Consigli di Editoria a un Aspirante Scrittore: c'era una volta…

Riprendono le lezioni di editoria di Fabio Larcher: c'era una volta… e c'è ancora oggi

Caro Aspirante, dopo un lungo periodo di vacanza torno a scarabocchiare le sudate carte della nostra Lavagna settimanale.
Nell'ultimo capitolo di questo manuale epistolare ti ho lasciato con la promessa di precisare una frase da me scritta a proposito dei fratelli Grimm. Ora cercherò di soddisfare il mio obbligo, ma ti avverto che la soddisfazione sarà solo parziale, poiché lunga e complessa è la materia.
Ti ho già detto molte volte che io non sono veramente in grado di insegnarti a scrivere. Nessuna formula magica. Niente bacchetta fatata. Miracoli zero. L'unica cosa che posso fare per te è usare la mia sincerità a piene mani. Ti ho sempre parlato con franchezza di ciò che ho visto nel mondo editoriale e intendo comportarmi ancora così. Tuttavia parlerò non più da editore, ma da lettore, nelle righe seguenti. Uomo avvisato…

Ma non divaghiamo. Non divaghiamo oltre. I fratelli Grimm. Questo è il punto.

Perché porto a modello di scrittura e di lettura proprio i più classici fra i compilatori di fiabe? E perché la fiaba?

Cominciamo dalla seconda domanda. Perché la fiaba? Potrei risponderti semplicemente che la fiaba è la mamma di tutte le forme narrative; che è addirittura la cugina dei generi moderni. Non dirò una cosa nuova per te (visto che è di una semplicità estrema ed è facilmente intuibile) se affermo che un racconto del terrore non è altro che una fiaba senza il lieto fine; o che un racconto fantasy non è altro che una fiaba dilatata; oppure che un racconto noir non è altro che una fiaba razionalizzata (in un'epoca razionalistica come la nostra l'orco purtroppo è costretto a smitizzarsi e a diventare il killer)… E così via e così via.
Anche a livello formale lo studio della fiaba potrebbe esserti molto utile, visto che per scrivere un romanzo (o un racconto) con tutti gli elementi necessari (anche se non sufficienti) per funzionare basterebbe prendere una fiaba qualunque e ripeterne lo schema, aggiungendo a seconda del caso: descrizioni, dialoghi, approfondimenti psicologici e altri espedienti forniti dall'esperienza di secoli o dalla contingenza di un gusto. Perfino l'esemplificazione dei tipi narrativi e della loro funzione all'interno della storia offerto dal repertorio fiabesco è la più chiara che abbiamo e quella che meglio si adatta alla nostra educazione di scrittori e alla nostra soddisfazione di lettori: l'eroe, il cattivo, la bella, il mostro… e su un altro livello: il prologo, lo svolgimento con le sue varianti, il lieto fine che scioglie le angosce.
Perciò un consiglio che a uno snob potrebbe di primo acchito sembrare quasi un insulto ("Leggi le fiabe!") in realtà vorrebbe essere un'occasione di studio - elementare, questo è vero, ma - assolutamente formativa.

Sono sempre stato affascinato dalle letterature antiche, dai miti, dall'epica. A lungo mi sono interrogato sul perché. E la risposta è che in realtà, come lettore, mi sento attratto da quel tipo di lettura in cui è preminente l'assenza dell'autore. Laddove cioè la materia narrata è così universale e lo stile così limpido da rendere secondario il fatto che a narrare sia Tizio, oppure Caio: entrambi non sono stati altro che un inconsapevole (e talvolta consapevole) mezzo che ha permesso all'inconscio collettivo di manifestarsi (se proprio bisogna usare tale espressione). Ed è questo che deve accadere in un buon racconto o romanzo. Se la letteratura non è un fatto collettivo, che interessa tutta la società di cui è espressione, alla quale la maggior parte possibile di una società partecipa… allora, a mio avviso, essa è un ramo secco: è inutile.
È un concetto totalmente opposto alla visione Romantica della letteratura, lo so. Almeno alla visione volgarizzata della visione Romantica, giacché perfino il romanticissimo Keats, nelle sue lettere, definiva il poeta come un'antenna sensibilissima, capace di captare (non di creare dal nulla, dunque) le cose universali.
Al centro della mia visione di lettore sta l'opera, non la personalità dello scrittore. Anzi, ho gustato di più i libri nei quali lo scrittore era ridotto il più possibile a un mero compilatore (a qualcosa di ancora inferiore al narratore: a un redattore) come appunto sono stati i fratelli Grimm - e come tra parentesi furono gli anonimi redattori dei libri biblici, dell'epopea di Gilgamesh, del Gawaine e il Cavaliere Verde o del Beowulf. O in alternativa ho amato tutti quegli scrittori ben noti che tendevano a una simile visione delle cose letterarie, da Ariosto, a Calvino, a Tolstoj (ebbene sì, pure lui!)...
Platone stesso, nel Fedro definì il poeta come un vaso vuoto nel quale le Muse riversano il loro nettare. Ciò è detto in un contesto teso a dimostrare che il poeta, quando esercita la propria arte, è inconsapevole di quel che fa; che se dice cose sagge o profonde non lo fa a causa della propria intelligenza, ma perché il suo ruolo è quello di medium fra le Muse (l'inconscio collettivo, l'Universale?) e le menti individuali di tutti i lettori. E che proprio in questo - anzi, unicamente in questo - sta la sua specifica (e speciale) profondità.
La lezione di oggi (ma non ti faccio mai lezione, caro Aspirante, di solito provo a scherzare con te, anche se so che non si può scherzare sui santi con un cattolico) potrebbe concludersi così, con una frase di uno scrittore contemporaneo che ho letto e che non approvo, ma che talvolta ci lascia qualche perla (involontaria) di saggezza. La frase rientra in una metafora sulla scrittura. Le parentesi sono mie: "Che m'importa delle vertigini dei muratori (=scrittori) che stanno costruendo una casa a molti piani (=l'opera)? M'interessa la casa e con essa pago anche le loro vertigini e eventuali disgrazie, mentre le loro vertigini da sole non mi commuovono se ho investito tutto nella casa e a causa di banali inconvenienti del mestiere (=lo scrittore che gira attorno al proprio ombelico anziché curarsi del buon andamento dell'opera) essa non va avanti?" [Aldo Busi, Sodomie in corpo 11, pag. 25, ed. Oscar Scrittori del Novecento, Mondadori, 1995].

Alla prossima settimana, tuo "Aspirante Lettore".

Articolo scritto da:
Fabio Larcher

Consigli di Editoria a un Aspirante Scrittore: c'era una volta…
Articolo pubblicato il 16/10/2005


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