Come scrivere un romanzo horror: Tecniche in Nero (Lezione 2)

Parte II del corso di Giuliano Fiocco per imparare a scrivere storie horror…

Mark Twain diceva: "Una delle regole da seguire in narrativa è quella che prevede che i personaggi di una storia siano sempre vivi, eccezion fatta per i cadaveri, e che il lettore sia sempre in grado di distinguere questi ultimi dagli altri".
Twain ironizzava, prendendosi gioco della narrativa noiosa, ma noi sappiamo bene che questa regola, nella narrativa dell'orrore, fa sangue da tutte le parti: cadaveri che vivono ed esseri viventi che spesso sono già morti sono ingredienti che il nostro palato ha assaporato molte volte...
In ogni caso, adesso abbiamo scritto la prima scena, le prime battute del nostro fantasmagorico racconto: ora dobbiamo solo proseguire e mettere nero su bianco tutto il resto. Facile, eh?


Valutare l’inizio

Immagino che chiunque abbia cominciato a scrivere abbia i cassetti, le directory o i folder ripieni di inizi fantastici, di ardite composizioni che dovrebbero fungere da pietra angolare per il racconto massimo, quello in grado di proiettare lo scribacchino nell'olimpo dei stephen king e delle susanne tamaro (magari solo per poterle vivisezionare un po' e scoprire il segreto del loro successo, eh eh eh, disse lo zio Tibia...). Di solito, questi inizi rimangono lì dove sono. Il racconto giace inerte e nulla sembra poterlo scuotere. Gli si blocca lo sviluppo, se mi è consentito dire. Perché succede questo? Se fosse possibile trovare una regola fissa che determini il perché di avvenimenti siffatti, allora saremo tutti in grado di scrivere racconti splendidi, e niente rimarrebbe nei cassetti (e penso con orrore a questa eventualità, vista la stragrande maggioranza delle opere di narrativa che quotidianamente fluiscono in libreria e che meriterebbero una sorte oscena...). A volte, comunque, la colpa è dell'enfasi eccessiva con cui lo scrittore si presenta al cospetto del foglio bianco: un inizio deflagrante richiede una quantità di polvere da sparo non indifferente, per proseguire nella sua opera distruttiva, e il maneggiare questa carica è un'abilità di pochi. Altri inizi poi si perdono nel mare delle buone intenzioni, ma la storia proprio non c'è. Altre volte, la storia esiste, ma è l'inizio che è, per così dire, malato. Cosa ne facciamo allora dei nostri inizi?
Due sono le cose: o li mettiamo, come al solito, da parte, convinti di avere scritto quanto di meglio sia possibile al mondo, ed aspettiamo la scintilla divina che ci indichi la strada giusta per la quale proseguire, oppure ci rimbocchiamo le maniche e cominciamo a lavorarci su.
Vedere le cose da prospettive diverse, questo può essere il trucco. Non esiste niente di fisso ed immutabile: le ombre variano, al variare della fonte luminosa, ed il nostro scopo è di far si che queste ombre siano le più minacciose possibili. Possiamo provare ad esempio a cambiare il tempo di narrazione, oppure a passare dalla terza persona singolare alla prima persona, o viceversa. L’importante è non arrendersi mai : se abbiamo scritto qualcosa che ci sembra valere tanti sforzi, probabilmente abbiamo ragione e si tratta solo di trovare la giusta direzione verso cui indirizzare le nostre fatiche letterarie.

Lo sviluppo

A volte, comunque, la cosa migliore da farsi è lasciare il nostro inizio così com'è, e dedicarci anima e corpo a scrivere la scena successiva.
Lo sviluppo del racconto, ecco a cosa dobbiamo pensare. Lo sviluppo ha lo scopo di esplicitare il contesto e di delineare la trama. Parlo come un libro stampato, vero ? Infatti ho copiato questa frase. Per me ha lo stesso significato di "determinare i criteri retributivi in base alle esigenze sistematiche del vivere moderno ". Aria fritta. Praticamente, come si può procedere nella stesura del nostro racconto?
A leggere i manuali di scrittura creativa, si apprende che per la scena che segue l'inizio si possono utilizzare tre artifici:

1) utilizzare elementi a carattere prettamente espositivo, anche se magari descritti utilizzando il punto di vista di quello che è il protagonista della prima scena.
2) usare un flashback (utile per definire quegli elementi che un inizio in medias res lascia in sospeso)
3) Continuare nel tempo della storia.

Sembra banale, ma se voi vivisezionate qualunque racconto vi renderete conto che le cose, più o meno, stanno così.
Analizziamo ad esempio la parte successiva all'inizio del racconto di Andrea G. Colombo Giuro (IT n.1): due rapinatori, Gianni e Lucio, entrano in una casa che sembra deserta, disattivando l'allarme. Dei due, il più incosciente sembra Gianni : canticchia una canzoncina infantile, per decidere quale dei tre fili dell'allarme tagliare ("Siam tre piccoli porcellin...") e già questo ci predispone ad aspettare l'arrivo del lupo cattivo... che noi sappiamo dover esserci, nascosto da qualche parte, altrimenti la promessa fattaci dall'inizio sarebbe malamente disattesa, e noi butteremo via il nostro computer... comunque, ecco come continua il racconto :
"...Scivolarono nel soggiorno immerso nel buio e fradicio di silenzio come due grossi pesci predatori. Niente più scherzi ora: iniziava la parte seria, l'adrenalina entrava in circolo e allertava tutti i sensi con scatti lievi come di relais magnetici. Gianni sentì rizzarsi i capelli sottili sulla nuca. Era eccitato, una questione fisica più che mentale. Aveva mentito a Lucio: anche se avesse avuto i soldi per pagare non uno, ma una dozzina di strizzacervelli, a tutto quello non avrebbe rinunciato lo stesso. E tanti saluti anche agli estimatori del sesso: questo era dieci volte meglio. Provare per credere.
Dalla finestra filtrava lo spettro esangue della luce lunare che rendeva ancora più impenetrabile l'oscurità in fondo alla stanza, un ampio soggiorno arredato con gusto e sorvegliato da un enorme orso bianco di peluche che - morbidamente feroce - faceva il suo turno di guardia adagiato sul divano. "
Qui vediamo che l'artificio adottato è quello di proseguire nel tempo della storia : noi siamo con i protagonisti all'interno dell'abitazione, e non sappiamo cosa succederà di lì a poco ; l'adrenalina comincia a scorrere anche nelle nostre vene, e non possiamo non notare l'insita minaccia rappresentata da quell'impenetrabile oscurità in fondo alla stanza. Questo modo di procedere è quello che viene adottato quasi sempre nei racconti brevi : non c'è spazio per le digressioni che non siano di una o due righe al massimo, e il lettore deve trovarsi catapultato quanto prima al culmine dell'azione, e tutta la prosa deve essere finalizzata a questo scopo. Anche l'enorme orso bianco di peluche, che "- morbidamente feroce - " (notate l'accoppiamento retorico di un avverbio e di un aggettivo apparentemente in antitesi l'uno con l'altro) contribuisce in maniera decisiva all'atmosfera quasi infantile del brano.
Vediamo invece un racconto che prosegue utilizzando un flashback :

"...Perché un normale ragazzo di Ostia va a finire in un posto del cazzo come Marne la Vallee? Semplice, mi ha invitato il Gran Capo in persona. E' stato circa un mese fa.
Ero in camera mia, da solo, a farmi una canna in santa pace e a leggere PK. Sapete, quelle nuove storie di Paperinik contro gli extraterrestri! Magari a qualcuno piaceranno pure... ma per me sono solo una gran stronzata!...
... Ma tornando a un mese fa, stavo proprio pensando che Walt Disney si sarebbe rigirato nella tomba a leggere questo PK... quando, in un lampo, mi e' apparso davanti proprio lui...Walt Disney! L'ho riconosciuto subito. Ho le sue foto su un vecchio librone enorme di Topolino, l'ultimo regalo che mio padre mi fece prima di beccarsi definitivamente l'ergastolo. Quel vecchio figlio di puttana!"

È il racconto di Marco Ramadori pubblicato nel numero 3 di IT (www.horror.it/it), dal titolo NeuroDisney. Qui il protagonista, un balordo di borgata, si ritrova a vestire i soffocanti panni di Ciop ad Eurodisney. Ora, tenendo conto che vista la personalità del protagonista, desunta dai dialoghi con la sua collega Cip (l'autore qui applica correttamente la regola dello show, don't tell, ossia mostra, non raccontare), ad un lettore non si potrebbe certo far credere che tale personaggio fosse capitato ad Eurodisney solamente grazie al proprio amore per l'infanzia e alla propria passione per i parchi di divertimento. Serviva una spiegazione, che giustificasse plausibilmente la sua presenza in loco ; qui vediamo che la plausibilità non è data dall'oggettiva possibilità che una cosa accada, ma semplicemente dal fatto che quello che succede non implica lo stravolgimento delle premesse del racconto, che ci inquadra un giovane drogato, che noi sappiamo poter avere processi mentali che vanno al difuori della norma e del comune sentire (sto bene, ma so' tutto pieno di ragni, come ho sentito dire nell'autobus da un tizio che era in viaggio... in tutti i sensi). A parte questo, l'autore del racconto doveva illustrarci avvenimenti precedenti allo svolgimento della trama, e pertanto ha utilizzato lo strumento del flashback, entrando nella mente del protagonista e facendoci rivivere un suo ricordo. Non bisogna abusare del flashback, all'interno di un racconto: spezza il ritmo della narrazione, in quanto ci trasporta in un momento in cui l'azione non è ancora avvenuta, e ne rappresenta una sorta di giustificazione. Il lettore si distrae, quando si introduce un flashback, e si perde istantaneamente l’immedesimazione dello stesso nello svolgersi della scena. Se il racconto richiede una dose spropositata di flashback per essere chiaro, beh, potrebbe non essere coretto il tempo d'ambientazione (iniziare in medias res impone che l'azione che interessa il lettore si collochi da lì in avanti, e non viceversa...).
Ovviamente, e questo era già nei nostri patti iniziali, nulla vieta di fregarsene beatamente di questa regola e di fare uno splendido racconto ugualmente... le regole sono fatte per essere trasgredite, e mai come in una narrazione che sovverte quasi tutte le regole del vivere civile e le leggi naturali come l'horror sente il bisogno di essere innovata, anche se le regole dovrebbero essere conosciute, per poter essere trasgredite a ragione...
Finito il predicozzo, ricominciamo.
Finora abbiamo visto solo due modi per proseguire, dopo avere scritto il nostro inizio; vediamo un esempio del terzo modo di trattare un racconto :

"Era solo cemento: tunnel biancastri simili a metropolitane, zeppi di negozi, passaggi pedonali a spirale, in cui le rampe avrebbero risparmiato molti problemi, mura alte ed imponenti, di colore bianco, sulle quali persino i graffiti sembravano ornamenti... nel labirinto di cemento non si muoveva nulla, a parte i nanerottoli clonati sugli schermi accesi nel negozio di televisori... quando all'improvviso vide la chiesa... si rese conto che non entrava in una chiesa da quando era bambino... e non avrebbe osato entrare con copertine come quelle nella sua borsa: le lunghe gambe coperte da calze che conducevano nell'oscurità, la testa dell'uomo che esplodeva come un melone, il poliziotto che crocefiggeva una ragazza nera."

È un brano tratto dal racconto del grande Ramsey Campbell Le mani, dalla raccolta curata da Dennis Etchison e pubblicata in Italia con il titolo Profondo horror dalla R.C.S. per la serie La Biblioteca del brivido.
In questo caso, vediamo come l'autore utilizzi la tecnica espositiva per procedere con lo sviluppo. Notate qualcosa?
Il narratore descrive un ambiente : niente di più facile, in un caso del genere, di scadere nella mera ripetitività e nell'uso di banali stereotipi, ed è proprio per questo che è qui che si rivela il narratore "di razza". La sua descrizione non è mai noiosa e, soprattutto, non è mai "artificiale", nel senso che non è posticcia, ma risulta essenziale per determinare l'atmosfera. Un paragrafo espositivo non deve essere mai, scusate la rima, un riempitivo, teso a rendere evidenti le capacita "lessicali" dell'autore, ma bensì deve essere "funzionale" alla trama. Un ambiente ben descritto come nell'esempio sopra determina di per se un senso di angoscia claustrofobica, perfettamente adeguata a quello che sarà la drammatica esperienza del protagonista, sperso in quella città che sembra priva di vita umana e che sembra stendere il proprio labirintico sudario su ogni cosa vivente. Anche la chiesa, che compare improvvisamente nel campo visivo del protagonista, non consola, anzi, la sua presenza rende più evidente l'esistenza di un "conflitto", rappresentato dalle copertine delle riviste pulp contenute nella borsa del protagonista. Il quale, detto tra noi, avrebbe fatto meglio a non entrare, in quella chiesa, se non altro per non incappare in "quattro figure... che si stavano allontanando senza lasciare andare quello che tenevano - la figura allungata di un uomo che tiravano per gli arti in quattro direzioni diverse. Doveva essere un pupazzo gonfiabile, doveva avere un taglio da cui l'aria usciva con un sibilo. Ma la figura non stava solo strillando, stava singhiozzando."
Vedete cosa succede a saltare le lezioni al catechismo e a non andare a messa tutte le settimane? E poi non dite che non ve l'avevo detto...
Comunque, in tutti questi sviluppi della prima scena, possiamo osservare alcune cose:

  1. La prosa è credibile, nel senso che l'autore parla di cose che conosce o che in ogni caso fanno parte di una sua conoscenza diretta, e usa parole appropriate (usate il vocabolario, se non siete sicuri dei significato delle parole che usate) e questo è fondamentale per il lettore, che non si sente defraudato della fiducia implicita che da a chi scrive. Non parlata mai o non descrivete mai cose che non conoscete: anche i piccoli dettagli, se non sono corretti, possono far storcere il naso e far cadere quella che viene definita "la sospensione dell’incredulità", e vi assicuro che la cosa è più comune di quello che si sospetti. In uno splendido libro, uscito in libreria da poco, ad esempio, si parla di un ragazzo cieco che ascolta l’etere mediante uno scanner, e con questo intercetta pure un dialogo che avviene tra dei cellulari GSM... quando le apparecchiature necessarie per ascoltare telefonate trasmesse con questo sistema sono appannaggio esclusivamente delle forze dell’ordine, visto il costo necessario per la decodifica della trasmissione, che avviene in digitale. Solamente i telefonini Tacs sono intercettabili con gli scanner abitualmente in vendita. È evidente che un errore del genere, che non inficia certamente la validità del racconto in se stesso, lascia però l’amaro in bocca al lettore, che si sente trasportato fuori dal libro. Pertanto, facciamo attenzione a quello che scriviamo: il lettore ha il diritto di non perdonare questi errori, come direbbe Pennac...



  2. Introducono rapidamente un personaggio: catalizzano in questo modo l'attenzione. Come vedete, sia nel caso del racconto di Colombo, con il rapinatore che canticchia un brano infantile, sia in quello di Ramadori, con un personaggio Disney tenero come Ciop stravolto in un maniaco sanguinario, sia nel racconto di Campbell, con il rappresentante di riviste porno-pulp, viene subito posto all'attenzione del lettore un qualcuno (o qualcosa, non necessariamente umana...) di interessante, che cattura immediatamente la sua attenzione, ed è esattamente ciò che loro vogliono e ciò che noi, come lettori, desideriamo.



  3. C'è padronanza del linguaggio. Le frasi non sono tutte della stessa lunghezza, e questo consente una modulazione dell'effetto drammatico, che non stanca il lettore. Non c’è un uso esagerato di aggettivi e di avverbi, e questo dona ai racconti un senso di pulizia, che consente di entrare subito nel vivo dell’azione.



  4. Esiste un conflitto, chiaro ed evidente da subito: in Giuro è l'azione stessa dell'effrazione e dell'ambiente falsamente ordinario-borghese, in Neurodisney è la personalità distorta del protagonista in un luogo che è tradizionalmente sinonimo del divertimento, in Le mani la perdita di orientamento del protagonista nella città deserta.



Bene, che altro resta da dire per quanto riguarda lo sviluppo ? Ma un’infinità di cose, com’è naturale, ma visto che lo sviluppo del tedio e della vostra irrefrenabile voglia di sbadigliare, nonché il sole che brilla davanti alla vostra finestra sembrano dirvi "ma sei fuori a stare davanti al computer ?" è meglio che chiudiamo qui questa sessione di chiacchiere tra amici. Adesso, prendete un romanzo o un racconto, e cercate di vedere se l’analisi che abbiamo fatto sopra gli si può adattare, e se le vostre conclusioni collimano con le mie... in caso contrario, siete autorizzati a gettare il romanzo e il racconto e cercarne un altro che si uniformi a ciò che avete letto fino ad ora eh eh eh ;-) ...

Buoni incubi a tutti !

Tecniche in Nero
Copyright © 2003 by Giuliano Fiocco

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta sulle pagine del sito Horror.it, ed è stato riprodotto qui col consenso dell'autore.

Articolo scritto da:
Giuliano Fiocco

Come scrivere un romanzo horror: Tecniche in Nero (Lezione 2)
Articolo pubblicato il 01/09/2003


La copertina del libro Il sogno del buio (Storie dal NeroPremio)

La copertina del libro Per chi è la notte (Storie dal NeroPremio)

La copertina del libro Figlio del tuono (Storie dal NeroPremio)

La classifica dei 10 serial killer più famosi

Simboli Esoterici: significato, origini e uso

Misteri e storie incredibili

Le più spaventose leggende metropolitane

I 10 animali più velenosi al mondo

Il malato mondo dei serial killer

I peggiori disastri della storia umana

Disclaimer e Diritti | Recapiti e Contatti | Questo sito usa i cookie: consulta le nostre privacy policy e cookie policy