Parte III del corso di Giuliano Fiocco per imparare a scrivere storie horror…
Ahimè, a questo punto delle nostre periodiche chiacchiere
sulla scrittura dovrò correre alcuni rischi.
Quali?
Non quali, ragazzi, ma quale. Il rischio di
annoiarvi. In questa "puntata", parleremo di alcune figure retoriche, comuni a
tutta la narrativa, e la cosa sembra già partire con il piede sbagliato. Figura retorica
appare sicuramente più adatta alle pallose lezioni di italiano e latino del liceo che a
un piccolo excursus tra le tecniche di narrativa horror. Del resto, che io dica analessi
o che dica flash-back, due termini indicanti esattamente la stessa cosa, ossia la
narrazione di eventi antecedenti a quello che è il tempo attuale del narrato, a voi cosa
ve ne importa? Bene, se la cosa non vi va, fate a meno di leggere il seguito... anche se
vi perderete lindicazione di alcuni dei racconti più sconvolgenti che le vostre
deboli menti abbiano mai dovuto affrontare... eh eh eh...
Narratore Vs. autore
Iniziamo di brutto con una domanda retorica: narratore e autore
sono la stessa persona?
Risposta: Ma quando mai!
Lautore è colui che scrive il testo, che
mette giù, nero su bianco, la propria creazione letteraria, e che solo qualche volta si
identifica perfettamente con il narratore.
Il narratore, se possiamo così definirlo, è la
mimesi dellautore nel testo.
Quando noi scriviamo un saggio, le nostre idee
devono forzatamente coincidere con quello che scriviamo sulla carta, per una ragione di
rispetto verso il lettore, ma quando scriviamo unopera di "fantasia",
allora potremo decidere di usare una "voce" che non ha la nostra sensibilità e
la nostra "visione del mondo".
Insomma, la voce del narratore può divergere
anche sensibilmente da quello che lautore è, ed è per questo che
lidentificazione lineare "autore-narratore" spesso porta a delle
situazioni non poco imbarazzanti.
Il narratore è una creazione, e pertanto non è
detto che si muova, allinterno del testo letterario, in maniera coerente con il suo
autore: è questa una scelta precisa che solo lautore stesso può decidere di fare,
e da questa scelta dipende spesso la validità del testo prodotto.
Mi spiego meglio: se lautore decide di
impiegare una "voce narrante" che impersoni il punto di vista di un individuo
sadico e amorale (il Patrick Bateman di American
Psyco, per esempio), quanto maggiore sarà la capacità
dellautore tanto più convincente sarà la riuscita, in termini di credibilità, del
personaggio e delle situazioni che la stessa voce narrante si trova a descrivere.
Ciò non vuol assolutamente dire che
lautore "approvi" nel proprio intimo ciò che la voce narrante
descrive: questo significa che faremmo meglio a richiudere Ellis in un manicomio e
buttare via la chiave, ma semplicemente che lautore riesce, grazie alla sua
capacità di "camaleonte letterario", a scomparire e ad annullarsi nella sua
trama.
Possiamo considerare il narratore come colui che
offre il suo punto di vista sullo svolgersi della trama. Ora, tutti noi abbiamo almeno un
amico che racconta le barzellette, anzi, che si ostina a raccontarle, pur non riuscendo a
ottenere mai dai suoi ascoltatori che qualcosa di simile a un gorgoglio strozzato, che
nonostante i vostri sforzi non riuscite a far assomigliare a una risata, e questo perché?
Spesso, questo amico le barzellette se le ricorda, se le ricorda fino alla fine, ma, per
così dire, non ha la "voce" adatta. Non ha lintonazione, non ha la
mimica, non ha la capacità di farvi "cascare" dentro alla barzelletta.
La voce narrante
Ecco, ogni storia, per poter funzionare, per potere essere La
Storia, ha bisogno di essere supportata da una voce narrante "adatta".
In che maniera si può raccontare una storia? Le regole della narrativa prevedono due
modi, principalmente: con la prima persona
singolare e con la terza persona singolare.
Esperimenti letterari che utilizzano altre
persone, ad esempio la seconda singolare, sono talmente particolari che richiedono una
capacità notevole. Ne ho trovato uno in una raccolta della Newton, "Orrori ed incubi", scritto da Ramsey Campbell,
intitolato Verso casa, e iniziava
così:
"Da qualche parte, di sopra, senti parlare tua moglie e il
giovanotto. Ti sforzi di sollevarti, i tuoi muscoli tremano come acqua, e riesci a
spostare il tuo instabile equilibrio sullo scalino seguente. Pensano di averti ucciso.
Non si sono nemmeno preoccupati di chiudere
la porta della cantina, ed è il filo di luce tremolante attraverso la fessura che stai
cercando di raggiungere. Nessun altro sarebbe sopravvissuto. Lui deve averti trascinato
dal laboratorio nella cantina, e poi ti ha scaraventato giù per le scale, dove sulla
pietra impolverata hai riacquistato conoscenza. La tua guancia sinistra sente ancora la
trave rigida che ti è entrata nella carne, nel punto in cui essa ha colpito il pavimento.
Ti fermi sul gradino che hai raggiunto, e ascolti."
Vi assicuro che la storia merita di essere letta, e ha un finale
sconvolgente, che porta il lettore a riprendere in mano il racconto e rileggerlo
dallinizio, apprezzando il genio dellautore proprio grazie al colpo di scena
finale, rappresentante quello che Aristotele chiama peripétia,
ossia il capovolgimento del senso acquisito durante la lettura del testo, il cui effetto
spiazzante è spesso amplificato dallagnizione, ossia dal passaggio dallo
stato di ignoranza del protagonista a uno stato di conoscenza.
È chiaro che un racconto scritto usando come
voce narrante la seconda persona singolare, se ben fatto, riesca a strapparvi a
viva forza dalla vostra poltrona, rendendovi "attori partecipanti" della storia
che state leggendo. Certo è che per funzionare richiede la dimensione del racconto, o,
meglio ancora, del racconto breve, e lutilizzo dei flashback deve essere dosato in
maniera sapiente: un romanzo scritto in questa maniera rischia di trasformarsi in un
"libro-gioco", di quelli con le opzioni "E a questo punto voi cosa fate?".
Nulla a che vedere con quella parvenza di "serietà" che noi vogliamo far
trasparire dal nostro essere "scrittori", vero?
Scusate la parentesi, ma mi sembrava
interessante farvi vedere, per prima cosa, che le regole precostituite si possono, anzi,
spesso si devono ignorare. Noi, con la nostra capacità e la nostra
fantasia, possiamo permetterci tutto quello che vogliamo. Sbagliato sarebbe pensare che
però ignorare volutamente le regole significhi semplicemente non conoscerle. E badate
bene, ho parlato di capacità: alleniamoci sul terreno piano e già battuto, prima di
iniziare a correre su sentieri sconnessi in salita.
Allora, parlavamo della prima persona
singolare: vediamo subito un piccolo brano che illustri cosa significa:
"Come ci si sente ad essere un uomo con due teste? O meglio,
come ci si sente ad essere due uomini in un corpo? Forse possiamo dirvelo. Stiamo
scrivendo questo - anche se sono io, Robert, che al momento è sveglio - poiché ci è
stato richiesto di riferirvi come ci si senta a vivere nella pelle che un altro essere
umano abita, e perché dobbiamo dire la nostra.
Io sono Robert. Il nome di mio fratello è
James. Il nostro cognome addottivo è Self...senza alcuna invenzione da parte nostra,
anche se questo nome sembra irridere le circostanze della nostra vita. James ed io
chiamiamo il nostro corpo il Mostro. Chi sia a possedere il Mostro è un problema che ha
occupato molta parte del nostro tempo, in virtù della necessità di una camicia di forza.
In più di un occasione il Mostro ci ha quasi ucciso, ma ora labbiamo abbstanza
addomesticato.
James Self. Robert Self. E il Mostro."
È un brano tratto dal racconto Collaborazione
di Michael Bishop, contenuto nella raccolta menzionata sopra. Vedete come le regole
base della narrativa horror (e di qualunque altro tipo di narrativa che abbia come scopo
quello di farsi leggere avidamente) vi siano applicate, in maniera da incuriosire
il lettore immediatamente?
In questo caso, la prima persona singolare
("Io sono Robert") si confonde magistralmente con la prima persona plurale,
grazie alla straordinarietà del caso di cui il racconto tratta (come convivono due
"persone dotate di una specifica individualità", come possono essere i gemelli
siamesi, in un unica macchina biologica?).
Da questo brano risulta chiara
limmediatezza che una simile voce narrante permette di ottenere. La storia si dipana
avendo come prospettiva quello che il narratore vede, e pertanto gode di una capacità di
identificazione tra autore e narratore che lutilizzo di altre persone non possono
permettere, anche quando tratta di un soggetto così improbabile come può essere
un uomo con due teste. Lutilizzo di questa persona permette
inoltre la possibilità di dare una visione estremamente soggettiva degli accadimenti,
(rendendo però in questo modo difficile il distacco tra lautore e la sua prosa). Il
rischio è lautocompiacimento letterario, il "godimento"
nellascoltare e nel rileggere la propria prosa, cosa che nei racconti
dellorrore è, ve lassicuro, quanto mai deleteria. Credetemi, è vero: per
qualunque autore è facile innamorarsi di quello che scrive, delle parole che usa, e
spesso lerrore di chi comincia a scrivere è di credere che quanto più
letterariamente importanti, quanto più auliche sono le parole usate, tanto più bello ed
importante è il testo prodotto.
Sbagliato, cari
miei, sbagliato in pieno.
Lessenza, la purezza
della vostra scrittura, è quella che permette di tirare fuori la Storia, alla quale voi
siete debitori nel momento stesso che la vostra penna si posa sul foglio o le vostre dita
volano veloci sulla tastiera.
Lutilizzo barocco delle parole è
concesso solo quando alla base cè un progetto "forte", una perfetta
cognizione del fatto che si cimenta in un campo ormai desueto e superato, proprio per
lanacronismo della tecnica usata, che appartiene alla letteratura del secolo scorso,
e che deve compensare a questo handicap con leccezionalità della tecnica e della
storia.
Il problema più grosso della prima persona
singolare è che spesso, il lettore fatica a immedesimarsi. Nella narrativa
"normale", la prima persona corre il rischio di annoiare, in quanto tende a
confondersi troppo con il "vissuto reale", e la vita personale dellautore,
e le vostre mirabolanti imprese possono interessare giusto la vostra mamma o il/la
vostro/a fidanzato/a, ma il resto del mondo nutre una sana diffidenza nei vostri confronti
(giustificata, visto i vostri gusti letterari... eh eh eh). Nel nostro campo, invece, la
prima persona riesce spesso a farci vedere lirrealtà presente nei propri incubi
letterari come "reale" davanti ai nostri occhi. Corriamo però anche noi un
rischio: quello di permettere alla voce dellautore di intrufolarsi tra le parole del
racconto, compiendo una vera e propria invasione di campo. Lintrusione
dautore, se aveva goduto di una certa fortuna nel secolo passato, oggi
giorno viene ritenuta non valida, in quanto pregiudica
lillusione realistica e fa scemare lintensità emotiva della lettura. Certo,
se questa intrusione fa parte del "progetto di lavoro", allora le cose cambiano,
ma siete sicuri di riuscire a modulare la giusta dose di autoironia che serve in un
procedimento letterario del genere senza apparire stucchevoli o peggio ancora, impositori
di una vostra morale esplicita? Per vedere la differenza tra i due modi, basta che
leggiate due libri: Il cabalista di Amanda
Pratera e Satana, di James
Herbert.
Nel primo, la storia di uno studioso di cabala
che in una Venezia descritta con una straordinaria efficacia combatte la sua solitaria
lotta contro "Il ghermitore", spirito del male che gli si rivela con
piccole crudeltà e che forse è frutto solo della sua mente stanca, e nel contempo
ricerca, sentendo prossima la morte, un discepolo in grado di proseguire i suoi studi e di
conservare le sue straordinarie scoperte, gode di una scrittura fenomenale, che premette
lintrusione dellautore in maniera assolutamente efficace e, quello che più
importa "naturale", di grande impatto emotivo, senza mai stravolgere o far venir
meno la sospensione dellincredulità che permette di fruire appieno di questo
romanzo, come in questo brano, a cui faremo seguire come speculare quello di Herbert:
"...Per contro, leroe della storia stessa non mostra
nella propria persona tracce visibili di qualsivoglia splendore. È un ometto avanti con
letà, con indosso un impermeabile logoro e ormai sovrabbondante, che in questo
momento sbarca da un vaporetto in mezzo ad una folla di altri passeggeri, la maggior parte
inzuppata di pioggia come lui, dai quali si disperde sotto forma di vapore anche
lultimo residuo di calore corporeo...
.... dunque la verità sulla faccenda, la
risposta a quale sia la vera professione di Joseph, e quella notizia eccezionale a suo
riguardo che finora abbiamo tentato inutilmente di indovinare dalle apparenze esterne, è
che abbiamo a che fare con un mago. Non, bisogna chiarirlo subito, con un prestigiatore,
un imbroglione, un professionista dellartificio o un illusionista d qualsiasi
specie, e neppure lestremo opposto della gravità, con un negromante. Ma con un
dotto e dignitosissimo mago. Un fattucchiere, se preferite. Un incantatore. Oppure, per
usare una parola che suggerisce in sé un certo grado di saggezza e quindi di conoscenza,
con uno stregone..."
Cè del "calore umano", in questa scrittura, che ci
fa provare una certa tenerezza per il protagonista: siamo bendisposti verso di lui
fin dallinizio. Alcuni sapienti tocchi di classe (limpermeabile logoro e ormai
sovrabbondante) ci fanno capire che è povero e probabilmente malato, e questo contrasta non
poco con lo stereotipo di quello che in seguito si rivelerà essere, ossia "uno
stregone". Nel romanzo di Herbert, invece, la storia
di un fotoreporter dassalto, cinico e spregiudicato (come può esserlo solo uno stereotipo)
che al funerale di una diva del cinema si trova invischiato in una storia più grande di
lui, in cui il demonio appare solamente come appendice didascalica per far vedere che lo
scrittore si era letto qualche sunto di demonologia, lutilizzo delle intrusioni
dellautore appare quanto mai forzato ed innaturale, come in questo brano:
"La prima cosa di cui è opportuno siate al corrente circa
Joseph Creed è che vi trovate di fronte a un verme di primordine (forse addirittura
di ordine supremo, considerata la professione). La seconda è che si tratta del nostro
eroe.
(questultima circostanza,
incidentalmente, non è voluta - non da lui, perlomeno. Diciamo solo che il caso e
lingloriosa natura del nostro protagonista hanno cospirato a renderlo tale.)
Il suo mestiere? Scattare foto a sorpresa ai
ricchi, ai famosi o a coloro che rientrano nella variegata categoria delle celebrità....
...Ecco tutto, più o meno.
Creed, il nostro eroe non troppo ammirevole,
ce lha fatta. Ha salvato il figlio da un fato terribile qual è la morte e, come
avrebbe presto scoperto, ha impedito ad un potere immensamente malvagio di sollevare
nuovamente lorrenda testa (per il momento, quanto meno). È inoltre riuscito in
questo intento pur senza possedere un gran coraggio, non essendo dotato di troppi scrupoli
(ammesso che li abbia mai nutriti) e motivato in massima parte dallinteresse
personale. Ciò potrebbe rappresentare una lezione per tutti noi."
Si sente che lautore ha tentato di uscire da un uniformità
di stile che affliggeva alcuni dei suoi precedenti lavori, cosa quanto mai meritoria, ma
che ha il sapore di una "prova tecnica di scrittura" più che una scelta
mediata dalla necessità implicita del testo. Non cè nessun coinvolgimento del
lettore, e il testo descrive con troppa chiarezza ogni cosa, sembrando quasi che
lautore voglia forzarci a fare nostra una sua visione di come sono i protagonisti.
Si fa portavoce non richiesto del nostro giudizio, e questa è una cosa che istintivamente
infastidisce il lettore.
Esiste poi la possibilità di avere una voce
narrante in prima persona che però non riferisce accadimenti direttamente
riconducibili alla sua esperienza, ma bensì racconta una storia a una terza persona,
accaduta a qualcun altro. Di questa storia, il protagonista viene a essere comparsa, se
per così vogliamo dire, del mondo creato dalla sensibilità in cui la voce narrante ha
vissuto il succedersi degli avvenimenti. In questo caso, tanto maggiore sarà la
diversità tra voce narrante e protagonista tanto più ne guadagnerà leffetto
complessivo del testo. Questa tecnica permette, per lovvio fatto che il lettore sa
benissimo che della storia non potrà sapere nulla di più di quello che sa la voce
narrante, di mantenere viva la tensione, e per guasto motivo questo artificio è stato
utilizzato spesso nella narrativa di genere.
Vediamone un esempio:
"Vidi per la prima volta Mr. Legere quando il circo passò
attrraverso Steubenville, ma erano solo due settimane che stavo con lo spettacolo; poteva
essere chissà da quanto tempo che faceva le sue irregolari visite.
Nessuno aveva molta voglia di parlare di Mr.
Legere, nemmeno quellultima notte, quando parve che il mondo fosse arrivato alla
fine: la notte che Mr. Indrasil scomparve.
Ma se voglio raccontarvela dallinizio,
devo cominciare col dire che io mi chiamo Eddie Johnston, e che sono cresciuto a Sauk
City...".
È linizio del racconto La notte
della tigre di Stephen King, tratto dal libro A volte ritornano. Allora, vediamo se siete stati
attenti: si vedono chiaramente, vero, i trucchi usati dal buon negromante King per
attirare subito lattenzione, vero? Cè subito un senso dincertezza,
nelle prime righe, e anche leco di quelle "irregolari visite" non può non
farvi drizzare le orecchie: quando nel secondo paragrafo poi parliamo di sparizioni e
della fine del mondo, beh, ci siamo già dentro fino al collo nella storia, e ci
aspettiamo grandi cose.
Nel terzo paragrafo si vede chiaramente ciò che
vi avevo detto prima: il narratore inizia a mettere in chiaro che non sarà LUI il
protagonista, e che quello che si appresta a fare è il resoconto di avvenimenti da lui
vissuti come spettatore, prima ancora che da attore. Il proseguio del racconto è un
accumularsi di sapienti accenni a fatti accaduti in passato, che servono a delineare le
linee guida di quelli che si intuisce essere i protagonisti del racconto, Mr. Legere, Mr.
Indrasil e la divinità maligna: Green Terror, la tigre.
Leggete questo racconto, che nella sua assoluta
semplicità di trama vi fa rendere conto di quanto luso sapiente e smaliziato della
tecnica possa rendere efficace e terrorizzante una storia... poi, dopo averlo visto,
pensate sempre che chi avete di fronte è il Maestro, il Mago delle "short
stories" dellorrore, e che risultati inferiori ai suoi sono da mettersi in
conto, purtroppo... quasi sempre, anzi, e quel "quasi" vuol essere un
fortissimo incoraggiamento per la vostra scrittura eh eh eh...
Bene, per questa volta penso che basti così.
Se poi, per qualche strano e incomprensibile
caso della vita, qualcuno di voi fosse interessato anche alle modalità narrative in terza
persona singolare "attiva" e terza persona singolare
"onniscente", che sono poi quelle maggiormente usate nei romanzi e nei
racconti moderni, deve non perdersi per nessuna ragione il prossimo numero di "Tecniche
in nero".
A tutti gli altri
splendidi incubi!
Tecniche in Nero Copyright © 2003 by Giuliano Fiocco
Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta sulle pagine del sito Horror.it, ed è stato riprodotto qui col consenso dell'autore.
Articolo scritto da: Giuliano Fiocco
Come scrivere un romanzo horror: Tecniche in Nero (Lezione 3)
Articolo pubblicato il 01/10/2003
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