Una lezione di scrittura creativa mooolto particolare da un autore horror italiano.
Io sono El Brujo. Questo è il nome che mi diedero i messicani di Piazza Aldrovandi. El Brujo. Lo stregone. Sono l’esperto mondiale delle stronzate paranormali più assurde. Ma più che altro ho sempre voluto fare lo scrittore, raccontare storie, anche se da piccolo mi dicevano sempre di non inventare le cose. Ho sbarcato il lunario lucidando bare e scaricando acqua minerale e spedendo agli editori scatole da scarpe piene di racconti. Ogni mestiere che ho fatto mi ha arricchito di storie e di personaggi. Ho lavorato nei mattatoi dell’umanità. Volevo essere il migliore, il nuovo Hemingway, il nuovo cazzuto Joyce. Volevo batterli tutti. Scrivevo anche sulle pareti. Pestavo i tasti della mia macchina da scrivere, una plumbea Everest comprata di seconda mano al parco della Montagnola, al mercatino delle pulci. Tutte le sere che non lavoravo frustavo il nastro, le parole mordevano il foglio, ma prima o poi i messicani battevano con la scopa sotto i miei piedi e dicevano “Vogliamo dormire, Brujo, ci alziamo presto domattina!”. Allora dovevo smettere. Battevo ancora due o tre parole e poi smettevo. E continuavo a mano, su un quaderno, con una penna blu Pilot BP-S Fine, con la luna che entrava dal lucernario e mi trovava sempre sveglio e acceso. Era l’inferno, quello, in un certo senso. Ma mi piaceva.
Avevo tutta quella follia, quel fuoco, quelle idee, ma mi mancava la tecnica per padroneggiarle. Ero troppo giovane e non ero Dostoevskij. Era troppo presto, credo. Avrei forse dovuto sforzarmi di tenere la scrittura dentro, trattenere nello stomaco e nel cuore quei demoni terribili anziché tentare subito di imprigionarli sulla carta. Così un giorno la scrittura sarebbe stata incontenibile, avrei vomitato parole mio malgrado, avrei sognato trame di senso compiuto.
A questo punto avrete capito che questa non è la lezione di scrittura creativa che qualcuno si poteva aspettare, è più un qualcosa che Charles Dickens non ha mai fatto. E qualcuno dirà che sono un presuntuoso, ma (hei!) se state leggendo questo significa che o siete miei amici o avete velleità letterarie, per cui lo sapete bene che non esiste sulla terra una razza più vanitosa degli scrittori, non importa quanto e con chi abbiano pubblicato. Non c’è nulla di male in questo, anzi, andrete avanti nonostante le lettere prestampate di rifiuto solo se crederete in voi, nella vostra forza, in ciò che scrivete. Non so bene perché ma essere orgogliosi di ciò che si scrive è come masturbarsi: tutti lo fanno, ma nessuno lo dice.
Ma veniamo al punto.
Per me la scrittura è come il maiale: non si butta via niente. Concetto che può capire chiunque, anche chi non è come me fidanzato con la figlia del macellaio del paese. A proposito: avere una musa ispiratrice è importante quanto leggere le cose giuste. Bukowski era uno che leggeva le cose giuste e beveva le cose giuste e ogni volta che si sedeva a scrivere riempiva le parole di suono e colore, scriveva allo stesso modo con cui buttava giù un sorso di liquore, con la stessa passione con cui faceva l’amore. L’obiettivo è più o meno quello. Quindi trovatevi una musa (o un muso, purché non sia un musone). E molte pagine si riempiranno da sole, come per magia, con esultanza. Lettere d’amore possono diventare paragrafi di racconti, capitoli di romanzi, non c’è nulla di male in questo. Non si butta via niente. E lo stesso vale per i sogni, per un lungo periodo li ho trascritti ogni giorno e mi sono tornati utili. Diari, poesie, testi di canzoni, sceneggiature per fumetti, articoli (scritti da voi, ovvio). conservate tutto perché tutto potrò servirvi prima o poi, non fate come i pionieri americani che uccidevano i bisonti solo per mangiarne la lingua e poco altro. I nativi invece ne sfruttavano la pelliccia, ne seccavano la carne, traevano strumenti dalle ossa.
Col passare del tempo ho scoperto che esistono delle regole (!) per scrivere narrativa o meglio persone che dettano le regole o meglio persone che confondono la letteratura con la noia. Se posso dare un consiglio, lasciate perdere le regole, le regole uccidono la poesia. Io personalmente preferisco scrivere, le regole le lascio fare agli altri. C’è poi da dire che “personalmente” è un avverbio e gli avverbi andrebbero usati il meno possibile perché appesantiscono la frase, ma questo è un altro paio di maniche.
Sono quasi certo che esistono regole anche su come scrivere una lezione di scrittura e che questa sia fuori dai canoni e anche di brutto e diranno che il Brujo è fulminato, che è un ciarlatano. D’altro canto sono quasi certo anche che riciclerò questa “lezione di scrittura” nel mio prossimo libro.
Non si butta via niente.
Stefano Fantelli è nato a Bologna nel 1972, e lì ancora vive. Ha svolto i più svariati mestieri, da pugile a scaricatore di acque minerali, da barman a lucidatore di bare, senza mai smettere un giorno di scrivere. Ha pubblicato oltre cento racconti su riviste e antologie. Alla fine della notte, il suo primo libro, è uscito nel 2003. Nel 2009 ha visto invece la luce Dark Circus (Cut-Up Edizioni).
Articolo scritto da: Stefano “El Brujo” Fantelli
La Scrittura è come il maiale, non si butta via niente
Articolo pubblicato il 22/02/2009
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