Bretagna.

In Italia ne abbiamo avuti 27 dal 1982 al 2002. Siamo al quinto posto dopo USA, Gran Bretagna, Francia, Canada e Giappone. Mitizzati, glorificati e commercializzati dai media, questi criminali godono sempre più di attenzioni provenienti da ogni direzione; psicologi, criminologi e persone comuni.
II mito collettivo di serial killer è Hannibal Lecter, ambiguo e seducente personaggio del film di Jonathan Demme Il silenzio degli innocenti. Il primo volto che appare nella mente di chiunque abbia visto quel film è il suo. I serial killer sono anche così, ma di certo non sono tutti geni perfidi e scaltri.

La maggior parte di queste persone hanno dei forti problemi psicologici, spesso al confine con la schizofrenia e le patologie connesse. Sono degli emarginati semi-autistici con enormi ego.

Vorrei adesso chiarire alcuni miti che circondano l'aura dell'assassino seriale distinguendo una volta per tutte le informazioni veritiere da quelle false.

1. I serial killers sono intelligentissimi
Vero in parte. Come già detto, spesso queste persone hanno quello che macabramente si può definire un "talento" nel manipolare gli altri per il proprio interesse. Per il resto, soltanto meno della metà presenta quozienti di intelligenza superiori alla norma.

2. I serial killers "giocano" con la polizia una partita vinta in partenza scrivendo lettere e lasciando falsi indizi
Anche questo, vero in parte. Gli assassini seriali sono, nella maggioranza dei casi, dei patologici narcisisti e delle inguaribili primedonne. Se scrivono lettere alla polizia può essere per vari motivi.
Il primo, farsi notare, far vedere al mondo quanto sono stati bravi, quanto sono in grado di controllare le situazioni e quanto si estende il loro potere di vita e di morte sulle persone che hanno la sfortuna di incontrarli al momento sbagliato. In realtà tentano di guarire quell'insanabile depressione che li coglie dopo ogni assassinio, rivivendo le emozioni del momento del crimine e tentando di legittimare e di dare un senso più ampio alle loro azioni.
Un secondo motivo può essere quello di cercare di fuorviare gli inquirenti, di fare quel gioco con la polizia e i media all'interno del quale si sentono di comandare e di spadroneggiare. Nella maggior parte dei casi sono anche tentativi di apparire psicotici e "malati", in caso un giorno vengano presi.

È il caso di David Berkowitz che scriveva lettere piene di cose senza senso al capo della polizia di New York. Ha ammesso poi dopo l'arresto che si trattava di una serie di falsità per sviare le indagini.

In generale questo genere di comunicazione a una via sola è la dimostrazione palese di un patetico tentativo da parte di questi criminali di attrarre attenzione mentre cercano in realtà di dire a sé stessi che la loro vita ha un senso e quello che fanno è giusto perché in quel momento hanno il coltello dalla parte del manico.

3. I serial killers sono freddi calcolatori che sfuggono alla giustizia
Falso. La maggioranza di questi assassini uccide nel momento in cui l'occasione gli si presenta. Certo, molti di loro vanno a "caccia" per ore, giorni, mesi.

Certo, molti di loro portano sempre con sé gli "attrezzi del mestiere". Ma la loro capacità di pianificare il loro futuro non va oltre l'atto criminale, che racchiude il senso delle loro vite. Sono quasi completamente privi della capacità di pensare le cose in prospettiva e gli atti con le loro conseguenze. Orientano tutte le loro facoltà all'omicidio e conseguentemente alla giusta occultazione del cadavere, senza un minimo di preoccupazioni per quello che potrebbe succedere il giorno dopo.

4. Alcuni serial killers sono i classici impiegati di banca che poi di notte diventano mostri
Falso. È molto raro che questo genere di assassini siano onesti cittadini che si trasformano in terribili assassini.
Le eccezioni ci sono, ovviamente e forse la più rappresentativa di queste è il caso di John Wayne Gacy.

Tutto il resto del campione medio della popolazione degli assassini seriali, in realtà, si compone di uomini che vivono da soli o con donne a loro volta problematiche, quando non ancora con la famiglia, che probabilmente non si accorgerebbe di loro neanche se si dessero fuoco in giardino.

Persone fortemente emarginate e avulse dalla vita sociale, che raramente rivolgono la parola a qualcuno o che, in ogni caso, possiedono una genuina freddezza d'animo che non tradisce nessuna emozione. Questi criminali molto raramente palesano le loro tendenze omicide in contesti diversi da quello dell'assassinio.

Serial Killer: Definizioni e precisazioni

Come si riconosce un assassino seriale e in cosa si differenzia dall'omicida comune?
L'F.B.I. lo definisce come "qualcuno che ha ucciso in almeno tre occasioni, con quello che possiamo chiamare un periodo di pausa in mezzo a ognuna" (Ressler, 1970).

La definizione è molto ampia e presenta una lunga serie di distinzioni e di specificazioni.
Steven Egger (1990) aggiunge una nota molto importante: "Il movente non è materiale o monetario ma si crede che sia la soddisfazione dei desideri dell'assassino di avere il controllo totale sulle sue vittime".

Entriamo nello specifico.
La distinzione più autorevole dalla quale iniziare è senz'altro quella di Vincenzo Mastronardi e George B. Palermo, due psicologi e criminologi statunitensi, i quali scindono il fenomeno fra Serial, Mass e Spree Murder.

Il serial killer è colui che uccide in almeno tre occasioni con un periodo di "cooling -off", di "raffreddamento" nel mezzo. È sottolineata l'importanza del periodo intermedio, il fatto che ogni evento omicida sia vissuto come emozionalmente distinto e separato. I delitti hanno ciclicità temporale.

Lo spree killer (assassino compulsivo) commette omicidio di due o più persone in un lasso di tempo molto breve, in luoghi differenti però contigui, in modo che gli omicidi confluiscano in un unico evento, come se fosse stato colto da un raptus omicida.

Il mass murderer (assassino di massa) uccide quattro o più persone all'interno dello stesso luogo e dello stesso episodio.

A livello macroscopico si può affermare che, dal punto di vista dell'assassino, un serial killer pensa di farcela a non essere catturato e molto spesso prende tutte le precauzioni per farla franca, mentre un mass murderer non crede di uscire vivo dall'episodio. Infine uno spree killer vede così poco lontano dal suo naso da non averci probabilmente neanche pensato.

L'assassino di massa è il tipico "esaltato" che entra in una scuola e apre il fuoco su chiunque gli capiti davanti, è l'impiegato che fa strage nel suo posto di lavoro. Molto spesso c'è un "messaggio" che questo assassino deve inoltrare alla società e per farlo è disposto a sacrificarsi.
Frequentemente si considerano come qualcuno che non ha niente da perdere in ogni caso.

C'è stato recentemente un episodio perfettamente rappresentativo di questa categoria: in Svizzera, più unico che raro per il paese, un ex-impiegato del Comune ha fatto strage di parlamentari con il suo fucile di ordinanza, eredità del servizio militare.

Gli spree killers storici e più esemplari a noi tutti conosciuti sono Bonnie e Clyde, una coppia omicida, come anche lo sono stati Charles Starkweather e Caril Fugate, lanciati in una follia assassina in viaggio attraverso l'America.
Sono il tipo che meno si preoccupa del futuro, se pure ci pensano.


Serial Killer: le cinque tipologie

Sempre Mastronardi e Palermo (1995) dividono i serial killers, la categoria più diffusa e preoccupante, in altre cinque tipologie:

1. Visionario
2. Missionario
3. Edonista
4. Del controllo del potere
5. Lussurioso

Il tipo "visionario" comprende quei serial killers che eseguono i loro omicidi in conseguenza di ordini ricevuti da voci allucinate o in funzione di particolari visioni avute. Si tratta di vere e proprie allucinazioni di comando e la voce udita è generalmente di origine mistica, Satana, Dio, un padre morto e onnipotente, una figura religiosa.

Un "demone" impone loro di uccidere, di distruggere: la loro azione distruttiva corrisponde a una missione perentoria, eseguita con fedeltà e convinzione.
La maggior parte di questi assassini è affetta da schizofrenia di tipo paranoide oppure da disturbi allucinatori paranoidi. Nel primo caso l'omicidio è sempre condotto in modo bizzarro e disordinato, mentre nel secondo caso può essere molto ben pianificato.

Il tipo "missionario", come dice la parola stessa, deve compiere una missione, che generalmente consiste nella ferma convinzione di dover ripulire il mondo da persone considerate indesiderabili (prostitute, vagabondi o spacciatori di droga).
Questo serial killer, pur non soffrendo di una psicosi, è spesso condizionato da personali convinzioni sostenute da alcune false percezioni di tipo paranoide. Infatti, non prova nessun rimorso poiché agisce "per il benessere della società".

Un esempio emblematico è quello di Pedro Alfonso Lopez, venditore ambulante colombiano accusato di 310 omicidi. 100 bambine seviziate e strangolate in Colombia, altrettante in Perù, 110 in Ecuador, dove, colto sul fatto, fu arrestato. Lo strangolatore delle Ande si definiva un liberatore. "Le ho soppresse per liberarle dalle sofferenze che subivano nella vita terrena" ha riferito, calmo, durante una dettagliata confessione.

Il tipo "edonista" si distingue per il piacere che prova nell'uccidere. È l'atto omicida che di per sé gli fornisce una sensazione del tutto simile a quella forma di orgasmo emotivo provato dal cosiddetto forte giocatore quando scommette grandi somme e aspetta i risultati. Può essere considerato una variante del "risk taking", classico delle persone che hanno bisogno di rischio e di forti emozioni, che ritroviamo non solo nei malati del gioco delle carte o del casinò ma anche in chi pratica la roulette russa.

Nel tipo del "controllo del potere" lo scopo principale è quello di esercitare il totale controllo su un'altra persona, fino al potere definitivo di deciderne il destino. In questi casi lo stupro, la sodomia e la distruzione degli attributi sessuali hanno una motivazione erotica soltanto superficiale (il sesso è solo uno strumento, un veicolo) mentre in realtà rappresentano il desiderio più profondo di esercitare il proprio potere e il totale controllo psicofisico sulla vittima.

In questo caso, Jeffrey Dahmer, il tristemente famoso cannibale di Milwakee è un esempio tipico. Dahmer adescava giovani omosessuali, li portava prima a casa sua dove li teneva in uno stato di incoscienza per un periodo di tempo nel quale li torturava e seviziava per poi inevitabilmente ucciderli. Per ottenere un controllo totale sulle sue vittime era andato così in là da tentare assurdi esperimenti attraverso fori nel cranio per creare degli "zombi", schiavi sessuali ai suoi comandi.

Infine il tipo "lussurioso" o lust killer ha per obiettivo quello di ottenere una soddisfazione di natura sessuale dalle vittime.
Diverso dallo stupratore e dal tipo del controllo del potere, questo omicida è completamente assorbito dal suo egoismo e considera le persone solo come dei mezzi, come degli strumenti attraverso i quali raggiungere la soddisfazione. Non è l'atto sessuale in sé che risolve il problema del killer, anzi, spesso il medesimo passa assolutamente in secondo piano rispetto alle ritualità che il criminale esprime in presenza della vittima.

È guidato da fantasie dove sesso e morte sono insieme protagonisti assoluti. La sua compulsione è realizzare queste fantasie.
Come dice John Douglas, figura chiave dell'FBI nella lotta agli assassini seriali, le parole chiave sono: Manipolazione, Dominio, Controllo.

È questo il tipo di serial killer più difficile da assicurare alla giustizia, nonostante sia il tipo che è stato più studiato, attraverso interviste, attraverso l'esperienza di coloro che hanno indagato e che si sono messi, sempre come è solito definire Douglas, "nei panni dell'assassino".


Serial Killer: organizzati e disorganizzati

C'è anche un'altra, ultima, macro-classificazione che bisogna fare quando si parla di assassini seriali e specificamente di Lust murderer o assassino lussurioso: quella tra "organizzato" e "disorganizzato".

Nell'FBI Law Enforcement Bulletin, il giornale ufficiale dell'FBI del agosto 1985 si legge:
"Il cosiddetto assassino seriale organizzato è di solito uno psicopatico incurabile, più intelligente della media. Pianifica con meticolosità i suoi delitti, seleziona le vittime meno rischiose, lascia pochissime tracce dietro di sé. Molto spesso porta con sé un kit con tutto l'occorrente: una corda e del nastro adesivo ben tagliato, delle manette, dei guanti, dei vestiti di ricambio, un coltello... il serial killer organizzato è di solito molto socievole, capace di integarsi alla perfezione senza destare sospetti".

Inoltre, di solito appartiene alla media o buona borghesia, ha un buon impiego, inferiore però a quello a cui potrebbe aspirare, è competente sessualmente, è figlio di genitori con occupazione stabile, vive con un partner o ha una famiglia propria, possiede un'auto (spesso in buone condizioni), cambia spesso lavoro, non ama la società in cui vive ma non se ne isola manifestamente.

Quando uccide lo fa con abbondante premeditazione, è meticoloso e attento, sottomette la sua preda, spesso la lega, nasconde il cadavere e/o talvolta lo trasporta in posti diversi dalla scena del crimine. Nella sua biografia, con molta frequenza si ritrova un fattore stressante che fa precipitare la situazione emotiva del soggetto, per esempio l'improvvisa perdita del lavoro, essere lasciato dalla moglie o dalla fidanzata...

Una caratteristica molto importante è che le vittime non sono mai persone che l'omicida conosce, in questo caso avviene ciò che è stato definito "stranger murder", ovvero la persona non viene scelta per chi è ma per quello che rappresenta per l'omicida.

Il serial killer disorganizzato è dalla parte opposta dello schieramento: spesso uno psicotico, non molto intelligente, inesperto, appartiene a una classe sociale inferiore. Famiglia non ricca, ma non necessariamente povera. Quasi sempre sono disoccupati o impiegati in lavori precari, figli di genitori anch'essi privi di una occupazione stabile.

Gli assassini disorganizzati soffrono di gravi problemi di natura sessuale, rifiutano manifestamente la società, in certi casi conoscono la vittima.
Usualmente vivono da soli o con qualche parente (madre, zia) e non si interessano quasi per niente alla televisione o ai giornali. Sono particolarmente rigidi negli schemi di apprendimento: ecco perché spesso svolgono lavori manuali di scarsa abilità.

Hanno uno stile di vita ben definito, frequentemente con routine collaudate e quasi ossessive. Sono restii ai cambiamenti di qualsiasi tipo.

Questo criminale non organizza il crimine, che è dovuto all'impulso incontrollabile del momento: per esempio, vede qualcuno per strada e improvvisamente decide di attaccarlo. Usualmente si accanisce in modo frenetico sul cadavere, soprattutto sugli organi genitali, raggiungendo spesso, ma non necessariamente, l'orgasmo con rapporti post-mortem.

Serial Killer: Sviluppo Storico

L'assunto di partenza degli investigatori è:
di fronte alla scoperta di un cadavere, e al cospetto di un' ipotesi di omicidio, tutto quello che chi indaga trova a sua disposizione è la scena del crimine.

Non è certo un'invenzione degli agenti dell'F.B.I. la scoperta che la scena del crimine contiene in se stessa la maggior parte delle informazioni che riguardano l'esecutore materiale. Ma è sicuramente a loro che dobbiamo la formazione di un metodo, in cui rientra la figura del "profiler", lo sviluppatore di profili, e una serie di studi che hanno avvicinato le forze di polizia a quella tipologia di assassini che prende il nome di serial killer.

Le tecniche di analisi della scena del crimine sono nate insieme al crimine stesso, ma non c'è dubbio che è all'America che ci dobbiamo rivolgere per informarci sugli assiomi comportamentali che, applicati alle indagini, aiutano a identificare il possibile autore del delitto seriale, spesso con caratteristiche sessuali.

Le indagini scientifiche in direzione criminale sono iniziate presto. Già alla fine del diciottesimo secolo lo svizzero Johann Kaspar Lavatar aveva abbozzato una teoria fisiologica chiamata l'arte della Fisiognomica, attraverso la quale cercava di scoprire come le caratteristiche del volto di ogni individuo ne rivelassero il carattere.

Circa nello stesso periodo Josef Gall rispondeva con la Frenologia, una teoria che prendeva come punto di riferimento la forma del cranio in cerca di conferme sulle inclinazioni di una persona.

Sia la Fisiognomica che la Frenologia erano applicate nello studio dei volti dei criminali vivi o morti in un tentativo di spiegare l'inclinazione al crimine attraverso la lettura di caratteristiche somatiche ataviche. Più specificamente, il binomio sesso-morte era stato messo in evidenza dai pionieristici studi del marchese di Krafftebing, che per primo iniziò a parlare, all'incirca nel 1905-1906, del termine classificatorio " omicidio per libidine".

L'attenzione degli scienziati e del pubblico per gli omicidi privi dei moventi classici si fa sempre più pressante. È proprio la neonata macchina cinematografica che si fa interprete di questo interesse con film del genere de Il gabinetto del dottor Caligaris, del 1920, in cui si narra dei misteriosi omicidi commessi da un pazzo e delle allucinazioni attraverso le quali riesce a giustificare le sue azioni, oppure più tardi col famigerato M. il mostro di Dusserdolf di Fritz Lang (1931), storia di un maniaco manifestamente sadico che uccide bambine. È un ometto ordinario, grassoccio e anonimo, che sgranocchia mele per strada. Si tradirà perché nel raptus omicida che lo prende fischietta sempre la canzone "Grieg", condotta che fa parte di un rituale di azioni che rientrano nel corredo del serial killer.


Serial Killer: il primo profilo di un criminale

Ma il primo, vero profilo di un criminale di cui siamo a conoscenza risale al 1880 e fa riferimento al capostipite e forse alla figura storicamente più famosa del genere: Jack lo Squartatore.

L'autore è Thomas Bond, il medico chirurgo della polizia che fece l'autopsia su Mary Kelly, l'ultima delle vittime dello Squartatore. Bond fu inizialmente chiamato per esprimere il suo parere sulle eventuali abilità e conoscenze chirurgiche dell'assassino: un fattore che gli inquirenti del tempo ritenevano di estrema importanza per l'individuazione degli eventuali sospetti.

Si dilungò nella sua analisi tentando anche una ricostruzione dei molti diversi aspetti del crimine. Nelle sua relazione si legge: "Lo straccio situato in alto a destra sulla testa della vittima presenta tagli ed è saturato di sangue, il che indica che il volto della vittima era stato coperto durante l'attacco". Le osservazioni di Bond erano in generale un tentativo di ricostruzione del comportamento del criminale basati sugli elementi a sua disposizione. Suggerì audacemente che la polizia doveva cercare un uomo calmo, apparentemente inoffensivo, probabilmente di mezza età e ben vestito.

Uno dei compiti principali degli agenti della BSU è quello di dare il loro parere su eventuali collegamenti fra uno o più casi. Bond fece qualcosa di molto simile se non analogo. Incluse nel suo rapporto l'osservazione che le mutilazioni delle varie vittime da lui esaminate (Nichols, Chapman, Eddowes e Kelly) erano della "stessa mano".

Questa affermazione riflette quello che i moderni sviluppatori di profili chiamano "firma", o le tracce di quei comportamenti che il criminale attua per soddisfare le sue ossessioni e che spesso sono comuni a tutti i crimini commessi da uno stesso assassino seriale.
Bond riteneva inoltre che il criminale fosse un uomo di "grande freddezza e coraggio" e, alla fine della sua indagine, concluse che "le mutilazioni sui corpi sono state eseguite da un uomo con nessuna conoscenza o pratica di anatomia o chirurgia, probabilmente l'esecutore non possedeva neanche le conoscenze di un macellaio o di qualcuno abituato a sezionare animali".


Serial Killer: altre analisi comportamentali

Secondo le fonti ufficiali di ricerca, il successivo caso famoso di analisi comportamentale risale al periodo della seconda guerra mondiale, quando l'Ufficio dei Servizi Strategici, (quello che oggi si chiama C.I.A., Central Intelligence Agency) chiese a uno psichiatra famoso, Walter Langer, di produrre un profilo di Adolf Hitler.
Volevano "un genuino esame della situazione della Germania... Se Hitler è il capo, che tipo di persona è? Quali sono le sue ambizioni, cosa compone la sua struttura psicologica, che cosa potrebbe pensare degli americani e che soluzioni potrebbe adottare se le cose si mettessero male per lui".

Le indicazioni di Langer erano ritenute importanti nel caso che Hitler fosse stato catturato vivo e fossero state necessarie alcune indicazioni per un eventuale interrogatorio. Il profilo di Langer escludeva una fuga di Hitler in qualche altro paese, in quanto lui si considerava del proprio "Il Savatore". Escludeva anche evenienze del genere colpo di stato, scontro diretto o morte in battaglia. Le sue previsioni si realizzarono profeticamente quando Hitler si suicidò nel suo bunker insieme a Eva Braun appena appresa la notizia che la situazione di avanzamento delle forze alleate era inesorabile. Questo tipo di "profiling" per scopi militari è stato rinomatamente impiegato per altri conflitti come il Vietnam, la Corea, o la guerra del golfo.

Entriamo nel panorama statunitense e nel nostro campo specifico grazie a uno psichiatra del Greenwich village, il Dott James Brussels, al quale si rivolse la polizia di New York nel 1957 nel contesto delle indagini per i crimini commessi dal cosiddetto "Mad bomber", il dinamitardo pazzo che aveva seminato il panico piazzando 32 pacchi esplosivi nella città nell'arco di otto anni.

Dopo aver esaminato l'imponente materiale del caso, fotografie, lettere che l'uomo aveva spedito alla polizia, Brussel elaborò un profilo che ancora fa parlare di sé per quanto si rivelò corretto fin nei minimi particolari. In esso trasse una serie di conclusioni altamente significative, tra cui il fatto che il soggetto era un individuo paranoico che odiava il padre, era ossessivamente amato dalla madre e viveva in una città del Connecticut.

Suggerì alla polizia di cercare "un uomo robusto, di mezza età. Nato all'estero, cattolico romano. Scapolo. Vive con un fratello o una sorella. Aggiunse anche: "Probabilmente quando lo troverete indosserà un vestito a doppio petto. Abbottonato."
Da alcuni riferimenti presenti nelle lettere si arrivò a ipotizzare che il dinamitardo fosse un impiegato o ex-impiegato della Consolidated Edison, l'azienda elettrica cittadina, e che nutrisse del rancore verso di essa.

Ristretta in questo modo la lista dei sospetti si passò al raffronto del profilo redatto dallo psicologo con l'elenco dei dipendenti della ditta e si arrivò così a George Metesky.

Lo andarono a prendere a casa e dovettero constatare che il profilo di Brussel era inesatto in un solo punto: Metesky viveva con le sue due sorelle. Quando l'ispettore di polizia gli disse di seguirlo al comando, riemerse dalla camera da letto con un abito a doppio petto. Abbottonato.

Per giustificare la sbalorditiva esattezza delle sue previsioni Brussel pronunciò una frase che innescò dal quel momento in poi un processo auto-alimentante che ha portato al perfezionamento scientifico di ciò che lo psichiatra aveva fatto. Affermò che psichiatri e psicologi erano di solito chiamati a fare valutazioni partendo dall'esame di un soggetto per cercare di predirne il comportamento e le possibili reazioni in situazioni specifiche, e che lui aveva invece cercato di fare proprio l'inverso, sforzandosi di dedurre la personalità del criminale interpretando le sue sue azioni.

Il dott. Brussel, che successivamente collaborò con la polizia di Boston per il caso dello Strangolatore di Boston, fu un vero pioniere dell'applicazione della scienza comportamentale nelle indagini criminali su casi di serial killers o di assassini non-convenzionali.

Benchè spesso venga definito deduttivo, il lavoro di Brussel si basa in realtà sul metodo induttivo o anche abduttivo, nel senso in cui lo definiva Bateson: partire dell'osservazione di alcuni fattori specifici per arrivare a conclusioni più ampie, "l'estensione laterale degli elementi astratti".

Durante gli anni '60 un uomo di nome Howard Teten cominciò a sviluppare il suo approccio allo sviluppo di profili mentre lavorava nel distaccamento di San Leandro della polizia della California.
Teten si era formato alla scuola di criminologia dell'università della California, in quel momento molto rinomata. Appena entrato nell'F.B.I. Teten divenne il responsabile di un corso di fondamentale importanza all'accademia nazionale denominato Criminologia Applicata. Il corso fu in seguito ribattezzato Psicologia Criminale Applicata.

A quei tempi il direttore del bureau era il famoso J. Edgar Hoover, un anziano signore conservatore noto per aver preso in mano un'agenzia governativa piena di elementi corrotti che gravava inutilmente sul contribuente americano e avergli dato l'importanza e il rilievo, nonché l'impronta burocratica e gerarchica, che nella sua struttura conserva tutt'oggi.

Le materie psicologiche e sociologiche non erano tenute in grande considerazione nella sua organizzazione dell'accademia nazionale.
Il suo slogan, che divenne anche quello dell'agenzia, era "just facts, please", soltanto fatti, per favore.
Teten però non si lasciò spaventare e continuò con il suo corso insieme ad altri pionieri della psicologia criminale statunitense, come per esempio Pat Mullany, Dick Ault, e Robert Ressler, nientemeno che l'uomo che aveva coniato il termine "Serial Killer".
Decine di allievi assistevano entusiasti alle loro lezioni. Fra di essi, John Douglas.

Finiti i corsi, Ressler, Mullany e Ault proposero a Douglas di rimanere all'Accademia come consulente per il programma. In quel periodo Douglas passò molto tempo a illustrare le tecniche antisequestro e antiestorsione a manager e uomini d'affari, nonché il modo di trattare con i rapinatori ai funzionari di banche.

Nel frattempo Teten e Mullany attivarono un servizio che chiamarono di "consulenza". Strinsero amicizie con le polizie delle giurisdizioni circostanti che si rivolgevano a loro per i casi di omicidio più impegnativi.
Douglas entrò a far parte del gruppo e si adoperò per mettere a servizio delle indagini le sue conoscenze.
Il clima era comunque di tollerata clandestinità, si trattava di colloqui amichevoli dei quali le alte autorità non sospettavano niente.
La prima regola restava sempre: "Non mettete in imbarazzo il Bureau".

Intanto lo spirito formativo dilagava e prima di essere assegnato definitivamente a Quantico, Douglas compì infinite peregrinazioni da Stato a Stato per tenere corsi di quello che adesso ufficialmente si chiama, come il corso originario di Teten, Psicologia Criminale Applicata.
Teten lasciò l'insegnamento e delegò a Douglas e Ressler il compito di portare avanti il suo lavoro.
I due cambiarono l'impostazione di Teten adottando la macro distinzione Organizzato/Disorganizzato.


Serial Killer: la rottura col passato

Il momento di rottura arrivò nel 1978, quando a Douglas e Ressler, eternamente in viaggio, si presentò finalmente l'occasione che da tempo aspettavano. Era un'idea che covavano da molto tempo quella di parlare con quei criminali di cui tanto discutevano, per chiedere il loro punto di vista, indagare le sensazioni che li spingevano a commettere certi atti invece di altri e, ultimo ma certo non meno importante, vedere in che modo giustificavano le loro azioni, a se stessi e agli altri.

ll primo criminale che ebbero l'autorizzazione di incontrare fu Ed Kemper.

Kemper era un tipo decisamente fuori dalla norma. Quasi due metri di altezza, uno sguardo penetrante dietro gli spessi occhiali.
A quattordici anni aveva ucciso a fucilate i suoi nonni.
Mandato dal tribunale che si occupò allora del caso in un ospedale psichiatrico, ci rimase per cinque anni. Quando fu dimesso, sua madre lo prese in casa con lei.

Uccise sei fra studentesse universitarie e giovani vagabonde per poi brutalmente massacrare anche sua madre e un'amica di famiglia.
Paradossalmente, Kemper fu il primo assassino seriale che i due agenti incontrarono ma quello che, in termini di metodologia, permise loro di avere più informazioni e più elementi utili alla formulazione del loro approccio.

Kemper era brillante, aveva un quoziente intellettivo molto sopra la media, quasi da genio. Era una persona disponibile, affabile, di piacevole conversazione. Allo stesso momento era minaccioso, instabile e si percepivano delle "crepe della maschera", come disse proprio Ressler a proposito di lui.

Aveva avuto molto tempo per riflettere sulla sua vita in carcere, e con gli agenti aveva un modo di parlare freddo, analitico, distaccato.
Gli unici segni di cedimento che lasciò trasparire apparvero allorchè raccontava nei dettagli il trattamento che aveva riservato alla madre.
La persona che maggiormente poteva essere accusata come fonte generatrice delle tensioni violente che Kemper espresse poi, non appena riuscì a trovare il coraggio, anche su di lei.

In Edmund Kemper si riscontravano caratteristiche che soltanto più tardi vennero considerate "classiche" della figura del serial killer:

1. Kemper era stato straordinariamente furbo nel portare a compimento i suoi propositi omicidi. Aveva "provato" la parte per molto tempo, aveva analizzato le sue intenzioni, progettato i suoi comportamenti, perfezionato sempre più le sue tecniche (si era spinto così lontano da fare addirittura delle "prove generali", in cui usciva, caricava un'autostoppista, calcolava i tempi...).

2. Era affascinato dalle figure di polizia, seguiva le indagini sul suo caso mescolandosi ai poliziotti che discutevano fra di loro nei bar.

3. La sua escalation di violenza era iniziata da molto piccolo, quando aveva ucciso selvaggiamente tutti i gatti che era riuscito a catturare nel vicinato, torturandoli.

4. I suoi delitti erano evidentemente sorretti da ricerca di autostima e di vendetta verso la società. "Queste ragazze non usciranno mai con te, Ed", si ripeteva. Uccidendole pensava che sarebbero state sue per sempre, esercitava su di loro un potere molto più grande di quanto riusciva perfino a immaginare, essendo completamente privo di esperienze di questo genere.

I due agenti si resero conto che il materiale che avevano in mano scottava per molte ragioni. Era chiaro che un personaggio come Kemper, intelligente, brillante, sicuro di sè, nascondeva trappole di ogni tipo.
Douglas stesso non ha mai nascosto di essersi molto divertito nel tempo che ha passato insieme a lui, pur essendo ben cosciente di quello che Ed aveva fatto.

Gli agenti si resero conto, anche grazie alle seguenti, numerose interviste, che il materiale da loro raccolto doveva subire scremature e selezioni di vario tipo per essere considerato scientificamente valido.
Era chiaro infatti che il contenuto delle risposte degli intervistati fosse materiale emotivo e nascondesse motivazioni, superficiali e profonde, che avrebbero potuto fuorviare il compito classificatorio degli agenti.

Un killer poteva parlare con genuina voglia di condividere con le forze di polizia la sua esperienza per permettere, attraverso lo studio, di capire meglio come si possono evitare o perlomeno circoscrivere i problemi delle persone come lui e l'impatto che queste persone hanno sulla società. Oppure altri potrebbero aver avuto motivazioni del tutto diverse. Per esempio parlare dei propri crimini poteva essere un modo per riviverli attraverso la fantasia e cercare ancora una volta di dimostrare a se stesso e agli agenti quanto era stato "bravo" in quello che aveva fatto. Un'altra occasione per Manipolare, Dominare, Controllare.

Gli stessi criminali avrebbero potuto cercare di approfittarsi delle sessioni di colloquio per ottenere sconti sulla pena, oppure avrebbero mentito semplicemente per il gusto di imbrogliare e depistare ancora una volta le forze di polizia e la società in generale.
Inoltre si sapeva già che tre dei tratti della sintomatologia dello psicopatico erano: continuo negare dei fatti, continuo mentire, continui tentativi di manipolazione.

Ma gli agenti che conducevano le interviste, prima solamente due, poi sempre di più con le aggiunte illustri di Roy Hazelwood e Robert Keppel, fra i tanti, svilupparono una sensibilità e consequenzialmente un metodo che permise loro di utilizzare i dati raccolti dalle interviste completamente a proprio favore.

Dal settembre 1980 gli agenti coinvolti nelle interviste cominciarono a diffondere i risultati dei loro studi, le loro intenzioni, la metodologia da seguire e anche un invito ufficiale a fare quello che in gergo avevano chiamato "prison cruising", una specie di "passeggiate in prigione".
Gli agenti avevano preso infatti l'abitudine di presentarsi nelle carceri senza preavviso, e si era col tempo rivelato il metodo migliore per una serie di ragioni.

I direttori carcerari avevano l'abitudine di non porre i bastoni fra le ruote a un agente federale che voleva fare due parole con un detenuto mentre una richiesta ufficiale di colloquio avrebbe invece destato inutili sospetti. In più i criminali stessi non avevano mai occasione di provare una parte o di avere la sensazione di essere narcisisticamente al centro di una ricerca ufficiale. Erano così spesso più sinceri e più diretti.

Sull'FBI Law enforcement bulletin del settembre 1980 a proposito degli obiettivi di queste interviste si legge:
1. Cosa spinge un individuo a diventare un criminale sessuale e quali sono i primi segnali d'allarme?
2. Che cosa incoraggia o inibisce l'attuazione concreta del crimine?
3. Quali sono le implicazioni relative alla pericolosità del soggetto, alla prognosi e alle modalità di trattamento?

Durante quel periodo vennero svolte moltissime interviste.
Gli agenti parlarono con Arthur Bremmer, Sarah Jane Moore e Lynette Fromme (che avevano tentato di uccidere il presidente Ford) e il loro guru, il famoso Charles Manson. Erano passati dieci anni dagli omicidi Tate-La Bianca, la famosa strage nella villa di Roman Polansky in cui venne uccisa, insieme ad altre persone, sua moglie (che aspettava un figlio), ma Manson era comunque il detenuto più famoso degli Stati Uniti nonché il criminale più enigmatico che si conoscesse.
Douglas e Ressler incontrarono anche lui, in una saletta del carcere di San Quentin.

Nel frattempo il numero della richiesta di profili era passato da cinquanta del 1979 a centodieci del 1981. Il lavoro iniziava a dare i suoi frutti.


Serial Killer: Ressler e Heirens, firma e modus operandi

Essendo cresciuto a Chicago, Ressler era rimasto, come il resto della popolazione, orripilato dal delitto di Susan Degnan, una bambina di sei anni che era stata rapita dalla sua abitazione e poi brutalmente uccisa. Il cadavere era stato rinvenuto tagliato a pezzi nelle fogne di Evanston. Le indagini portarono all'arresto di un giovane, William Heirens, che confessò anche l'omicidio di altre due donne, soprannominato, "The lipstick killer" (il killer del rossetto), perché sul muro della casa di una delle vittime aveva scritto, con il rossetto, la frase "Per amor di Dio fermatemi prima che uccida ancora non posso controllarmi".

Lo intervistò nel carcere di Joliet, nell'Illinois, dove l'uomo era famoso per condurre una vita di detenuto modello dal 1946, addirittura il primo dello stato a conseguire la laurea in prigione.

Heirens negava vigorosamente ogni responsabilità, sostenendo di essere stato incastrato con delle prove false. Fu così convincente che al ritorno dalla prima intervista Ressler si precipitò a consultare di nuovo le prove e il fascicolo nel timore di un clamoroso errore giudiziario, per rendersi poi soltanto conto di quanto era stato abile l'uomo a convincerlo delle sue ipotesi.

Nei seguenti incontri Ressler si comportò in modo completamente diverso e, nonostante l'uomo continuasse a sostenere la sua innocenza, tentò di farlo ammettere quanto in realtà aveva confessato molti anni prima.

Questo caso fu molto istruttivo perché mostrò nella sua inequivocabile chiarezza la capacità di un individuo a lungo isolato con la sua coscienza di formulare risposte alternative al suo operato, vie di fuga mentali, stratagemmi per prendere artificialmente distanza dalle proprie azioni.
L'agente sosteneva che l'atteggiamento di Heirens era genuino, non tentava di imbrogliare nessuno se non se stesso. Probabilmente sarebbe riuscito a passare perfino un test al poligrafo (la famigerata macchina della verità).

Al contrario di Ed Kemper, che aveva di buon grado ammesso i suoi delitti e nei momenti di particolare lucidità anche l'incurabilità delle sue patologie e la sua pericolosità per la società, Heirens si era arroccato dietro le sue posizioni con intransigenza, negando tutto fino all'ultimo.

Un altro intervistato illustre fu Jerome Brudos. L'uomo aveva ucciso quattro donne in sette mesi di tempo, praticando mutilazioni sui cadaveri e in alcuni casi conservando i pezzi dei corpi nel congelatore di casa.

Brudos si fece notare per due aspetti.
Appena arrestato, capito ormai che non avrebbe potuto portare avanti un discorso di infermità mentale, rese alla polizia una dettagliata confessione di tutti e quattro i suoi delitti, ma quando gli agenti andavano a parlarci, era sempre restio a descrivere loro i suoi crimini. Anzi, dichiarava di non ricordare niente in seguito a delle amnesie causate da attacchi di ipoglicemia. Fu utile però parlare con lui perché fornì, sempre per via indiretta, degli interessanti elementi su quello che si chiama Modus Operandi.

Gli agenti Douglas e Ressler trovarono utile usare una distinzione di termini intendendo con "Modus Operandi" le azioni necessarie per commettere il crimine mentre con "Firma" un segno lasciato sulla scena del crimine che contiene elementi per descriverci quello che il killer deve fare per soddisfare le sue ossessioni.

Il punto fondamentale è che la Firma è statica, il killer è obbligato dalle sue stesse compulsioni a praticare il rituale per avere soddisfazione, lasciando così una scia abbastanza chiara dietro di sé. Molto spesso rappresenta la concretizzazione nella realtà delle fantasie di sesso, morte, violenza che l'individuo coltiva durante la vita.

Se il delitto è commesso per dominare o infliggere dolore alla vittima, si parla di "firma" come unico elemento rivelatore della sua personalità.
È qualcosa che ha bisogno di fare.

Il Modus Operandi, al contrario, è dinamico, cioè cambia in corrispondenza all'esperienza, al tipo di episodio, all'umore dell'assassino. È difficile che le modalità criminali rimangano le stesse per la durata di tutta una "carriera".
Se il soggetto riesce a cavarsela per il primo delitto, ne trarrà insegnamento e affinerà la propria esperienza nei crimini seguenti.

Brudos, come Kemper, aveva una insana ossessione per i dettagli e il "miglioramento" di questi fra delitto e delitto. Il primo crimine era infatti avvenuto in circostanze assolutamente occasionali, una venditrice di enciclopedie si era presentata alla sua porta e lui l'aveva prima tramortita e poi trascinata nel seminterrato, dove l'aveva uccisa e fatta a pezzi.
Il cadavere era stato gettato nel fiume Willamette.

Nei delitti successivi Brudos si era "organizzato" meglio, aveva disposto del cadavere in modo migliore, trasportandolo per occultarlo lontano dal luogo del delitto, era stato attento a non lasciare tracce di sé o del proprio operato.

Ancora un altro criminale tristemente famoso che gli agenti incontrarono fu David Berkowitz.

Berkowitz era un solitario, disadattato, che nell'estate del 1976 seminò il panico nella città di New York. Uccideva a colpi di calibro .44 coppiette appartate in auto e poi mandava lettere al capo della polizia nelle quali scriveva deliri senza senso. A causa dell'appellativo con il quale firmava le lettere l'assassino non ancora identificato fu soprannominato "the Son of Sam", e per molti giovani impauriti quella fu la vera e propria "Summer of Sam", l'estate di Sam, dalla quale l'omonimo film di Spike Lee.

Berkowitz non era proprio un serial killer quanto una più genuina personalità omicida.
Aveva iniziato da piccolo. Appiccando fuoco nei dintorni di New York, più di duemila incendi nell'arco di sei anni circa, e poi lentamente spostandosi fino all'escalation che lo ha portato a mietere sei vittime in poco meno di un anno.

Meticolosi diari sono tenuti riguardo alle sue azioni criminose, un classico degli assassini di questo genere: solitari che indulgono ossessivamente in resoconti scritti delle loro imprese. Berkowitz non era un assassino lussurioso, non desiderava il contatto con la vittima, non era uno stupratore e non era in cerca di trofei. Quello che lo eccitava era unicamente l'attuazione del gesto violento.

Spesso si masturbava davanti agli incendi che appiccava e anche più tardi, quando girando incessantemente per le strade di New York non trovava un bersaglio adatto per la sua pistola, tornava sui luoghi delle sue precedenti imprese per rivivere l'eccitazione di quei momenti.

Appena arrestato Berkowitz chiamò in causa l'infermità mentale, sostenendo che il responsabile degli assassini era il cane millenario del suo vicino, che gli ordinava di uccidere.

Dopo varie interviste John Douglas lo condusse ad ammettere che la storia del cane era soltanto una bufala nella speranza di ottenere un po' di clemenza. Una psicopatologia suscita forti sentimenti di rivalsa e vendetta, una malattia mentale tristezza e rassegnazione, e addirittura aiuto e condono. Ecco perché molti serial killer studiano e si esercitano a riprodurre i sintomi e le scene da recitare per essere ritenuti "pazzi".

Ma l'infermità mentale per l'America è un concetto meramente giuridico, non si giudica se il soggetto è pazzo oppure no, ma se nel momento dell'omicidio era o no capace di distinguere il bene dal male.
E Berkowitz, come tanti altri, era perfettamente in grado di farlo.

Come poi si ebbe modo di scoprire, pochi di questi criminali non possedevano la capacità di distinguere il bene dal male in modo tale da permettere loro di scegliere fra i due. L'omicidio in questi casi è sempre una scelta, mai un obbedire a un'ossessione o una compulsione tale da far compiere a questo tipo di criminale gesti di aperta sconsideratezza.

Qui è applicato quello che in gergo si chiama il "policeman at the elbow principle", il "principio del poliziotto alle calcagna", cioè pochi criminali sono così scarsamente in grado di padroneggiarsi in modo tale da commettere un omicidio con un agente di polizia presente vicino. Ognuno di loro è in grado di rinunciare se la situazione gli appare troppo pericolosa; segno inequivocabile di facoltà di scegliere e distinguere.

Nei primi anni ottanta John Douglas seguiva regolarmente più di centocinquanta casi all'anno, e viaggiava per un numero uguale di giorni. Costretto a stabilire priorità, privilegiava i casi di stupro-omicidio suscettibili di evolversi in nuovi delitti.
Ben presto capì che più un delitto era di routine, meno sarebbero stati gli indizi comportamentali a sua disposizione.

Per esempio, i casi di aggressione per strada o di omicidio con un colpo di arma da fuoco presentavano scenari più difficili e meno eloquenti di un assassinio mediante ferite multiple.
Il nome del reparto di Douglas, il Dipartimento di Scienze Comportamentali, cambiò in "Investigative Support Unit", unità di supporto investigativo, poiché, contrariamente a quanto si è spesso pensato, il lavoro dell'unità era unicamente quello di fornire aiuto, attraverso lo sviluppo di profili, alle varie agenzie di polizia che già lavoravano ai diversi casi.

In questa fase aurorale del mestiere di "profiler" Douglas e i suoi collaboratori si basavano su tre elementi fondamentali:
1. Esame del rapporto del medico legale, così da apprendere la natura e il tipo di ferite inferte alla vittima, la causa della morte, l'eventuale presenza di violenza sessuale e la possibile sua natura.
2. Il verbale della polizia. Era molto importante sapere cosa aveva visto il primo agente arrivato sul posto. La scena del delitto poteva infatti essere modificata da lui stesso o da un componente della squadra investigativa. La scena originale, quella che aveva lasciato il criminale stesso, era l'elemento che parlava di più del killer.
3. Fotografie, disegni schematici, direzioni ed eventuali impronte rinvenute. Se c'erano osservazioni da fare, Douglas pregava gli agenti di polizia di scriverle sul retro della foto, in modo da non essere influenzato durante il primo esame di esse.

Anche nel caso che la polizia avesse una lista o comunque dei sospetti in mano, Douglas pregava di consegnarli in una busta chiusa, in modo da non esserne influenzato durante la stesura del profilo.

Serial Killer: Dinamiche di comportamento

Queste statistiche sono il risultato del primo ciclo di colloqui e test che Douglas, Ressler e Burgess hanno tenuto con gli assassini seriali detenuti che hanno accettato di collaborare.
In questa sezione vediamo le dinamiche del comportamento relative al crimine che viene convenzionalmente diviso in cinque fasi:

1. Comportamento precedente il crimine e pianificazione
2. Assassinio
3. Eliminazione del corpo
4. Comportamento dopo il crimine
5. L'arresto


Serial Killer: il comportamento precedente il crimine e pianificazione

Questa fase comprende tre elementi: i fattori stressanti, lo stato mentale e la pianificazione.

Molti assassini segnalano il precipitare di qualche situazione affettiva prima di qualche crimine. Anche se raramente sono disposti ad ammetterlo, un qualsiasi evento di questo tipo spesso è più che sufficiente nella loro mente per giustificare un'aggressione.

Un caso può essere un conflitto con una donna.
In 48 omicidi su 81 osservati la causa finale scatenante era stata un qualche conflitto con una donna.

Anche il conflitto con i genitori è considerato un fattore privilegiato di stress.

In terzo luogo, i problemi finanziari sembrano essere un fattore anch'essi.
Il 48 per cento dei casi descrive problemi finanziari nelle immediate vicinanze temporali dell'omicidio.

In questo esempio vediamo la pressione aumentare nella vita di questo soggetto per una serie di cause multiple: "Avevo delle difficoltà finanziarie, io e mia moglie eravamo sempre in conflitto perché bevevo. Avevo molta inimicizia anche con i miei suoceri. In un modo o nell'altro ero sempre a litigare con qualcuno".

Difficoltà di lavoro sono state attestate nel 39 per cento dei casi e sospettate per un altro 26 per cento. In una società moderna e competitiva come quella Statunitense, è facile sentirsi sorpassati, incapaci di tenere il ritmo, messi da parte.

Infine anche i problemi riguardanti il matrimonio sono molto influenti. Non sono stati considerati uno degli elementi chiave perchè la maggior parte dei soggetti non era sposata.

Un criminale racconta di essere stato coinvolto in più relazioni extraconiugali a un certo punto, quando il suo matrimonio non stava andando molto bene, e che dopo aver scoperto che anche sua moglie aveva una relazione le fantasie di stupro si sono intensificate fino ad essere incontrollabili.

Addizionali fattori di stress possono includere problemi legali (28 per cento); conflitti con un uomo (11 per cento); perdita di una persona cara (8 per cento) e nascita di un figlio (8 per cento).

Lo stato mentale è un altro parametro di analisi della fase pre-assassinio.
Per stato mentale si intende una condizione emozionale che funge da filtro e da meccanismo interprete degli eventi esterni. In ordine decrescente, i più riscontrati sono: frustrazione (50 per cento); ostilità e rabbia (46 per cento); agitazione (43 per cento); eccitazione (41 per cento).

Di uguale interesse sono quei sintomi e stati umorali associati con lo stress interiore come il nervosismo (17 per cento); la depressione (14.6 per cento); paura (10 per cento); confusione (7 per cento).

In un articolo scritto per il canale televisivo e telematico APB, Douglas, parlando di prevenzione e di tecniche, come le chiama lui, proattive nella ricerca dei criminali, indicava la collaborazione del pubblico televisivo e massmediatico in generale. Il suo invito era di guardarsi intorno con estreme circospezione: se si appartiene all'area dove genericamente gli inquirenti ritengono risieda l'assassino, bisogna cercare di prestare attenzione al comportamento dei compagni di lavoro, degli amici e dei conoscenti e riportare alla polizia comportamenti sospetti. In generale questi stati di ansia e di stress che sfociano in un crimine sono del tutto manifesti e ben individuabili da coloro che entrano in contatto col soggetto.

Per quanto riguarda la pianificazione del crimine il 50 per cento netto degli intervistati ha detto di sapere con una discreta precisione chi, quando e dove avrebbero ucciso. Un altro 34 per cento ha affermato che si trovavano in uno stato emotivo giusto per l'impresa criminale e che andavano in giro in cerca di occasioni. A volte i soggetti sentono un irresistibile stimolo a uccidere, alcuni cercano di soffocarlo con l'alcool, altri soccombono come sono abituati a soccombere alla tirannia delle proprie fantasie.

In ogni caso ci appare che per quanto riguarda il serial killer cosiddetto organizzato una lunga fase di preparazione sussiste nella stragrande maggioranza dei casi.

La precisione va così lontano da permettere a questi criminali l'approntamento di veri e propri kit con corde, armi, bavagli, nastro adesivo, strumenti per la tortura. E non ci dobbiamo dimenticare che le fantasie si riadattano dopo il primo omicidio, che le azioni vengono calcolate meglio e che tutto quello che riguarda il crimine tende a migliorare con l'esperienza. Durante i giorni antecedenti all'omicidio la situazione emotiva del soggetto cambia per una serie di ragioni.

Tra queste ci sono anche altri crimini minori.
Due uomini del campione hanno commesso furti di materiale feticistico come intimo femminile o oggetti appartenenti a una donna. Un soggetto che più tardi ha ucciso tre donne aveva assalito e minacciato sua moglie, forzandola a scrivere un biglietto suicida. Un altro, che ha ucciso cinque persone in una settimana, nei giorni precedenti aveva appiccato fuochi, aveva sparato dei colpi di pistola all'interno del suo appartamento e nel cortile della sua casa.

Il passo seguente coinvolge il primo livello dell'adattamento delle fantasie alla realtà dell'omicidio: la scelta della vittima.

Molti soggetti hanno raccontato di essere andati in cerca di vittime per ore, a volte giorni interi, preparandosi al momento in cui sarebbe successo tutto. Alcuni cercano in bar per singles, bar per gay, parcheggi isolati, luoghi bui. In alcuni casi la fantasia può richiedere un tipo molto particolare di vittima, di conseguenza la ricerca diventa più lunga ma non certo più estenuante. Molti al contrario descrivono questi momenti come occasione di tensione crescente, di eccitazione in costante aumento, di grandi attivazioni delle fantasie.

Ted Bundy preferiva ragazze che andavano al college, di buona famiglia, carine e con capelli neri lunghi divisi nel mezzo. Aveva dovuto organizzarsi in modo impeccabile per prelevare soltanto ragazze di questo tipo da aree affollate. La pianificazione è già una parte del crimine, un momento in cui si vive in diretta l'eccitazione di quello che sta per succedere.


Serial Killer: fase seconda, l'assassinio

In questa fase il soggetto entra in contatto con la realtà fisica dell'omicidio. Potrebbe non andare tutto come previsto, potrebbe dover usare molta più violenza di quella che aveva previsto, potrebbe provare paura, o potrebbe essere fastidioso dover fare i conti con il cadavere e con le conseguenze delle proprie azioni in senso generale.

Ma per la maggior parte dei criminali l'atto stesso va positivamente molto oltre l'eccitazione immaginata. Per la prima volta la sensazione di dominio sulla vita e la morte viene provata dall'individuo ed è solitamente un momento di forti sensazioni di grandiosità e di potere.

La componente sessuale è presente, nella stragrande maggioranza dei casi, anche dove sembrerebbe insospettabile o dove non si trovano tracce di violenza carnale. Dobbiamo ricordarci che questi individui spesso stuprano e uccidono ma altrettanto frequentemente usano la persona come un oggetto nel senso vero e proprio del termine.

Infatti se la loro storia sessuale è costruita intorno al sesso solitario, quella è sovente l'unica pratica attraverso la quale percepiscono il rapporto con altre persone. È molto facile trovare sperma dell'aggressore sulla vittima, magari anche soltanto tracce (risultato di un tentativo di pulizia) perché spesso il soggetto aspetta che la vittima sia morta o tramortita per darsi soddisfazione da solo attraverso atti masturbatori.
C'è una distinzione infatti da puntualizzare.

Gli stupratori che uccidono in genere non provano soddisfazione sessuale né praticano atti post mortem sulla vittima. In questi casi anche l'atto di liberarsi del corpo prende poco tempo e non comporta rituali significativi.
Per questi assassini, in genere disorganizzati e dipendenti dalle circostanze in cui commettono il crimine, lo stupro è l'unico crimine al quale sono interessati. L'omicidio avviene per perdita del controllo, paura di una testimonianza che possa incastrarlo, rabbia.

Per gli assassini sadici anche detti "Lust murderer" o assassini per libidine, invece, l'assassinio fa parte dell'esperienza sessuale. L'intero schema dell'atto è infatti basato sull'esperienza di dominio/controllo, quindi dallo stupro alla tortura per finire con l'omicidio ogni atto è finalizzato a soddisfare le fantasie di sesso-morte del criminale. Nello studio dei 36 assassini seriali il 56 per cento degli omicidi è preceduto da un atto sessuale con la vittima ancora in vita.

Ma la vittima può essere stuprata prima e dopo la morte, e nel frattempo può anche essere mutilata o torturata.

Per esempio in un caso un assassino ha stuprato la vittima da viva, poi l' ha uccisa lentamente strangolandola con una corda, ed infine l'ha stuprata di nuovo dopo la sua morte.

Un'altra indagine mostra che i casi in cui la vittima era stata stuprata soltanto dopo la morte erano ben il 42 per cento. In un caso un assassino ha ucciso due donne con una pistola e poi le ha stuprate entrambe.

Altre componenti di quello che si chiama overkill cioè ferite inferte post-mortem sono evidenti in questi casi. A volte la rabbia dei soggetti si placa dopo ore di torture e sevizie post-mortem che gli assassini eseguono unicamente come parte dei loro rituali di morte.

Nella stessa indagine, un terzo delle 92 vittime mostrava segni di tortura. In alcuni casi fra l'uccisione e la mutilazione può passare molto tempo, segno evidente della tendenza all'escalation delle fantasie dei criminali.
In un caso un soggetto è ritornato sulla scena del crimine 14 ore dopo per mutilare il cadavere asportando i due seni. Un altro atto che spesso viene praticato sui corpi è la depersonalizzazione.

Il criminale vuole a tutti i costi avere a che fare con un oggetto e se la persona della vittima interferisce con le sue fantasie, allora farà di tutto per neutralizzarla. A partire da forme sottili come per esempio voltare una persona o un cadavere sulla schiena fino a forme estreme come lo sfigurare, tramite coltelli o corpi contundenti, il viso. La presenza della persona è utile solamente nei termini di concretizzazione delle fantasie, in caso contrario l'aggressore può tentare di farla adeguare alle sue pretese o appunto di spersonalizzarla, privandola dei suoi attributi di essere umano e trasformandola in un oggetto attraverso la violenza e la prevaricazione.

Ed Kemper ancora una volta ci mostra la peggiore delle possibilità riscontrate. Molte delle sue vittime inclusa sua madre e l'amica di sua madre sono state violentate solamente dopo la decapitazione. In una intervista dettagliata ha detto che dovevano essere il più simili possibile ad oggetti.


Serial Killer: fase terza, l'eliminazione del corpo

In questa fase vediamo cosa succede nell'immediata fase dopo l'omicidio.
I comportamenti relativi al trattamento del corpo sono molto importanti perché ci parlano delle sensazioni e degli stati d'animo dei serial killers in questa delicata fase. Questo è il momento cruciale; la realtà dell'omicidio appare in tutta la sua crudità.

Passata l'euforia nella metà (52 per cento) dei casi c'è una fase in cui per la prima volta il criminale si accorge di cosa sia realmente accaduto. Se ci sarà pentimento, autodenuncia alle autorità, imbarazzo, dispiacere, o invece indifferenza, o addirittura godimento nello smembrare ed essere ancora in possesso del corpo questo dipende dai soggetti.

In diffusi casi accade che il trattamento del cadavere sia molto diverso negli omicidi che seguono il primo.

Un soggetto racconta che durante il primo omicidio si è fatto prendere dal panico e ha "smembrato il corpo in fretta seminando pezzi qua e là per la casa, nel frigorifero, nel cestino...". Nei casi seguenti invece si è attrezzato di coltelli bisturi e seghe apposite e ha praticato un lavoro pulito e organizzato. Non hanno sospettato niente neanche i vicini di casa che lo vedevano scendere con grosse buste piene dalla mattina alla sera.

In questo caso è ovvia la totale mancanza di rimorso. In realtà questo comportamento mette in evidenza solamente una preoccupazione per la propria insospettabilità e perfino una buona dose di godimento nel fare a pezzi il cadavere e poterne disporre a proprio piacimento come se fosse un oggetto di proprietà.

Per quanto riguarda invece i cadaveri lasciati sul luogo del delitto, si può parlare di cadavere lasciato in piena visibilità nel 42 per cento dei casi e di cadaveri nascosti in un modo o nell'altro nel 58 per cento dei casi. Il corpo può essere lasciato all'esterno perché le circostanze non permettono all'autore del delitto altre possibilità.

Oppure può essere portato in un bosco o in un luogo isolato tentando di ritardarne il ritrovamento.

A volte il posizionamento del corpo può avere a che vedere con un messaggio che il criminale vuole mandare.

È questo l'esempio dei corpi che vengono ritrovati in posizioni specifiche (il 28 per cento dei casi).
Le possibilità sono varie: il criminale vuole inscenare un crimine diverso o con delle sfumature rispetto a quello commesso. Per questo può lasciare il corpo di una donna in una posizione e in uno stato in cui sia presupponibile la violenza carnale.

Altre ragioni sono la vergogna del criminale rispetto all'atto, in questi casi troviamo il corpo girato sulla schiena oppure coperto con un lenzuolo.

Nel 17 per cento dei casi gli agenti non sono neppure sicuri se lo stato del corpo sia casuale o posizionato in modo speciale per obbedire a qualche fantasia del criminale. A volte i corpi possono essere ritrovati in pose sessuali, o perché la fantasia del killer lo esigeva oppure in segno di disprezzo della vittima o di sfida dalle autorità e della società. Un corpo lasciato in una posizione bizzarra può essere una dichiarazione di strafottenza verso il mondo di una personalità molto egocentrica e con una elevata concezione di sé.

Un modo per dire che quell'individuo può fare quello che vuole quando lo desidera e che si sente libero e giustificato nel farlo.

Riguardo allo stato si può dire che il corpo viene trovato completamente svestito nel 47 per cento dei casi, con i genitali esposti nel 5 per cento dei casi, col seno (9 per cento) e sedere (11 per cento) esposto. Oppure i vestiti della vittima possono essere stati usati per legare, imbavagliare o coprire la vittima o semplicemente lasciati intorno alla scena disordinatamente.

Alcuni assassini rivestono la vittima, la lavano da sangue , le curano le ferite.
Dennis Nielsen, un assassino quasi completamente paragonabile all'americano Jeffrey Dahmer che adescava giovani uomini e poi li portava a casa e li uccideva, intratteneva bizzarri rituali con i cadaveri. Spesso li svestiva, faceva loro il bagno e accuratamente li puliva e li rivestiva per poi piazzarli a letto insieme a lui o sul divano a vedere la televisione insieme. Lo faceva per giorni fino a che il livello di decomposizione non era insostenibile.

Per il serial killer il luogo finale di destinazione del corpo può essere importante per vari motivi.

Per esempio, i due soggetti precedentemente menzionati che hanno posizionato il corpo per far sì che gli inquirenti credessero che si trattasse di uno stupro andato male, hanno lasciato il corpo in un luogo appartato ma non troppo perché volevano che fosse scoperto presto. Altri invece gettano i cadaveri nei fiumi carichi di pesi per farli affondare perché è chiaro che non vogliono che il corpo sia scoperto.

In altri casi il luogo dell'abbandono del corpo può essere simbolico o utile all'assassino per qualche ragione. Un soggetto, che lavorava in ospedale come autista di ambulanze, stuprava e assassinava le vittime in parcheggi isolati, poi chiamava la polizia denunciando anonimamente il ritrovamento di un corpo, dopodichè entrava in servizio ed era mandato a prelevare la persona che lui stesso aveva ucciso.

Il luogo può ancora avere significato solamente per l'assassino, come per Kemper che seppellì le due teste delle donne che aveva ucciso in giardino fuori dalla camera di sua madre, che gli diceva sempre che non sarebbe mai riuscito ad uscire con loro. In questo caso il messaggio è fin troppo chiaro.

La psicosi paranoide di un altro soggetto (Richard Chase) fu manifestamente dichiarata allorché venne sorpreso con tre cadaveri nel frigo, dai quali era solito prendere il sangue per berlo perché sosteneva che le streghe gli avevano ordinato di farlo in quanto il suo stesso sangue si stava asciugando.


Serial Killer: fase quarta, il comportamento dopo il crimine

Molti soggetti dichiarano che dopo l'omicidio hanno sentito un profondo senso di sollievo e tranquillità tanto che sono andati a casa e hanno dormito profondamente tutta la notte. La fuga può essere frettolosa in caso di mancata pianificazione di questa fase oppure calma e attenta nel caso contrario.

Paradossalmente, per alcuni individui non è altro che un'altra fase dell'esperienza alimentata dalle fantasie.

Un soggetto racconta che una volta arrivato a casa di ritorno dal crimine ha vagato tutta la notte passando più volte davanti alla stazione di polizia in segno di sfida e in un ancora profondo stato di eccitazione. Il comportamento manifesto della maggior parte di questi killer è apertamente contrario alla loro comprensibile voglia di non essere incriminati.

Come nel caso sopraelencato, spesso i soggetti mantengono anche a lungo nel tempo del post-omicidio un comportamento di aperta sfida per riuscire a mantenere quello stato di eccitazione e quella sensazione di controllo e di grandiosità fornita dall'omicidio. I comportamenti messi in atto rientrano spesso fra i seguenti: ritorno alla scena del crimine, osservazione del ritrovamento del corpo e delle prime rilevazioni sul posto, conservazione di souvenir del defunto e addirittura partecipazione alle indagini.

Si dice che David Berkowitz non facesse altro che parlare con i suoi colleghi al lavoro dei delitti del killer della 44. Nessuno poteva sospettare che il placido David era in realtà l'autore di quei crimini.

Il ritorno alla scena del crimine è un luogo comune ampiamente sostanziato dalle statistiche.
Il 27 per cento dei nostri 36 assassini è tornato sulla scena.
Il 26 per cento ammettono come motivo il rivivere le sensazioni provate durante l'omicidio, il 19 per cento per assistere a quello che fa e dice la polizia quando il corpo viene trovato, l'8 per cento per ripetere l'assassinio con un'altra vittima e infine il 7 per cento per fare sesso con il cadavere.

Un esempio, Ted Bundy, un caso illustre che più avanti tratterò come al limite fra i killer "dentro i paradigmi" o con comportamento classico e prevedibile e quelli "fuori dai paradigmi" cioè con comportamento non convenzionale, era uno che sulla scena del delitto ci tornava spesso. La maggior parte delle volte era per fare sesso col cadavere ma spesso anche per sincerarsi che nessun elemento delle scena del crimine potesse ricondurre a lui, tracce, impronte, perfino capelli e peli, sperma, ecc.

I souvenir consistono in una prova per il criminale che è riuscito ad attivare le sue fantasie e spesso vengono usati come catalizzatore per riviverle.

Alcuni collezionano oggetti vistosi senza troppe preoccupazioni di nasconderli in casa, li vogliono sempre a portata di mano e a vista, più possono pensare a quello che hanno fatto e meglio si sentono.

John Wayne Gacy teneva carte di identità, guanti sciarpe e cappelli delle sua vittime sul cassettone in camera da letto. Per non parlare di Ed Gein che aveva la casa piena di macabri memento come teschi portacandele, pelli dei defunti e persino un corrimano fatto di ossa del femore e delle gambe.

Si è notato che gli assassini che uccidono con una pistola sono più inclini a tenere un diario, ritagliare articoli dei giornali, confidare il gesto a qualcuno mentre è improbabile che facciano foto della scena del crimine, o che ci tornino in qualche modo.

Dall'altra parte coloro che usano coltelli o oggetti contundenti per uccidere a volte fanno foto della vittima, ritornano sulla scena in alcuni casi e cercano in ogni modo di interagire con la polizia a proposito delle indagini.


Serial Killer: fase quinta, l'arresto

Il 50 per cento degli intervistati sono stati arrestati unicamente per causa delle indagini della polizia, sei sono stati identificati da un sopravvissuto a degli attacchi, due da un partner o da una moglie, e quattro si sono costituiti.

Famosa è la storia di Edmund Kemper che si è costituito nel modo più mite possibile subito dopo aver massacrato la madre e l'amica della madre: ha chiamato la polizia da una cabina telefonica e gentilmente ha detto: "venitemi a prendere".

I casi in cui un sopravvissuto racconta sono più unici che rari; si pensi che una delle più attendibili e curate biografie del feroce Ted Bundy si intitola The only living witness.
Come spesso succede con questo tipo di assassini, il colpevole è l'unico testimone vivente dei fatti.

Serial Killer: Patologie

Cosa trasforma bambini speciali in futuri assassini seriali?
Queste le principali patologie psichiatriche e psicologiche solitamente riscontrate di questi individui:


Antisocial Personality Disorder (A.P.D.)
Come prima cosa, quando si parla di Serial killer, nella sua accezione più classica di assassino sessuale la diagnosi è quasi sempre di psicopatico o sociopatico, o in termini correnti affetto da A.P.D., Antisocial Personality Disorder o Disordine da Personalità Antisociale.
Il Diagnostic and Statistic Manual della "American Psychiatric Association" considera costitutivi di questa diagnosi i seguenti criteri:

A - Continuo disinteresse a proposito o violazione dei diritti degli altri, in corso dall'età di 15 anni la cui diagnosi comprenda almeno tre dei seguenti punti:

1. Mancata conformazione alle norme sociali
2. Falsità e tendenza all'inganno indicata da ripetute menzogne, uso di nomi falsi, imbroglio di altre persone per profitto personale
3. Impulsività o impossibilità di pianificare in anticipo
4. Irritabilità e aggressività
5. Totale disinteresse per la sicurezza o la salute altrui
6. Incapacità di sostenere continuativi rapporti di lavoro o sociali
7. Mancanza di rimorso, indifferenza, e completa razionalizzazione personale dopo aver derubato , ferito o danneggiato un'altra persona

B - L'individuo ha almeno 18 anni.

C - Il riscontro di simili precedenti comportamenti antecedenti a detta età non è imputabile ad attacchi schizofrenici o maniaco-depressivi.

La maggior parte della popolazione che soffre di questo disordine della personalità è maschile.


Psicopatia
Questa patologia si adatta quasi perfettamente alle caratteristiche più diffuse del criminale organizzato.
La psicopatia è diagnosticata nel 33 per cento dei criminali reclusi degli Stati Uniti. Per la definizione ci rifacciamo al libro dello psichiatra J. Reid Meloy che la definisce come una personalità che incorpora tratti di narcisismo aggressivo con un preponderante comportamento antisociale ripetuto. Questi individui hanno storie personali di continui tentativi di costruzione di un'immagine positiva di sé all'interno di un ambiente ostile e che li costringe a rifugiarsi in se stessi.

Hare, nella sua Hare' s Psychopathy Checklist include tra I tratti distintivi di questa personalità i seguenti:

1. Manie di grandiosità accompagnate da forti complessi di inferiorità e castrazione
2. Continuo bisogno di stimoli
3. Mentire patologico
4. Tendenza all'imbroglio e alla manipolazione
5. Scarso controllo del proprio comportamento
6. Mancanza di rimorso o sensi di colpa
7. Problemi del comportamento fin dalla giovane età
8. Completa mancanza di senso di empatia
9. Mancanza della capacità di avere e/o di concepire obiettivi a lungo termine
10. Impulsività
11. Irresponsabilità
12. Mancanza di accettazione della responsabilità delle proprie azioni
13. Molte relazioni affettive brevi
14. Delinquenza giovanile
15. Versatilità criminale

Lo psicopatico è di solito molto violento, e la condotta aggressiva mostra una tendenza ad aumentare fino a che il soggetto raggiunge uno stato di relativa pace all'età di cinquanta anni circa.
È genericamente considerato intrattabile e inguaribile. Una caratteristica dei serial killers psicopatici è che la violenza tende a essere predatoria e principalmente (se non unicamente) rivolta verso sconosciuti. La violenza è pianificata, priva di emozioni, cieca e determinata. Sessualmente i serial killer sono ipostimolati, da qui la tendenza, come in altri campi della loro vita, a ricercare continui stimoli. In una relazione cercano la soddisfazione egoistica, non la reciprocità dei sentimenti.

Per questo, lunghe relazioni amorose sono quasi sempre escluse a causa della tendenza a considerare l'altro soltanto come un mezzo, un oggetto, e non una persona. È stata anche evidenziata una netta propensione dello psicopatico per il sadismo.

Jonathan Kellerman nel suo libro Savage Spawn propone un'ulteriore distinzione fra gli psicopatici, in particolare mette in evidenza due aspetti diversi: l'aspetto impulsivo, con mancanza di auto controllo, mancanza di risposta alla minaccia di punizioni a lungo termine e alti livelli di ricerca continua di sensazioni forti, e l'aspetto interpersonale, con esagerato egoismo e stima di sé, mentire patologico, cattiveria e mancanza di emozioni e di scambi affettivi.


La Personalità Psicotica
Da un certo punto di vista queste prime due patologie riscontrate giacciono agli estremi opposti del campo di ricerca. La psicosi è infatti una vera e propria malattia mentale che prevede seri disordini mentali nei pensieri e nelle emozioni.
Le psicosi a noi più conosciute sono le varie forme di una stessa malattia chiamata schizofrenia che ha come caratteristica, come sottolinea Kellerman, la disintegrazione, non la scissione della personalità.

Gli psicotici rappresentano l'uno-quattro per cento in ogni società sociologicamente studiata e soffrono di una distorsione dei pensieri e delle percezioni che li porta ad avere spesso allucinazioni e credenze e interpretazioni della realtà personali basate sulle stesse distorsioni.
È largamente diffusa e quasi universalmente approvata la convinzione che questo genere di sintomatologie abbiano origine biologica e non socio-psicologica.

Altre caratteristiche salienti sono l'estrema chiusura in se stessi (un esempio su tutti , l'autismo) dei soggetti affetti, impoverimento del linguaggio e del pensiero, e molto più spesso di quello che si pensi, alti livelli di ansia e/o di depressione.

L'altro primario disordine appartenente a questa categoria sono le sindromi maniaco-depressive. Anche queste di origine quasi certamente biologica, si presentano come un continuo oscillare di umore che passa da fasi di acuta depressione a fasi di iperattività cerebrale incontrollata.
In poche parole la psicosi è quello che comunemente intendiamo quando usiamo il termine "pazzia".


Personalità Borderline
Questa sindrome si presenta alla fine dell'adolescenza e viene diagnosticata in presenza di almeno cinque delle seguenti caratteristiche:

1. Enormi sforzi per evitare/mascherare/superare reali o immaginari abbandoni
2. Una ciclicità di episodi di estrema Idealizzazione/svalutazione del partner di una relazione
3. Disturbi dell'identità
4. Impulsività eccessiva
5. Aggressività a tratti potenzialmente pericolosa con episodi di auto-punizione
6. Croniche sensazioni di vuotezza
7. Difficoltà a controllare la rabbia
8. Forti sintomi di dissociazione

La personalità Borderline è fatta di estremi; il mondo è a tratti "tutto cattivo" o "tutto buono".

Jeffrey Dahmer, il "cannibale di Milwakee" a cui abbiamo già accennato, era sofferente di alcuni dei principali sintomi di questo disordine della personalità. Dahmer uccideva i suoi amanti "perché altrimenti al mattino se ne sarebbero andati magari senza neanche salutare".

Al contrario dello psicopatico, che nei rapporti umani è eccessivamente distaccato, il Borderline è spesso eccessivamente attaccato. Il suo incubo peggiore è rimanere solo, magari a causa del proprio "disagio".

Un altro fenomeno spesso considerato nella psicologia del serial killer è lo stato o disordine da dissociazione.
Egger (1990) lo definisce come una mancanza di integrazione di pensieri, sentimenti o esperienze nel flusso di coscienza. In parole povere il soggetto prova una vera a propria separazione mentale da se stesso. La dissociazione è stata anche definita come una situazione di auto-ipnosi (Bliss 1986).

Morton Prince (1975) include nel fenomeno dissociativo il sonno, l'ipnosi, le fughe mentali, la trance, il sonnambulismo, le personalità multiple.
Lo sdoppiamento è un fenomeno per molti tratti simile alla dissociazione.

Lifton in The Nazi doctors fa riferimento allo sdoppiamento come "La divisione del sé in due parti autonomamente funzionanti, in modo che, a tratti, una delle due funziona come l'intero sé". In particolare nel libro fa riferimento ai dottori nazisti che lavoravano ad Auschwitz e come essi potessero, attraverso lo sdoppiamento, non solo uccidere e contribuire ad uccidere ma costruirsi una intera struttura di sé alternativa che non doveva rispondere di niente al sé cosciente.


Personalità Narcisistica
Sempre il Diagnostic and Statistic Manual della American Psychiatric Association lo definisce come un persistente complesso di superiorità (nelle fantasie o nel comportamento) con bisogno di ammirazione degli altri.
È diagnosticato in presenza di almeno cinque dei seguenti sintomi:

1. Ha una grandiosa concezione di sé
2. È impegnato in fantasie continue di successo, potere, bellezza o amore ideale
3. Crede di essere speciale e reputa di essere associato solamente con altre persone di alto status
4. Ha bisogno di ammirazione eccessiva
5. Crede di aver diritto a fare qualsiasi cosa
6. Privo di senso di empatia
7. È invidioso degli altri o crede che gli altri siano invidiosi di lui
8. È arrogante

Molti di questi tratti possono essere riscontrati nella personalità dell'assassino seriale. Il narcisismo aggressivo è comune per tutti gli psicopatici, e porta spesso a un feroce e impietoso sadismo.


Mania Ossessivo-Compulsiva.
Il comportamento Ossessivo-compulsivo si manifesta in due componenti: la prima formata da "ossessioni", ovvero da idee, pensieri, impulsi o immagini persistenti e ricorrenti, ritenute almeno inizialmente dal soggetto intrusive e senza senso. La persona riconosce che queste ossessioni sono il prodotto della propria mente.

La seconda componente è rappresentata dalle compulsioni, che sono definite comportamenti ripetitivi e intenzionali, spesso bizzarri, che vengono messi in atto in risposta a un'ossessione. Il comportamento è attuato allo scopo di prevenire il disagio del soggetto o qualche terribile avvenimento che il soggetto teme.

I comportamenti sono assolutamente non connessi in maniera reale e diretta al fenomeno che vogliono evitare oppure sono spesso eccessivi, irrazionali, mal eseguiti rispetto al fine cui si predispongono : in questi due loro aspetti appaiono irrazionali, e spesso sono i soggetti stessi che riconoscono l'assurdità o l'irragionevolezza di alcuni comportamenti. Simili comportamenti in scala ridotta possono essere elementi di vita ricorrenti in alcune persone che si contraddistinguono per l'eccessivo perfezionismo: l'ossessiva attenzione ai dettagli, l'ordine, l'organizzazione delle cose, l'irragionevole insistenza che gli altri seguano il proprio modo di fare le cose, indecisione, inflessibilità.

Inoltre una limitata espressione degli affetti, gretto attaccamento al denaro, e riluttanza ad assegnare qualsiasi lavoro ad altri.
Questo genere di persone è vittima di grande stress e ansia, stati d'animo che non trovano giuste vie per poter esprimersi esteriormente.
Ancora propongo il triste esempio di Jeffrey Dahmer e la sua paura ossessiva di un solo, terribile evento, quello di essere lasciato solo.

C'è da fare un ultima annotazione per quanto riguarda questo disturbo; il classico schema disagio e ansia, seguito dall'atto (che scarica la tensione) seguito ancora da una periodo di senso di colpa e/o di rivisitazione mentale dell'accaduto tramite fantasia è molto simile alle tre fasi di azione del serial Killer.
Nel caso dell'assassino queste fasi sono il bisogno, lo stimolo incessante, l'atto e, come dice la definizione stessa, il periodo di "raffreddamento".

Un ultimo spazio va lasciato al "Post Traumatic Stress Disorder" ovvero disordine da trauma subito. Questo è definito come un avvenimento che una persona ha vissuto e che è al di fuori del raggio usuale dell'umana esperienza e che potrebbe ipoteticamente traumatizzare chiunque di noi. La persona soffre di una grande riduzione dell'abilità a provare emozioni, specialmente quelle associate con l'intimità, e presenta anche una diminuita se non assente risposta agli stimoli del mondo esterno detta anche insensibilità psichica o anestesia emozionale.

I traumi infantili che molti serial killer hanno subito sono certamente da classificare come eventi dolorosi e non c'è dubbio che le trance dissociative di alcuni individui come Ed Kemper o Dahmer possono essere interpretate come risposta a uno shock provocato da un trauma.

Tutti questi possibili tratti e il fatto che molte delle caratteristiche dell'una o dell'altra possano essere riscontrati in un serial killer hanno portato alla teoria dell'"overlapping". Molte di queste patologie hanno infatti molte caratteristiche in comune l'una con l'altra e il profilo del serial killer classico si situa diagonalmente a tutte queste sintomatologie.

In pratica nessuna di queste patologie è sufficiente per rappresentare l'assassino seriale, o per lo meno la maggioranza di essi, dunque il serial killer deve essere una patologia a parte, una sintomatologia precisa e nuova (Apsche, 1993). È particolarmente diffuso negli ambienti di ricerca psicologica la tendenza a classificare questa nuova "malattia" o sindrome perché per una certa tipologia di serial killer le caratteristiche sembrano oramai essere le stesse e gli schemi di comportamento altrettanto prevedibili di quelli di una persona che soffre di schizofrenia o di disturbi da personalità borderline, per esempio.

In particolare si è notato che gli assassini seriali presentano una inarrestabile sete di violenza che è stata definita da Keppel (1997) come una caratteristica chiamata Clinical Anger o Rabbia Patologica che insieme alle altre caratteristiche già viste può essere il motore letale di un organismo già orientato alla crudeltà verso gli altri.

Manifesta le seguenti interessantissime caratteristiche:

1. È anormale
2. È costante invece di transitoria o situazionale
3. Il bambino e poi l'adulto la percepiscono come aldilà del proprio controllo
4. Aumenta progressivamente ed esponenzialmente con la crescita dell'individuo
5. Può essere alleviata soltanto attraverso l'estrinsecazione verso l'esterno che comunque rilascia un sollievo soltanto momentaneo
6. Spesso la violenza arresta la sua escalation soltanto di fronte allo stabilirsi di un pattern di manifestazioni esterne (cioè una volta intrapresa la carriera di omicida)
7. Incita la violenza di tipo predatorio su surrogati rappresentanti la vera causa di questa rabbia o eccita l'individuo verso atti violenti sessuali e omicidi in generale
8. Diviene impressa psicologicamente a un livello così profondo che uno schema di Firma si stabilisce e resta immutato attraverso la storia delle performance criminali

Il tipico aspetto di questa serie di caratteristiche è che questa rabbia è inizialmente la manifestazione della frustrazione. Ogni bambino può sperimentare fin dalle fasi di sviluppo più primordiali la frustrazione.
Ogni infante che sente di avere bisogno di cibo o di attenzioni inizialmente piange e se le sue esigenze non incontrano il risultato sperato la rabbia aumenta e il pianto e la frustrazione si fanno più forti. Fino al momento in cui l'infante inizia a esperire uno stato di fiducia nel fatto che le persone che stanno intorno a lui si prendano cura dei suoi bisogni.

È questa fiducia l'inizio di una tendenza a basare gli scambi con l'esterno su presupposti positivi. Il bambino sa che le persone intorno a lui gli vogliono bene e faranno solo cose che possono migliorare la sua vita.
In questo modo anche lui si sente in dovere di ricambiare questo amore seguendo le indicazioni e gli insegnamenti degli adulti che lo circondano.
Per queste persone è come se, a un certo stadio dello sviluppo, questo genere di legame con il mondo esterno non si formasse; ciò genera la formazione di fantasie sostitutive dell'esperienza e il lento strutturarsi della convinzione che ogni azione, interna e molto più tardi purtroppo anche esterna, intrapresa nel senso della soddisfazione personale, sarà lecita.

Il vuoto che viene lasciato al posto della formazione embrionale di una relazione di fiducia viene colmato artificialmente con lo stratagemma delle fantasie.

Serial Killer: Psicodinamica

Per Mastronardi e Palermo (1993), i comportamenti e le componenti psicodinamiche comuni a tutti i serial killers sono ben 24, non tutte sempre presenti contemporaneamente ma tutte di vitale importanza per capire con che genere di persona abbiamo a che fare:

1. Il timore di perdere la stima di sé
2. Le più profonde aspirazioni narcisistiche
3. Le frustrazioni subite in tal senso
4. L'estrinsecazione della volontà di potenza compensatoria (il cosiddetto sé grandioso patologico), o la presenza di una formazione reattiva di superiorità nei confronti dei propri sentimenti di inferiorità
5. Il narcisismo eccessivo
6. Abnormi timori di abbandono, con cause spesso del tutto inesistenti
7. Razionalità, più che emozionalità
8. Comunicazione fredda e asettica
9. Fantasie di controllo, potere e totale dominio della vittima
10. Fantasie di sesso-violenza e preferenza per le attività autoerotiche
11. Fantasie di squartamento, necrofilia e cannibalismo
12. Desiderio di trattenere con sé il cadavere della vittima o almeno parte di esso

Tutto ciò comporta:

13. Compromessa identificazione col proprio sesso
14. Deformazione della capacità di amare fin dalla tenera età
15. Indifferenza per la propria vita
16. Indifferenza per la vita altrui
17. Impulsività manifesta
18. Ostilità e tendenza alla menzogna
19. Aggressività e incapacità di adeguarsi alle regole della società
20. Schemi di comportamento ossessivo-compulsivo con graduale processo di apprendimento
21. Ricerca di vittime cosiddette "predestinate", fisicamente attraenti e incapaci di opporre eccessiva resistenza fisica
22. Assenza di rimorsi
23. Gratificazione dalla pubblicità fornita dal ritrovamento dei corpi e dalla mitizzazione dei mass media
24. Tendenza dichiarata alla recidiva

Serial Killer: il modello motivazionale Douglas, Ressler e Burgess

Vediamo qui il modello motivazionale di Douglas, Ressler e Burgess (1995).
Esso si compone di cinque elementi: l'ambiente sociale del soggetto, gli eventi formativi dei periodi dell'infanzia e dell'adolescenza, le risposte a questi eventi (spesso traumatici), le risultanti azioni verso gli altri e le reazioni del killer alle sue azioni assassine attraverso il "mental feedback" fra fantasie e razionalità.

1. L'ambiente sociale
Gli studiosi delle relazioni familiari sostengono che le interazioni fra la famiglia e l'individuo sono elementi fondamentali per la crescita e la formazione di un'immagina positiva di sé. Per un bambino in crescita il genere di attaccamento alla famiglia si tradurrà in uno schema generale di come comprenderà e categorizzerà le cose al di fuori della famiglia stessa e influirà in modo decisivo sul suo grado di adeguamento sociale.

Nella nostra popolazione di assassini questi legami falliscono inesorabilmente per una ragione o l'altra. Gli adulti non sono efficaci nell'imporre una corretta disciplina accompagnata da adeguate spiegazioni sulle norme di comportamento.
Spesso non hanno reazioni per quanto riguarda i problemi manifesti dell'individuo che sta crescendo. Adottando un atteggiamento indifferente riguardo a problemi di droga o di comportamento di un adolescente si può sostanziare la sua visione di essere stato incastrato dalla società e di non essere in realtà colpevole di niente.
Non solo gli adulti non sono in grado di fornire delle linee guida per il fanciullo ma spesso impongono indiscriminatamente ai figli aspettative e valori adulti, con il risultato di scoraggiare i ragazzi da qualsiasi interazione con gli altri facendoli sentire incapaci ed emarginati.
Da questa emarginazione nasce il rifugio nel mondo delle fantasie.

2. Eventi formativi
Tre fattori contribuiscono al livello di formazione di questo modello.
Il primo è il trauma, in forma di abuso fisico, psicologico o sessuale.

Durante gli anni formativi i soggetti da noi trattati sono frequentemente vittime di eventi fortemente negativi. Questi eventi possono essere traumi diretti come violenze subite in prima persona o traumi indiretti, come assistere a scene disturbanti. L'ambiente non reagisce in nessun modo ai traumi del soggetto, favorendone l'isolamento e non premettendogli nessun tipo di recupero.

L'assunzione di Douglas e Ressler è che gli eventi traumatici nella memoria dell'individuo formino il modo in cui i suoi pensieri si sviluppano riguardo alla sua interazione con il mondo. Lo vediamo negli schemi di gioco da adolescenti e negli schemi di pensiero da adulti.
Gli schemi di gioco contengono fissazioni riguardanti gli eventi traumatici, e spesso sono rivisitazioni, possibilmente con i ruoli invertiti, dei traumi stessi.

La stessa cosa accade per gli schemi di pensiero e di fantasia, che contengono allegorie ed elementi legati a questi eventi.
I soggetti vengono lasciati soli con il loro mondo fantastico all'interno del quale ricreano situazioni sulle quali possono esercitare il controllo del quale nella realtà non hanno esperienza.

Un secondo assunto è che queste esperienze moleste influenzano il modo in cui il soggetto si relaziona con altri.
Spesso il risultato è che il ricordo e la fissazione del trauma provoca una iper o una ipo sensibilità e quindi un eccessivamente alto o eccessivamente basso livello di eccitazione, nervosa ed emotiva.

Se questi livelli sono alterati, le relazioni interpersonali ne risentiranno perché il soggetto avrà reazioni anormali e ricercherà stimoli continui e anomali. Una dimostrazione di questo assunto è il fatto che molti di questi killer colpevoli passano il test della macchina della verità con estrema facilità. I fattori analizzati dal poligrafo sono: conduzione elettrica della pelle, battito e frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, livello di ansia. Dunque se queste persone hanno un livello di attivazione delle emozioni più basso, possono comportarsi naturalmente in presenza della macchina e niente di quello che provano davvero sarà rivelato.

Il fallimento delle relazioni interpersonali, il nostro terzo elemento, rappresenta l'inefficienza da parte dei genitori di fornire un modello di comportamento socialmente adeguato. Il padre o la madre possono essere alcolizzati, oppure il bambino può essere testimone di episodi in famiglia in cui la violenza e gli elementi erotici sono strettamente legati.

Vale, qui più che mai, il classico principio dell'educazione che vedere un padre che esercita la violenza con successo in famiglia può insegnare al bambino l'insana lezione che la violenza funziona, all'interno del microcosmo della famiglia come nel macrocosmo della società.

3. Risposte agli eventi
Le risposte agli eventi e il modo in cui il soggetto si comporta sono divisibili in due grandi categorie: i tratti critici della personalità e le funzioni e i processi cognitivi.

Nella crescita e nel positivo sviluppo di un bambino i tratti personali positivi come fiducia, sicurezza e autonomia aiutano a stabilire le relazioni dell'individuo con gli altri.
Queste caratteristiche, combinate con un ambiente sano e positivo, aiutano il bambino a sviluppare competenza sociale e fiducia in se stesso e negli altri.
C'è stata invece una propensione per tutti e trentasei gli individui del gruppo di serial killer a sviluppare tratti di personalità negativi invece di positivi. Questi tratti negativi interferiscono con la formazione di relazioni sociali e con lo sviluppo di emozioni e risposte emotive nei confronti dell'ambiente sociale.
Il bambino basa il suo sviluppo emotivo sulle proprie fantasie e sui loro temi dominanti invece che sulle relazioni sociali. Questa spaccatura netta è quella che secondo il parere degli agenti e degli scienziati a essi allineati, crea la differenza.
I tratti che emergono in questa fase sono un senso di isolamento sociale, una preferenza per le attività autoerotiche, una forte tendenza alla ribellione, aggressività e un senso di essere privilegiati e di sentirsi autorizzati a fare qualsiasi cosa. Le conseguenze di questo stato sono una generale sfiducia nelle relazioni umane e una ben radicata rabbia verso la società che li rifiuta.
Il cronico mentire dell'assassino riflette una mancanza di fiducia e di possibilità di scambio reciproco con gli altri. Al contrario egli sviluppa invece un senso di autorizzazione implicita a fare tutto quello che vuole come conseguenza della rabbia e dello spostamento della colpa sulla società. L'isolamento sociale e la rabbia interagiscono impedendo uno sviluppo sessuale basato sull'amore, il piacere della vicinanza e dello scambio affettivo.

Le funzioni cognitive
Per quello che riguarda le funzioni e i processi cognitivi, con questi termini facciamo riferimento a quell'insieme di schemi cognitivi che servono per il controllo e lo sviluppo della vita interiore e che poi legano l' individuo al contesto sociale.

L'insieme delle funzioni cognitive genera il significato degli eventi per un individuo.
Esso è anche diretto a preservare uno stato interno di tranquillità e di calma attraverso la riduzione dell'ansia, del terrore e, molto importante, della sensazione di impotenza. Le funzioni cognitive sono generate e sostenute dagli elementi da noi già presi in considerazione: il contesto sociale e le interazioni con esso.
Quando il contesto sociale è critico e le interazioni traumatiche, le funzioni cognitive si orientano a sostenere l'individuo e si organizzano in schemi fissi di pensiero e di comportamento.
Nel nostro caso, nei futuri serial killers si sviluppano unicamente funzioni negative, volte cioè a riparare i traumi ed equilibrare gli stati emotivi sempre e comunque in risposta a una serie di eventi e di convinzioni che si autoalimentano. Gli schemi divengono fissi. L'individuo ne diventa vittima perché gli schemi di pensiero e le conseguenti fantasie sono concepite unicamente per un equilibrio interno attraverso la riduzione della tensione.
Le altre persone vengono escluse a priori, per timore.
È specificamente in questo momento che i temi di controllo e di dominio sugli altri prendono il sopravvento sulla vita interiore dei soggetti.
Essi divengono un sostituto per il senso di dominio delle situazioni che nella vita reale non viene provato. Il dialogo interiore risulta anch'esso impoverito e orientato al pensiero ripetitivo e fortemente guidato da pregiudizi su cause, effetti e probabilità degli eventi.
Il pensiero si struttura e si abitua a ragionare per assoluti e luoghi comuni, perdendo la capacità di discriminare sul momento e bloccandosi su una serie di schemi e di idee fisse a proposito delle persone e di quello che esse pensano.
In questo modo i livelli di attivazione emotiva e di eccitazione dei soggetti finiscono per concentrarsi unicamente intorno agli schemi fissi che hanno sviluppato; in più la realtà deve risultare paradossale e iperbolica per suscitare le stesse forti emozioni delle fantasie.
Da qui la continua ricerca di stimoli forti e sensazioni inusuali.

4. Le azioni verso gli altri
Il comportamento di una persona è guidato dal suo mondo interiore.
I bambini che crescono senza grandi problemi cambiano e adattano il loro pensiero ogni giorno per conseguenza delle sfide e degli stimoli che il mondo esterno e le persone pongono loro.
Questa flessibilità è sconosciuta al serial killer da bambino.
Per primo le esperienze che fa nel senso dell'illegalità e della crudeltà verso gli animali e gli altri passano inosservate e impunite o perlomeno il bambino è in grado di rifugiarsi nel suo mondo interiore per rendersi comunque conto che le sue azioni non sono sbagliate e che aveva il diritto di fare le cose che ha fatto.
Secondo, le convinzioni che il bambino rinforza ogni giorno non trovano nessuna sfida o nessun riscontro nel mondo esterno, in pratica non avendo la possibilità di interagire con gli altri il bambino è solo e nel suo isolamento non può trovare stimoli per mettere in discussione quello che pensa ma soltanto autoconferme.
Per conseguenza le azioni violente verso il mondo, orientate a provare le stesse sensazioni di dominio e di controllo che caratterizzano il mondo interiore del soggetto, diventano sempre più crude e senza rimorso.
Si passa dalla crudeltà sugli animali e la piromania nella prima infanzia, alle violenze sui compagni e ai conflitti con gli adulti nell'adolescenza, ai crimini veri e propri subito dopo, furti, aggressioni, stupri, omicidi.
E' difficile arrestare un serial killer incensurato. Tutti gli assassini detenuti confermano questi dati e questo tipo di percorso; non esiste nessuno di questi uomini che non ha già avuto qualche genere di guaio con genitori, educatori, tutori della legge. Molti di essi vengono spesso arrestati in relazione a crimini minori, magari incriminati per furto, per stupro o banalmente per una lite condominiale. Si pensi al recente caso eclatante di Timothy McVeigh, l'uomo che ha piazzato la bomba ad Oklahoma city che ha scosso l'America e provocato centinaia di morti; fermato per guida privo di patente, l'agente accertatore ha notato che aveva avuto guai penali mentre era nell'esercito e che più di una volta era stato incriminato per porto abusivo d'armi e per ingiustificato uso di armi da fuoco in luogo pubblico. Soltanto dopo una notte in prigione grazie agli arguti sospetti degli agenti che hanno gestito il caso, la polizia e la stampa internazionalesi sono rese conto di chi fosse l'uomo in realtà.

5. Il feedback mentale dell'assassino
Chiamiamo questa parte feedback mentale perché l'assassino risponde alle sue azioni con una serie di considerazioni mentali che a loro volta influenzano le sue azioni future. Si è potuto notare infatti che le azioni dei serial killers subiscono dei cambiamenti così come le loro fantasie e il loro modo di porsi verso la società, il crimine e le altre persone.
In quanto la realtà del crimine è molto diversa da quello che i soggetti immaginano, la loro psiche reagisce fornendo nuove vesti alle fantasie stesse, adattandole alle nuove informazioni, creando giustificazioni per le azioni sempre più articolate e convincenti. Alcune di queste sono così forti che molti di questi criminali a un certo punto del loro percorso ingaggiano una vera e propria lotta con la polizia e la società sotto forma di macabro gioco. Per aggiungere eccitazione e sensazione di dominio e controllo quello che fanno assume nella loro mente una veste di sfida e di aperta dimostrazione della loro superiorità.
Purtroppo le menti di questi uomini sono molto diverse dalle spettacolarizzazioni mediatiche di cui sono protagonisti; l'inquietante sguardo di Anthony Hopskins e il suo sagace e intelligentissimo personaggio Hannibal sono molto diversi dai serial killers del mondo reale.
Con pochissime eccezioni quelli che vengono ritenuti una classe a parte di criminali geniali e privi di rimorso che sfidano le regole e la morale della società non sono altro che patetici e quasi autistici casi clinici. Corrotti e impoveriti da una vita di pensieri uno uguale all'altro questi uomini usano le loro intelligenze sovente unicamente per tentare di eludere la legge il più a lungo possibile. Naturalmente esistono delle eccezioni e, benché gli anni formativi e le principali esperienze prima dell'inizio dei crimini coincidano per la maggioranza dei soggetti, alcuni si distinguono per la capacità di prevedere le mosse della polizia e della società e per l'abilità che dimostrano nel far perdere tracce di sé.


Serial Killer: il Modello Diathesis-Stress

Questo modello è molto simile a quello proposto da Douglass, Ressler e Burgess. Si chiama Diathesis-stress model. È stato postulato per la prima volta in modo ufficiale da Gottesman e Shields nel 1982. Fondamentalmente propone come motivazioni alla base della formazione della personalità del serial killer una combinazione tra fattori biologici innati e ambiente sociale. La definizione individua i fattori genetici come causa primaria però non sufficiente a generare il fenomeno.

Hans e Marcus (1987) hanno compiuto un'interessante analisi della schizofrenia in una prospettiva di Diathesis-stress, sottolineando rispettivamente il concetto di vulnerabilità costituzionale, indicando l'eredità genetica come fattore di fondamentale importanza nella genesi della malattia, le responsabilità dell'ambiente familiare, le precoci manifestazioni comportamentali anomale dei soggetti.

Le basi di questa teoria sono biologiche, non tutti i bambini con infanzie terribili diventano serial killers, alle spalle c'è una costituzione di un certo tipo che predispone la recettività del soggetto a una determinata risposta introspettiva ed essenzialmente violenta.

La combinazione di un ambiente traumatico e di una naturale predisposizione a risposte condizionate generano dei conflitti a livello di concetto e di stima di sé.
Questi conflitti sono spesso aggravati dalla natura sessuale dei traumi e automaticamente dalle risposte ai traumi.

A questo punto la teoria prevede che queste premesse generino una serie di risposte interne distorte e consequenzialmente un ritiro all'interno di un mondo di fantasie, unico garante di tranquillità e di familiarità per l'individuo in preda ad avvenimenti giudicati più grandi di lui.
La teoria sembra simile a quella già affrontata se non che, a questo punto, si osserva una descrizione di un processo che inevitabilmente porta ai primi crimini e non a una modificazione della fantasie e a una correzione delle azioni come abbiamo già visto; piuttosto a uno sviluppo di una forte capacità di dissociazione.

Praticamente quello che succede è che si varcano i confini della fantasia interiore e i soggetti sperimentano un vero e proprio sdoppiamento che finisce inesorabilmente per far prevalere la parte violenta della persona.

La fase che segue consiste nella comparsa di un ciclo auto-alimentante di azioni di matrice ossessivo-compulsiva. Il killer ha ormai capito cosa soddisfa la sua fantasia, ha scoperto la sua ossessione, sa che è soltanto una questione di tempo prima che succeda di nuovo.
A volte si inganna, prende tempo, qualche volta prova rimorso per i suoi atti. Rimanda perché non ha tempo, mette in discussione la sicurezza delle sue azioni. Oramai è entrato in un circolo vizioso che sarà sempre più esigente.
È per questo che molti non reggono la pressione delle proprie stesse urgenze.

Il ciclo si ripete, sempre più spesso, la voglia, la fame, l'impulso all'azione è sempre più pressante. Così spesso si commettono imprudenze che risultano fatali. L'elegante e sofisticato Ted Bundy, inesorabile nello sparire nel nulla, verso la fine della "carriera" commette una stupidaggine dietro l'altra in preda a una vera e propria frenesia.
Jeffrey Dahmer viene alla fine arrestato in preda a uno stupore quasi ipnotico, la sua psiche è così satura e distorta dalle dissociazioni che non è più in grado di orientarsi.

Modelli motivazionali minori

C'è un corpus ben nutrito di teorie motivazionali sui serial killers che riguardano i fattori meramente biologici/ereditari dei soggetti in causa.
Non si tratta certo dell'antica disputa dell'innatismo contro il pragmatismo, né di una versione moderna di essa.
Quella che si chiama prospettiva biologica infatti ha sostanziose prove pratiche e studi tecnici alle spalle da meritare rispettosa attenzione.

Un luogo comune molto diffuso tra i profani è rappresentato dal fatto che molte persone pensano che la teoria biologica riguardi tutti quei sedicenti professori che sostengono che le cause del fenomeno serial killers sono da ricercarsi negli squilibri ormonali, in particolare del testosterone.

In realtà queste opinioni non sono che una piccola parte del quadro che formano le ipotesi biologiche. In pratica ci sono alcuni elementi che lascerebbero capire che elevati, anormali dosaggi di testosterone in circolo nel corpo di una persona potrebbero generare quell'impulso a uccidere e possedere caratteristico della violenza predatoria che riscontriamo negli assassini seriali. È vero che si tratta, con poche rare eccezioni, di una popolazione esclusivamente maschile, è vero anche che tante di questi soggetti sentono un irrefrenabile impulso a commettere delitti con forte componente sessuale.

Ma è vero anche che la maggior parte dei killers è in grado di controllare questo istinto e che, comunque, non si tratta di un cieco impulso verso le pratiche sessuali, come potrebbe forse sentire uno stupratore, ma, come abbiamo visto, di ben altro.

Quando si parla di assassini seriali si parla di dominio, di violente fantasie sessuali che escono allo scoperto, non solamente di una persona che è disperata per il bisogno di sesso. È vero che alcuni di questi killer che avevano delle mogli o delle compagne erano rinomati per pretendere soddisfazione sessuale fino a cinque-otto volte al giorno, ma non era certo quella loro caratteristica che li trasformava in spietati assassini.

Un altro elemento dei sostenitori di questa tesi è che molti serial killers si fermano o comunque l'istinto di uccidere sembra diminuire intorno ai cinquant'anni.
È vero anche che intorno ai cinquant'anni mutano molte altre caratteristiche biologiche ed emotive di una persona; stiamo parlando comunque di soggetti incarcerati (la missione rieducativa delle carceri è oramai completamente esclusa come possibilità in America, le carceri sono luoghi sicuri dove relegare la feccia intrattabile della società) e la rassegnazione al proprio destino non tarda ad arrivare intorno a quell'età per i pochi che hanno la fortuna di arrivarci.

David Berkowitz ha cambiato il suo soprannome di killer, "Figlio di Sam", in "Figlio della speranza" da quando, come dice Ressler, "ha convenientemente trovato Gesù".

Insomma la linea "testosterone" dell'argomentazione ormonale-biologica sembra non reggere minimamente il riscontro con i dati.
D'altro canto questo genere di argomentazioni e le proprie pretese dimostrazioni hanno iniziato la loro fama storicamente molto presto.

Da quando l'italiano Cesare Lombroso iniziò la sua ricerca sui criminali con l'intenzione di trovare le conferme alla sua teoria che alcune persone nascono cattive il moto di queste supposizioni non si è mai arrestato. Purtroppo le prove a favore di queste linee danno l'impressione in retrospettiva che le versioni più solidamente dimostrate fossero proprio quelle degli esordi.

Lombroso sosteneva che i criminali fossero una specie di anello di congiunzione fra l'uomo e i suoi istinti primordiali.
Questi uomini infatti possedevano una mente dominata dalla parte arcaica e primitiva dell'uomo, e questo era evidente anche dai tratti somatici e dalla conformazione del cranio. Mascella larga, naso schiacciato, cranio sovradimensionato; gli individui studiati da Lombroso sembravano veramente degli uomini primitivi.

Quasi contemporaneamente il sociologo Richard Dugdale sviluppò uno studio storico in cui prendeva in analisi a discendenza di un clan formato da due fratelli che sposarono due sorelle illegittime. Ebbene di questa fiorita discendenza di più di settecento persone sembra che solamente sei non divennero prostitute o criminali.

Un altro sociologo, Henry H. Goddard, ha studiato il caso di un quacchero che aveva avuto un figlio con una ragazza ritardata e poi numerosi altri dopo il suo matrimonio con una onesta quacchera come lui. Dei quasi cinquecento discendenti sulla linea della seconda moglie nessuno fu conosciuto come disonesto o criminale. Dalla discendenza della ragazza ritardata, a parità di numero, soltanto il 10 per cento degli individui risultò normale.

È chiaro che questi dati sono in un certo senso arbitrari e incontrollabili e ci rendiamo perfettamente conto che siano scientificamente inservibili.
Per quello che ne penso, i risultati odierni non sono molto più affidabili o credibili di quelli sopra elencati.
Per quello che riguarda le ipotesi moderne, alcune di queste si concentrano intorno al concetto di danno al cervello o di anormalità dell'encefalogramma.

In molti casi le ferite o i significativi traumi alla testa sono stati indicati come origine di comportamenti aggressivi ed estremamente impulsivi.

Un classico esempio di questo tipo è l'assassino Bobby Joe Long, che, rinomato per aver avuto una storia di disfunzioni endocrine durante l'infanzia, ha mostrato encefalogrammi molto peculiari come conseguenza di un significativo trauma cranico dovuto a un incidente motociclistico.

In una indagine del Dr. Lewis, citata da Ewing (1990), il professore prende in esame 14 detenuti del braccio della morte arrestati per crimini violenti. Tutti gli elementi del campione analizzato provenivano da storie di traumi cranici gravi risultati in coma, operazioni, o comunque cure ospedaliere.

Per quanto riguarda invece i molto più attendibili studi genetici possiamo citarne alcuni ritenuti internazionalmente molto validi.
Il primo appartiene al Massachussets General Hospital e concerne gli effetti di una anomalia genetica riscontrata in un gruppo di soggetti che metabolizzavano in modo anormale l'enzima monoamminico di oxidase, detto anche MAOA, una sostanza che influisce sulla gestione della dopamina, della serotonina e della noradrenalina, componenti che sappiamo influenzare il comportamento e i sentimenti di qualcuno in modo determinante.

Un altro dibattito molto fiorente è quello intorno al cromosoma 47 XYY.
Jacobs, Brunton e Melville iniziarono la prima ricerca su cromosomi maschili XYY scoprendo questo cromosoma aggiuntivo in una nutrita schiera di criminali accusati di criminali violenti.

Money (1970) sottolinea come bambini con XYY fossero dotati di personalità enigmatica, soffrissero di significativo isolamento e tendessero a essere tremendamente irascibili e violenti nelle loro rare manifestazioni verso gli altri. Sembra che questo cromosoma in eccesso aumentasse il valore di un metabolite endogeno che negli esseri umani "normali" è presente in dosi microscopiche. Questo matabolita, chiamato "Urine kryptopyrrole" è conosciuto per formare legami complessi con zinco e la vitamina B6, consequenzialmente privandone l'organismo.

Se il quantitativo di Urine kryptopyrrole è molto alto (fino a 200 nei campioni di riferimento con valori medi che dovrebbero essere fra lo 0 ed il 20) le sostanze con cui forma legami scompaiono dall'organismo della persona. Adesso, lo zinco e la vitamina B6 sono conosciuti come catalizzatori di alcuni processi di neurotrasmissione che coinvolgono ancora una volta la dopamina e la serotonina, e lo zinco è un elemento fondamentale come coenzima per una serie di importanti reazioni.

Le ricerche che associano questo fattore con i comportamenti aggressivi e tipici degli assassini seriali sono molte, fra le tante, anche quella di Krauss (1995) che afferma con sicurezza che alti livelli di Urine kryptopyrrole portano a comportamenti fortemente impulsivi, perdita del controllo e bassa tolleranza dello stress.

Sono famose le ricerche di Krauss nel caso di Arthur Shawcross, assassino che terrorizzò la città di Rochester, nello stato di New York, uccidendo undici persone in due anni. Shawcross presentava altissimi livelli di Urine kryptopyrrole e, nonostante il fatto che la sua vita sia una storia di alti e bassi fra lavoro, guerra e matrimonio, gli schemi di violenza brutale sono stati presenti nella sua vita fin da quando il soggetto stesso può ricordare.

Quello che emerge dai miei studi è che molte di queste argomentazioni, combinate anche con ambienti sociali pregiudizievoli come in molte tesi che fondono l'approccio chimico-biologico con quello sociale-psicologico sono valide spiegazioni di alcuni casi ma non possono assurgere a normative esaustive del fenomeno.
C'è infatti una differenza fondamentale fra la tendenza all'impulsività e all'aggressività in generale e l'atteggiamento predatorio degli assassini seriali.

Quest'ultimo viene definito da Moyer (1970) come " una violenza avente basi neurologiche differenti dagli altri tipi di violenza". L'aggressione predatoria è chiaramente diversa da altri tipi di aggressione, nel senso che "non manifesta rabbia confondibile con un atteggiamento di lotta, in realtà è orientata verso uno scopo, accuratamente pensata, e la tensione che la genera si dissolve solamente con il raggiungimento dell'obiettivo" (Fromm, 1973).
La calma, organizzata aggressione di un serial killer riflette evidentemente un comportamento predatorio più che un istinto alla violenza o allo scontro.

L'infanzia del Serial Killer

Per quanto riguarda questo argomento, ho assunto come punto di riferimento il libro Sexual Homicide, patterns and motives (1995) di Douglas e Ressler in collaborazione con Ann Burgess, che comunque consiglio a tutti. L'originale, che io sappia, non è stato tradotto in Italiano, ma la copia inglese è facilmente reperibile sul web.
Nel contesto del libro vengono analizzati i dati raccolti attraverso l'indagine da loro condotta durante il loro primo periodo di interviste con assassini seriali condannati, nella quale hanno incrociato 36 colloqui dei criminali che ritenevano più rappresentativi della categoria e ne hanno generato una statistica.

A una prima occhiata, sembra che la vita dei 36 assassini abbia avuto inizio in condizioni di privilegio. Tutti uomini e quasi tutti (33) bianchi e figli unici o maggiori. Tutti sono nati nel periodo fra gli anni '40 e gli anni '50, un periodo, in America, che privilegiava queste categorie in modo distinto.
La maggior parte di essi erano fisicamente attraenti o normali, con altezza e peso all'interno della norma.
Erano tutti di buona intelligenza, con soltanto sette di essi con coefficiente di intelligenza sotto a 90, sedici nella zona medio alta (90-119) e, dato assolutamente interessante, undici di essi avevano Q.I. sopra 120. La maggioranza di loro viveva in una casa con i due genitori, la madre sempre presente che svolge lavori di casa, il padre che svolge lavori manuali non specialistici. Più dell'80 per cento di questi uomini avevano da bambini una vita normale, con un tenore di vita regolare e rispettabile.
Cosa ha fatto di loro assassini?

Ambiente Sociale
Nonostante l'aspetto "normale" delle famiglie, all'interno delle case c'erano tensioni di ogni tipo a causa dei problemi dei genitori. Come prima cosa, l'abuso di alcool era un problema presente nel settanta per cento dei casi e un terzo delle famiglie avevano storie di abuso di droghe.
La storia delle famiglie rivela anche una evidente testimonianza di problemi psichiatrici: dieci madri, sette padri, quattro fratelli e una sorella avevano disordini psichiatrici. In molti casi i problemi della madre o del padre li rendevano assenti da casa durante i periodi passati negli ospedali.

Molti di questi criminali testimoniano di aver avuto forti problemi di aggressività in quei periodi di assenza dei genitori.
Molti dei soggetti lamentano anche dei problemi psichiatrici riguardanti se stessi. Per venticinque di questi uomini ci sono state spesso terribili e traumatiche visite psichiatriche in tenera età perché qualcuno della famiglia era convinto che così si potessero risolvere i loro problemi di comportamento.

In aggiunta a questo, la metà delle famiglie aveva storie criminali.
Erano storie di cui si sapeva (segreti di famiglia) o erano addirittura manifeste a tutti i membri della famiglia (il padre spacciava droga nel cortile di casa) oppure erano storie di cui si sapeva marginalmente o non si parlava mai (arresto della madre per guida in stato di ubriachezza o del padre durante il servizio militare). Questo genere di contesto creava molte difficoltà ai soggetti. In un caso il soggetto racconta che, una sera che il padre era fuori con gli amici, la madre è rientrata a casa ubriaca e in compagnia di un uomo e i due hanno iniziato a scambiarsi effusioni. Il soggetto che al tempo aveva sedici anni racconta di essersi scagliato sull'uomo con l'intento di ucciderlo.

In casi di relazioni extraconiugali del padre si è notato che i soggetti erano più preoccupati degli stati angosciosi della madre che dei tradimenti del padre. In questi casi il soggetto era portato a condividere le stesse paure di insicurezza e di abbandono della madre.
Sono state poi analizzate le relazioni all'interno delle famiglie e i tipi di interazioni fra il soggetto e la famiglia e nella famiglia in generale. In questo contesto sono stati rinvenuti inconsistenti se non nocivi e distorti legami fra membri.

Inoltre, soltanto un terzo degli uomini dichiara di essere cresciuto in un luogo fisso. Tutti gli altri dichiarano occasionali spostamenti o continui traslochi. In più, il 40 per cento dei soggetti viveva fuori da casa prima dei diciotto anni; centri di accoglienza, prigioni, centri di rieducazione, istituti di cura mentale.

Le storie di traslochi continui illustrano uno scarso attaccamento della famiglia stessa alle varie comunità locali che si è riflettuto sulla capacità dei ragazzi di stabilire positivi rapporti all'esterno della famiglia che avrebbero potuto compensare per i problemi vissuti all'interno di essa.
Come gia detto i genitori erano presenti entrambi in più della metà dei casi, con il padre assente in dieci casi, la madre assente in tre casi e entrambi i genitori assenti in due casi. Il dato comunque rilevante e che in diciassette casi il padre naturale ha lasciato la famiglia prima che il soggetto compiesse dodici anni.

Le ragioni variano dalla morte all'incarcerazione, ma più spesso l'assenza era dovuta a separazione o divorzio.

Grossi periodi di lutto, di rabbia e di adattamento vengono esperiti nei casi in cui il padre naturale viene sostituito da un'altra figura maschile in seno alla famiglia.

Uno dei soggetti racconta di aver commesso il suo primo delitto mentre sua madre era via in viaggio di nozze con il suo secondo marito.
Visto l'abbandono della famiglia da parte del padre, non è sorprendente che il genitore dominante nella maggioranza dei casi fosse la madre.
Ma non è la sola assenza fisica del padre ad avere la responsabilità della mancanza di una immagine maschile in famiglia, bensì la sostanziale inabilità dei padri a costruire un valido rapporto con i figli. Un soggetto racconta che al di là di alcune domeniche passate a pescare insieme il rapporto con suo padre era inesistente; sostanzialmente padre e figlio si ignoravano a vicenda.

L'elemento a cui si attribuiscono più danni psicologici è l'assenza del padre in situazioni determinanti, al manifestarsi di problemi del ragazzo, di comportamenti antisociali, insomma in tutti i casi in cui ci si sarebbe aspettata una disciplina ferrea ma giusta, un esempio, era presente soltanto la madre, che gestiva la situazione come meglio poteva.

Un altro fattore interessante notato in questa fase è il rapporto ambivalente con la madre, che oscilla dalla ricerca di amore e protezione all'odio viscerale per l'ingiustizia dei comportamenti o delle punizioni.

Anche le relazioni con gli altri familiari non sono buone, per esempio i rapporti con fratelli o sorelle sono spesso di competitività invece che di supporto reciproco.
Questa mancanza di relazioni fa sì che i soggetti fossero tutti dei solitari, che non avessero contatti con nessuno e che fossero generalmente poco notati.
L'avvocato di uno dei soggetti realizzò di essere stato nella stessa classe del suo assistito ma di non aver nessun ricordo del medesimo da adolescente.

Molta attenzione è stata posta anche nella ricerca di eventuali traumi, diretti o indiretti, che i soggetti potevano aver subito in giovane età.
Per trauma diretto si intende un trauma da violenza fisica o sessuale diretta. Per trauma indiretto si intende l'esperienza di essere testimoni di eventi disturbanti.
Frequentemente i soggetti riferiscono non solo relazioni inconsistenti ma anche una gestione ingiusta della disciplina da parte di uno o di entrambi i genitori. In particolare la descrivono inconsistente, incoerente, ingiusta, eccessiva.

Un soggetto descrive la sua situazione familiare quando aveva nove anni e viveva a casa della madre con le due sorelle. La madre passava le giornate a dirgli che schifo di padre avesse e come gli assomigliasse, la sorella maggiore lo picchiava regolarmente e la sorella minore combinava guai per cui lui era sempre incolpato. Descrive forti sentimenti di rabbia e continue fantasie di violenza e di vendetta.

Un soggetto racconta di come i genitori fossero proprietari di un negozio di alimentari e passassero tutto il giorno al lavoro. Durante la giornata passava il tempo con familiari o con vicini. Racconta di essere stato ripetutamente seviziato da un vicino e che quando denunciò l'episodio ai suoi, essi dettero la colpa a lui accusandolo di stare inventando tutto per attrarre l'attenzione.

Molto frequenti sono anche i racconti in cui i soggetti dichiarano che le liti in famiglia erano all'ordine del giorno. Un criminale descrive come fosse costretto a vedere sua madre picchiata brutalmente dal padre ogni giorno.

Frequenti sono i casi in cui il bambino stesso è il destinatario della violenza. Da un punto di vista fisico vengono spesso picchiati dal padre, a causa di qualcosa ma spesso anche senza un motivo particolare, da un punto di vista psicologico spesso sono le madri sole a mettere in atto punizioni eccessive ed umilianti.


Esperienze Sessuali del Serial Killer

L'abuso sessuale o le esperienze sessuali devianti in giovane età sono spesso considerate esperienze traumatiche di primo livello per giustificare la condotta dell'individuo da adulto.

Nel nostro caso, in nove casi i soggetti hanno dichiarato di essere stati vittime di violenze sessuali. Altri nove soggetti hanno descritto di aver assistito a un'attività sessuale anormale o disturbante di un genitore; in undici casi dicono di aver assistito ad attività sessuali disturbanti di parenti o amici (un soggetto dichiara di essere stato molto scioccato di aver sorpreso la sua ragazza a letto con un altro).

Altre esperienze sessuali sono state rinvenute nelle anamnesi come la contrazione di malattie (un soggetto dice di aver preso la gonorrea dopo la prima volta con una prostituta), interventi chirurgici. Un altro soggetto dichiara un atto di auto-mutilazione all'organo genitale per punirsi di cattivi pensieri.

Situazioni sessuali fortemente traumatiche erano presenti per diciannove intervistati, con esempi di cattiva reazione dei genitori alla masturbazione, offesa e messa in discussione della sessualità del bambino, e/o l'osservazione di altri compagni o amici nell'atto di praticare atti omosessuali.

Quando interrogati più dettagliatamente sulle violenze sessuali subite, dei ventotto che hanno risposto, dodici hanno riferito di essere stati abusati nella prima infanzia (da 1 a 12 anni), nove durante l'adolescenza e dieci quando erano adulti.
Queste esperienze includono principalmente episodi vissuti in famiglia: "Sono stato a letto con mia madre quando ero piccolo"; "mio padre mi ha violentato ripetutamente da quando avevo quattordici anni".
Le performance sessuali dei soggetti da adulti rimanevano nella stragrande maggioranza dei casi prevalentemente a livelli fantastico e autoerotico.
Da adulti, quasi metà dei criminali hanno confessato una aperta avversione per il sesso.

Problemi sessuali riconosciuti dall'intervistato predominavano in tre quarti dei soggetti. Più della metà descrivevano se stessi come ignoranti in materia sessuale, quasi il 70 per cento ha ammesso di sentirsi sessualmente incompetente. Il 56 per cento confessa disfunzioni sessuali e infine il 30 per cento esprime preoccupazione per quello che concerne le dimensioni del membro.

Alcuni erano preoccupati perché si sentivano diversi dagli altri mentre altri hanno affermato di preferire il sesso con donne morte. Gli intervistatori sospettarono che i sedici intervistati che non risposero alla domanda sull'età della prima esperienza di sesso con un partner conseziente non avessero avuto esperienza alcuna.

Fra gli interessi dal punto di vista del sesso, la pornografia ha ottenuto il punteggio più alto con l'81 per cento (venticinque su trentuno risposte), a seguire la masturbazione compulsiva (79 per cento) e il feticismo (72 per cento, ventuno della ventinove risposte). Una percentuale più piccola ha nominato sesso sado-masochistico, esibizionismo, sesso con animali, telefonate oscene, travestitismo.

Sono stati riscontrati anche casi di asfissia sessuale (la pratica di auto-strangolarsi con corde o di mettersi un sacchetto sulla testa per ridurre l'apporto di ossigeno ai polmoni), e di fantasie e messe in atto di pratiche dolorose durante la masturbazione; un soggetto riferisce delle sue abitudini a pizzicarsi la regione dell'addome con pinze, ami da pesca o piccoli coltelli durante la masturbazione.

A sedici anni lo stesso soggetto commise un gesto suicida sparandosi all'addome con una pistola calibro .38.

Corrispondenze statisticamente rilevanti sono state trovate nell'attività sessuale da adulto dei soggetti che avevano ammesso esperienze bizzarre in gioventù. Da questi dati emergono elementi preoccupanti e, a mio avviso, molto significativi, come il fatto per esempio che ventidue su trentasei intervistati abbia ammesso di aver avuto fantasie di stupro e ben la metà di questi abbiano detto di aver avuto le prime fra i dodici ed i quattordici anni.
Altro dato molto eloquente mi sembra il 43 per cento di abusi sessuali durante l'infanzia.

Una estesa comparazione è stata eseguita fra i soggetti che avevano subito violenze durante l'infanzia e quelli che non ne avevano subite rispetto ad alcune variabili della vita familiare.

Dei dodici soggetti vittime di violenze nella prima infanzia il 42 per cento ha detto di avere una relazione fredda e inconsistente con la madre, il doppio esatto rispetto allo stesso dato (21 per cento) dei soggetti che non avevano subito violenze.

Per quanto riguarda le relazioni col padre si conferma il dato precedente in modo ancora più eclatante. I soggetti con violenze subite hanno detto di avere un rapporto freddo e ostile col padre nel 92 per cento dei casi, mentre i soggetti senza violenze subite lo hanno dichiarato solamente nel 30 per cento dei casi.

In più il 53 per cento dei soggetti vittime di violenza viveva in condizioni economiche ristrette o molto basse rispetto al 33 per cento dei soggetti non vittime di abusi. Ancora, il 46 per cento dei soggetti abusati viveva in una famiglia effettuante frequenti traslochi e completamente slegata dalle comunità locali rispetto al 20 per cento dei soggetti non abusati.

Non sono state invece riscontrate grandi differenze fra i due campioni per quanto riguarda il genitore dominante o la stabilità affettiva della famiglia.


Elementi del comportamento infantile

In questa sezione vedremo tutti quei comportamenti insoliti che gli investigatori ritengono di grande importanza per determinare poi le motivazioni degli atti criminali compiuti da adulti.
In questo settore rientra l'oramai famigerata Triade di McDonald: Enuresi, Piromania, Crudeltà sugli animali.

Questi tre comportamenti sono stati riscontrati dalla maggioranza dei serial killers intervistati e/o studiati dall'F.B.I., anche e soprattutto all'esterno di questa ricerca dei trentasei individui.

L'enuresi è un comportamento non inusuale nei bambini, quella però qui presa in considerazione è una forma quasi patologica e protratta anche fino all'età di quindici/sedici anni. Spesso ha un effetto doppiamente negativo per il soggetto. Sensazioni di inadeguatezza, immaturità e vergogna sono frequentemente aggravate dalle reazioni sproporzionate dei genitori o di altri parenti come zii o fratelli e sorelle che deridono il soggetto provocando un ulteriore trauma e una escalation di rabbia dovuta alla sensazione di impotenza.

Per piromania anche qui si intende una forma vicina alla patologia dove vi sia una sensazione rispetto all'appiccare i fuochi molto vicina alla compulsione, un atto che gratifica molto il soggetto e che pretende di essere ripetuto in modo ossessivo.
Esempio fulgido, il giovane David Berkowitz, il killer di coppiette di New York, che da adolescente era riuscito ad accendere più di duemila fuochi nell'area metropolitana di New York.

Infine, per quanto riguarda la crudeltà sugli animali non si può realmente parlare di forme patologiche e non, ma casomai di gravità delle manifestazioni. L'atto infatti è di per sé un segnale di anomalie caratteriali del bambino.

Si considerano gravi le forme in cui oltre alla tortura di animali domestici si passa all'uccisione e allo smembramento di animali da cortile o domestici. Il giovane Ed Kemper era terribilmente affascinato dalla morte e dal "funzionamento" degli esseri viventi" e, oltre a praticare pericolosi giochi con sua sorella, come vittima catturava, squartava e sezionava con rinnovato e sempre più morboso interesse i gatti del vicinato.

Il giovane Jeffrey Dahmer, dal canto suo, passava intere giornate in cerca di animali morti per strada, li portava a casa e dopo averli sezionati, fotografati, disegnati e dipinti nelle varie fasi della dissezione, compiva esperimenti sullo sciogliere i resti con l'acido oppure triturare le ossa e liberarsi per altri versi delle carni. In modo prevedibile, queste insane pratiche giovanili sono divenute le esperte tecniche di un adulto serial killer, organizzato in ogni minimo dettaglio.

Gli elementi di spicco per quanto riguarda la prima infanzia sono che più del cinquanta per cento dei soggetti ha manifestato i seguenti comportamenti: sogni ad occhi aperti o fantasie (82 per cento), masturbazione compulsiva (82 per cento), isolamento (71 per cento), enuresi (68 per cento), tendenza alla ribellione (67 per cento), incubi notturni (67 per cento), distruzione di proprietà (58 per cento), piromania (56 per cento), furto (56 per cento) e crudeltà verso i pari (54 per cento).

Per quanto riguarda l'adolescenza, il panorama è soltanto leggermente diverso, più del cinquanta per cento dei soggetti ha manifestato: iniziative violente verso gli adulti (84 per cento), tendenza alla ribellione (84 per cento), ancora masturbazione compulsiva alla stessa percentuale dell'infanzia (82 per cento), fantasie (81 per cento), ancora isolamento, in percentuale maggiore rispetto alla prima infanzia (77 per cento rispetto al 71 della fase precedente), crudeltà verso i bambini, in percentuale aumentata anche questa caratteristica (64 per cento rispetto a 54 per cento).

Ma forse la caratteristica più evidente è che quasi la metà dei soggetti porta avanti con determinazione e regolarità un progressivo pattern di violenza sugli animali.

Per quello che concerne il periodo adulto, assistiamo allo stabilizzarsi di alcuni elementi che si erano rivelati peculiari nella fase adolescenziale più l'aumento notevole di qualche altra caratteristica precedentemente poco rilevante.
Più del cinquanta per cento dei soggetti infatti presenta le seguenti caratteristiche: azioni violente verso gli adulti (aumentate dall'84 all'86 per cento a discapito della crudeltà sugli animali, che diminuisce notevolmente), fantasie (stabili all'81 per cento), masturbazione compulsiva (81 per cento), isolamento (73 per cento) e bassa considerazione di sé (62 per cento).

Prima di affrontare una visione generale, bisogna fare una distinzione fra indicatori di comportamento interni ed esterni. I comportamenti interni sono quelli propri del soggetto e che esperisce all'interno della sua emotività.
Quelli esterni sono quelli che palesemente possono essere osservati dagli altri.

I comportamenti interni più diffusi trasversalmente ai tre periodi sono: fantasie, masturbazione compulsiva e isolamento.

I comportamenti esterni più presenti in generale sono invece il mentire patologico, la tendenza alla ribellione, il furto, la crudeltà verso i bambini e l'aggressività manifesta verso gli adulti.

È stato riconosciuto a questo insieme di caratteristiche il nodo principale da cui si può formare una personalità antisociale, risentita in modo violento ed estremamente egoistica, che si manifesta più tardi nella vita attraverso l'omicidio in serie, una base solida dalla quale raramente sembrano esserci altre uscite, un insieme di costrutti mentali che porta troppo spesso alla considerazione dell'altro come un mezzo per arrivare alla propria soddisfazione, allo sfogo della rabbia, al piacere sessuale. L'impossibilità di simpatizzare o avere sentimenti positivi verso una vittima è inevitabile.

Un altro importante tema che è stato analizzato è il grado di adattamento sociale. Un altro paradigma sembra affiorare a questo proposito. Più precisamente, quello che, nonostante i mezzi mentali e familiari di ottenere successo dalle attività della vita, molto spesso queste persone hanno grosse difficoltà con la scuola, il lavoro, il servizio militare.

Per quello che riguarda le posizioni lavorative vediamo i dati più eloquenti di questa sezione. Solo il 20 per cento dei soggetti possedevano un lavoro stabile. Ben il sessantanove per cento aveva lavori vacanti.
Questo dato è molto importante, perché bisogna ricordarsi che qui è il senso di adattamento sociale che viene preso in considerazione; a esclusione di pochi, la maggior parte dei serial killers sarebbero perfettamente in grado di trovare lavori di concetto e inserirsi nella società. Nonostante ciò questo non succede nella maggior parte dei casi.

Esempi di questa categoria ce ne sono ovunque nella casistica statunitense, John Wayne Gacy, l'assassino vestito da clown, era un indefesso lavoratore: due volte cittadino dell'anno a Springfield, la capitale dell'Illinois, aveva un'impresa tutta sua ed era famoso per lavorare dalle dieci alle tredici ore al giorno. La scuola però non era il suo forte, ha ripetuto più volte il quarto grado elementare prima di abbandonare definitivamente gli studi.

Ted Bundy, conosciuto per essere un brillante studente di legge prima di iniziare la sua corsa omicida conclusa quasi in follia, non ha mai lavorato in un impiego stabile e si è alla fine lanciato in una serie di viaggi attraverso gli Stati dell'America con carte di credito false e soldi dei genitori e della sua compagna.

Neanche le prestazioni durante il servizio militare sono troppo buone: quattro dei soggetti hanno avuto problemi con la legge nel contesto del servizio, e otto di loro sono stati congedati con disonore a causa di comportamenti violenti e antipatriottici e resistenza alla disciplina degli ufficiali.
Addirittura uno dei quattro soldati congedati con onore del gruppo confessa che le sue fantasie, che avevano avuto sempre e soltanto lui come soggetto, dopo il ritorno dal Vietnam si sono trasformate in desiderio di rivalsa, vendetta e violenza verso le donne e la società.

In conclusione possiamo dire che non sappiamo con certezza se questi siano gli elementi che fanno di un uomo un assassino seriale anche perché quasi tutti gli intervistati avevano i numeri e le possibilità per diventare rispettabili membri della società. Certo è che il concorso fra i fattori ambientali, familiari e caratteriali sopra elencati fanno sì che una persona si isoli gradualmente dalla società in modo patologico e carico di risentimento. L'isolamento stesso è conseguenza e origine dello sviluppo della personalità antisociale in quanto la chiusura in se stessi dovuta a un cattivo rapporto con l'esterno fa sì che i soggetti si allontanino anche da quelle figure potenzialmente positive come gruppi di pari ma anche insegnanti, genitori, dottori.

Serial Killer e Fantasie Violente

Dei trentasei criminali studiati nella ricerca di Douglas e Ressler, ogni singolo soggetto ha ammesso di essere sempre stato cosciente di avere avuto una vita fantastica molto attiva e che all'interno di queste fantasie quelle più ricorrenti erano di violente situazioni sessuali. La maggior parte di queste fantasie prima del primo omicidio si concentrano sull'uccidere.
Questo contrasta con le fantasie post-omicidio, che nella maggior parte dei casi hanno per argomento una rivisitazione dei crimini commessi e soprattutto il come perfezionare i vari aspetti delle imprese criminali.

Il ruolo delle fantasie negli omicidi è un fattore che ha ricevuto attenzione solamente di recente. Negli ultimi vent'anni, il ruolo delle fantasie sadiche è stato esplorato in diversi studi (Brittain 1970; Reinhardt 1975; Revitch 1965, 1980; West et al, 1978), tutti concordi nell'affermare che gli atti sadici e le fantasie sono intimamente connessi fino ad annunciare la regola che "La fantasia guida il comportamento".

Da qui la regola aurea di Douglas che riassume in poche parole il senso dell'approccio comportamentista: "Il comportamento è lo specchio della personalità, la personalità è lo specchio delle fantasie".

Analizzando i dati ottenuti con le ricerche e le interviste, si sono notate le corrispondenze biunivoche e il legame inequivocabile fra fantasia e omicidio; queste fantasie nascono presto nella mente dei soggetti e si incanalano in un flusso di percorsi di pensieri che tendono a difenderle e privilegiarle fino a farle diventare l'unica cosa di valore dell'individuo, l'unica realtà "veramente propria".

I flussi di pensiero sono evidenziati da alcune dichiarazione rappresentative di un soggetto: "Per tutta la mia vita sapevo che avrei ucciso, e ogni mia energia si incanalava in quei pensieri che mi facevano sentire bene... sapevo che sarebbe successo, mi preparavo" o dalle dichiarazioni di una madre di un assassino che, dopo che suo figlio fu arrestato durante l'infanzia per il furto di materiali feticistici, disse che se non succedeva qualcosa temeva che gli sbalzi d'umore e la solitudine estrema in cui il figlio si era rinchiuso avrebbero portato a "qualcosa di terribile e tragico".

L'omicidio è un atto che dà soddisfazione nel mondo fantastico dell'assassino. Poiché questi criminali pensano di avere il potere di fare quello tutto ciò che vogliono e di vivere in un mondo ingiusto, la fantasia emerge come un importante luogo di fuga e un momento in cui esprimere liberamente le proprie sensazioni di ricerca di controllo su di sé e su altri esseri umani.

Ma quale è l'origine del pensiero di uccidere?
I pensieri sono definiti come idee che sono state elaborate da stimoli ricevuti attraverso il cervello (Gardner 1985). Il sogno a occhi aperti è stato definito come ogni attività cognitiva rappresentante uno spostamento di attenzione dal contesto di un pensiero (Singer 1966). Una fantasia, come Douglas e Ressler la definiscono, è un pensiero elaborato con molta accuratezza, ancorato nelle emozioni e che ha origine nei sogni a occhi aperti.
Le fantasie sono un normale mezzo attraverso il quale gli adulti e i bambini ottengono e mantengono il controllo su una situazione immaginata.

Comunque, il livello di sviluppo della capacità di avere fantasie può variare fra persone diverse e in base alla capacità di ogni individuo di individuare un pensiero come sogno a occhi aperti, articolarne il contenuto e retrospettivamente richiamarne il contenuto alla memoria.

Singer (1996) osserva che il 96 per cento degli adulti ammette di sognare a occhi aperti molte volte al giorno, mentre Beres (1961) fa invece notare una informazione molto importante: molto spesso la fantasia prepara all'azione. Molte persone possono avere fantasie sadiche. Non è noto come molte persone attivano le loro fantasie sadiche e in che contesto questo succede ma Sclesinger e Revitch (1980) fanno notare che una volta che la fantasia raggiunge il punto in cui lo stress interno è intollerabile, la via per l'azione è spianata.

Molto spesso i motivi psicologici per il comportamento violento fanno capo a una serie di traumi e di episodi critici nella prima infanzia. La tesi di Douglas e Ressler per quanto riguarda il serial killer è che l'universo di fantasie del soggetto sia stimolato e incoraggiato dalle circostanze particolari in cui si trova a crescere.

Nel tempo gli schemi di pensiero si organizzano in modo tale che la fantasia assume un ruolo dominante sopperendo alle sofferenze o ai disagi che il soggetto prova nella vita.

Per esempio, un bambino picchiato da suo padre può iniziare a pensare e fantasticare che ogni adulto che gli viene incontro lo fa per picchiarlo. Può immaginare che qualcuno arriva a picchiare l'adulto stesso e questo schema può dargli sollievo e soddisfazione. In aggiunta, mentre è picchiato il bambino può rimuovere se stesso dal dolore attraverso la fantasia, per esempio durante gli episodi di violenza non dà segni di paura o sofferenza fisica. Più tardi può fantasticare di quanto sia stato bravo a controllare la situazione. Il bambino può diventare esperto a diminuire o aumentare il terrore a vari livelli sempre attraverso la fantasia, oppure può manifestare una progressiva perdita di aderenza alla realtà.

Come diretta conseguenza si verifica non solo un isolamento ancora maggiore ma un'altra caratteristica molto diffusa dei serial killers, il bisogno di alti livelli di stimolazione per essere capaci di provare un'emozione.

C'è uno sviluppo estremamente prematuro di queste fantasie sadiche e sessuali, alcune di queste sono realizzate in privato o nel gioco. Molte di queste fantasie costituiranno lo schema degli omicidi del criminale adulto.

Lo sviluppo di queste fantasie è documentato anche dai genitori dei soggetti. Una madre racconta di aver trovato una volta il figlio di appena tre anni con il pene legato con una corda a un cassetto. L'organizzazione dell'atto le fece presumere che quella non era la prima volta che lo faceva.

Le fantasie sono utili ai bambini, li aiutano a imparare attraverso il ripetersi e il prepararsi all'azione. Non è chiaro se queste fantasie positive erano presenti per i criminali o se non ne abbiano mai avute; il dato che emerge comunque è un attaccamento morboso a esse e una dipendenza totale.
L'estrinsecazione delle fantasie si nota anche nel gioco dei bambini, anzi si ritiene che alcuni schemi di gioco siano la messa in atto della scena immaginata numerose volte. Questo è confermato dai soggetti stessi che ricordano fin dalla tenera età di aver avuto schemi di gioco ripetitivi da soli o con altri coetanei.

Spesso l'atto è un rovesciamento, ottenuto attraverso la razionalizzazione della fantasia di una situazione in passato imposta al soggetto o di un episodio di cui è stato vittima. In questi casi il soggetto non è consapevole di agire in senso di rivalsa rovesciando i ruoli.

Un criminale racconta che era solito masturbarsi apertamente in famiglia, specialmente in presenza delle sue sorelle, usando il loro abbigliamento intimo come oggetto feticistico. Il soggetto voleva mostrare la sua superiorità verso la famiglia per rovesciare le situazioni di abuso che era stato costretto a subire dal padre quando era molto più piccolo. La famiglia lo derideva, e la sua reazione era di odio perché non riusciva a vedere il fatto che il rifiuto della famiglia per lui era basato sull'assurdità di questi atti. Era capace soltanto di percepire il risentimento e l'odio che provava per i suoi parenti.

Un altro elemento importante che affiora dall'analisi delle fantasie è che fin dall'inizio queste sono estremamente egocentriche, e che più tardi si traducono in un "acting-out" che non si preoccupa minimamente dell'effetto sugli altri di cosa succede.

Un soggetto racconta che costringeva sempre sua sorella a fare un gioco che si chiamava "camera a gas" nel quale lei lo doveva legare ad una sedia e poi tirare un immaginario interruttore, dopo un po' lui avrebbe iniziato ad agonizzare e poi sarebbe morto. Il gioco era molto scioccante per la sorella ma questo era di nessun interesse per il soggetto, preoccupato soltanto del fatto che la rappresentazione sesso-morte fosse il più fedele possibile all'immagine mentale che aveva di essa.

L'interesse per temi feticistici è molto comune nei soggetti, anche durante la prima infanzia ci sono testimonianze di interesse per tacchi a spillo, abbigliamento femminile intimo e non, corde e indumenti appartenenti ad altri.

Spesso le fantasie si concretizzano in modo embrionale ma evidente subito nei primi crimini commessi dai soggetti, che troppo frequentemente sono sottovalutati come bravate di adolescenti bizzarri.
Sarebbe invece opportuno che psicologi e forze dell'ordine si rendessero conto della pericolosità che alcuni crimini minori manifestano a livello di potenziale.

Esempio di questa ultima affermazione è il caso sopra analizzato del bimbo trovato dalla madre col pene legato con una corda ad un cassetto.
Da adolescente è stato trovato sotto la doccia che praticava asfissia autoerotica con una corda. A quattordici anni i suoi genitori lo portarono da uno psichiatra dopo aver notato delle evidenti bruciature sul collo. A diciassette anni ha rapito una ragazza più giovane di lui di qualche anno e con l'auto l'ha trascinata nel deserto e l'ha tenuta con sé per tutta la notte.
La denuncia è arrivata da parte della ragazza il giorno seguente e la polizia lo ha arrestato però senza grandi conseguenze.

A questo punto si doveva capire che la situazione stava sfuggendo di mano. L'acting-out delle fantasie aveva preso una direzione fin troppo evidente, il soggetto era passato da se stesso come unico protagonista a una vittima, certo facile, più giovane di lui, e all'uso di un'arma per assicurarsi che tutto andasse come lui aveva immaginato.


Serial Killer: Fantasie e Controllo

È molto interessante il fatto che queste prime manifestazioni delle fantasie che si concretizzano siano gli argomenti più difficili da affrontare con i soggetti.
Sono estremamente riluttanti a parlarne e cercano in continuazione di trovare giustificazioni di fronte all'intervistatore. È come se fossero coscienti che quello è stato il momento in cui hanno deliberatamente e coscientemente passato la linea, il momento in cui esisteva il controllo su questi comportamenti, il momento in cui doveva scattare una massiccia razionalizzazione.
Non è successo niente di tutto questo, piuttosto quegli avvenimenti sono ragionevolmente una delle poche cose di cui i soggetti si vergognano a parlare. Anzi, questo è verosimilmente il momento in cui i soggetti imparano che possono uscire inintaccati dalle loro azioni criminose.
Gli atti subiranno un'escalation e se si arriverà all'omicidio con una sensazione di impunità il destino di questi soggetti sarà segnato.

Il potere di vita e di morte e la realizzazione che un individuo decide se ferire, uccidere ed esercitare dominio e violenza indiscriminata su altri secondo il proprio piacere è un'esperienza molto precoce nella vita di questi uomini.

Douglas e Ressler sono molto chiari su questo punto: la parola chiave qui è controllo.
La disintegrazione della personalità dovuta ai traumi e la solitudine causata da bizzarri comportamenti e convinzioni fanno sì che il soggetto non si senta minimamente in controllo di quello che gli succede. Questa sensazione di controllo viene recuperata all'interno delle fantasie in modo esagerato e paradossale. La mancanza di piaceri derivati dalla vita comune spinge i soggetti a fare sempre più affidamento a queste fantasie, che durante la crescita diventano sempre più pericolose.

Presto il confine crolla e l'individuo classifica gli episodi fantastici come unico elemento di valore della propria vita. Quando lo stress e la frustrazione aumentano fino a divenire intollerabili, le fantasie saranno vissute fino all'ultimo dettaglio.
È questa la ragione, forse, per la totale mancanza di rimorso a fronte di crimini di inaudita ferocia. All'interno delle proprie fantasie tutto è lecito.

Chi non ha mai immaginato di soffocare il proprio capo nel sonno con un cuscino?
Ebbene i serial killer arrivano a credere, tanta è l'abitudine a vivere di fantasie, che non ci sia differenza con la realtà.
Tanto è il loro rancore per il mondo e tale è la loro forza interiore che al momento dell'esplosione si trasformano negli assassini più temibili del mondo.

Alcuni riescono a convivere con le proprie azioni, altri le dislocano, cercando di spostarle da sé, altri sperimentano stati di dissociazione.

Ted Bundy ha parlato dei propri crimini in terza persona fino all'ultimo, facendo finta che si trattasse di narrazioni di azioni altrui.

Jeffrey Dahmer ha probabilmente sperimentato forti dissociazioni e delle specie di trance quando compiva certi atti. Il giorno che è stato arrestato, a seguito della denuncia di una vittima che era riuscita a scappare, è stato trovato dagli agenti nella stessa posizione in cui l'aveva lasciato la scampata vittima: a sedere sul letto che ondulava in su e in giù con gli occhi sbarrati.

I dati comuni parlano da soli a proposito della precocità e della potenza di queste fantasie; per diciannove dei trentasei assassini che hanno risposto alla domanda: "A che età sono iniziate le fantasie di stupro e violenza?" la risposta è stata: dai cinque ai venticinque anni.

I desideri di esercitare sadismo sugli altri possono manifestarsi, in una serie di schemi molto diffusi fra questo tipo di criminale, anche sugli animali.
Uno degli intervistati, Ed Kemper, era famoso per essere soprannominato "Doc" per la sua mania di uccidere e sezionare gatti. Interessante come spesso la colpa viene spostata sull'animale stesso e non sulla crudità del proprio gesto.

Un soggetto riferisce di aver iniziato a torturare gatti dopo che la casa si era riempita di pulci per averne portato a casa uno. Iniziò a legare petardi ed esplosivi agli animali, per primo al suo, ed è fiero di aver prodotto molti gatti zoppi a una gamba. Ogni atto o pensiero che si avvicina all'espressione di sentimenti violenti diventa un elemento ricorrente delle fantasie e dei desideri dell'individuo. Quello che dall'esterno percepiamo come una drammatica escalation che porta all'uccisione di un animale o di un uomo è in realtà una lenta progressione di elementi che ha origine nelle fantasie.

Questo ci porta ad un altro assunto fondamentale della genesi del serial killer: i pensieri creano un cosiddetto "Feedback loop", un circolo vizioso in cui inquietudini, fantasie e convinzioni si sostengono rinforzandosi e giustificandosi a vicenda. Questo processo fa sì che durante la sua formazione un futuro assassino seriale realizzi molto presto che l'uccidere è un fatto assolutamente normale e giustificato nella sua vita.

Sempre Ed Kemper è tristemente famoso di come con il fucile di suo nonno dava la caccia ai pavoni e agli struzzi dei vicini. Quando il nonno lo rimproverava per il suo cattivo uso del fucile dallo stesso affidatogli, Ed non pensava di aver esagerato ma che il nonno si sbagliasse.

Per quanto lo riguardava stava facendo cose normalissime: erano gli altri che non capivano.
All'età di quattordici anni il nonno gli tolse l'uso del fucile perché diceva che esagerava nelle cose che faceva e lo metteva in imbarazzo con i vicini. Anche la nonna, la persona della famiglia forse più vicina al giovane Edmund, lo sgridava spesso per questi problemi. Più tardi Ed trovò naturale uccidere entrambi "per vedere che effetto fa sparare al nonno".

Per i serial killers l'esperienza ha un valore supremo e senza prezzo: concretizzare i sogni di una vita. Provare tutte le sensazioni.
Sappiamo che il basso livello di eccitazione li spinge a cercare stimoli sempre più nuovi e sempre più estremi.
Famosa è la frase di Albert Fish, forse uno degli assassini sessuali più infami e privi di rimorso mai visti dall'America, che prima di sedersi sulla sedia elettrica per essere giustiziato disse: "Sarà il brivido supremo, l'unico che non ho ancora provato".

Oppure quella di Peter Kurten, il famoso "mostro di Dusserdolf", che non vedeva l'ora di essere decapitato. Il suono della testa che cade e la sensazione del suo stesso sangue che scorre sarebbero stati il suo ultimo, intenso, piacere.

Per quanto riguarda i modi in cui l'aggressività si esprime da adulto, l'indagine svela che la corrispondenza fra le fantasie infantili e il loro acting-out adolescenziale e le caratteristiche dei crimini da adulto è diretta.

Il legame qui è in modo più specifico tra fantasia e "Firma". La firma, quello che il criminale deve fare per appagare la sua ansia, è solamente un obbedire cieco alle fantasie. "Il demone" che molti criminali indicano come il vero colpevole degli atti è semplicemente quello: il mondo fantastico del soggetto.

In conclusione di questa parentesi, possiamo dire che le fantasie giocano un ruolo essenziale nella costituzione della psiche di un assassino seriale e che è importante conoscere i meccanismi attraverso i quali le stesse funzionano per poter capire come si concretizzano nei crimini e a che personalità possono appartenere.

Clicca per leggere la newsletter ABISSO

Capitoli: 1

Articolo scritto da:
David Papini

La copertina del libro Il sogno del buio (Storie dal NeroPremio)
ABISSO è la newsletter di La Tela Nera
La copertina del libro Per chi è la notte (Storie dal NeroPremio)
La storia del serial killer Andrei Chikatilo

La storia del serial killer Robert Berdella

La storia della serial killer Leonarda Cianciulli

La storia del serial killer Jeffrey Dahmer

La storia del serial killer Ted Bundy

La storia del serial killer Charles Manson

La storia del serial killer Albert Fish

La storia del serial killer Ed Gein

La storia del serial killer Aileen Wuornos

La storia del serial killer Richard Ramirez
La copertina del libro Figlio del tuono (Storie dal NeroPremio)

Disclaimer e Diritti | Recapiti e Contatti | Questo sito usa i cookie: consulta le nostre privacy policy e cookie policy