Consigli di scrittura creativa: la seconda parte della lezione sulla Persona e sul Tempo
Esiste un momento, nella storia di un libro, in cui il narratore si trova a prendere una decisione importante, che non potrà più variare e che deve necessariamente segnare il procedere dell’opera. Dall’inizio sino alla sospirata parola “fine”.
Per essere precisi è l’apertura stessa del libro che condiziona una variabile essenziale, e ogni scelta qui fatta deve essere razionale, certa, e precisa.
In verità la scelta del verbo è spesso implicita nell’idea stessa del romanzo. La chiave di lettura passa attraverso questa decisione e spesso l’autore ne è consapevole sin dal primo istante. In genere è la frase di apertura che condiziona il racconto, ma anche qui esistono le debite eccezioni che come tale non possono essere ignorate.
Sul tempo
Esiste un secondo parametro che bisogna considerare scrivendo un libro e che anche in questo caso è plastico e può essere introdotto in momenti diversi del romanzo in base alle esigenze narrative e alla struttura che si sta costruendo.
Anche in questo caso ogni singola voce meriterebbe una trattazione autonoma, ma è opportuno conoscere l’effetto che ciascun tempo verbale provoca nel lettore e qual è la scelta più ragionata da usare nella costruzione della linea temporale della storia.
Il verbo può essere usato secondo le varie coniugazioni del tempo indicativo, in linea di principio, e ciascuna di essa può essere predominante in tutto il corso del romanzo, dando un’impronta particolare che genera ritmi, tempi, sensazioni e atmosfere.
In linea di principio vale la prima regola che viene insegna quando si impara a scrivere qualcosa: per tutta la durata dell’azione, il tempo deve essere sempre lo stesso. Non si può iniziare al presente e concludere al passato. È un errore e non ammette giustificazioni.
Presente – il tempo presente da l’idea di qualcosa che sta accadendo nel momento in cui si svolge la narrazione. È in genere il più usato dagli americani nel racconto verbale (in Italia generalmente quando raccontiamo qualcosa che ci riguarda usiamo sempre il passato) e introduce l’ascoltatore direttamente sul luogo dell’azione. Spesso è schematico, quindi, da informazioni dirette e da un coinvolgimento del tutto particolare: la vicenda si sta svolgendo in quel preciso momento, non esiste una conclusione certa e tutto può accadere.
È un tempo verbale di forte impatto e di grande atmosfera. Ottimo per creare tensione e per aumentare il senso di identificazione del lettore. Può essere usato sia in prima che in seconda e in terza persona, sebbene l’effetto drammatico è enfatizzato dalla prima persona. In terza può creare un’atmosfera nostalgica, malinconica. È in linea di principio l’unico tempo ammesso nella seconda persona*1.
Può tuttavia essere stancante e non garantisce la plasticità e la sicurezza che offre invece la narrazione al passato.
Esempi notevoli: “Il senso di Smilla per la neve” di Peter Høeg, in cui la vicenda riesce ad andare avanti per oltre quattrocento pagine senza perdere interesse. Le sceneggiature cinematografiche (che in realtà sono un modello letterario a parte) in cui la drammaticità*2 è espressa al massimo livello in quanto il contenuto della sceneggiatura è anche quello che si vedrà nel film. Niente di più e niente di meno.
Il reportage, sia in forma scritta che in formato audiovideo.
Passato Prossimo – è il tempo in cui generalmente in Italia si gestisce la narrazione vocale nella vita di tutti i giorni (a parte alcune regioni in cui è più utilizzato il passato remoto). Nella sua forma scritta è usato spesso in romanzi di giovani autori specie italiani, riguardo a vicende personali, spesso di adolescenti. La sua cadenza, infatti, consente una forte forma riflessiva e di atmosfera. Ci introduce in qualche modo nella sfera affettiva dei protagonisti e ci da un senso di incompletezza.
La storia cioè può evolvere, non necessariamente è stata scritta. È una storia recente, e probabilmente i personaggi ne sono ancora fortemente influenzati. Usata in quest’ottica ha generalmente bisogno della terza persona.
“Rosa ha passato una giornata d’inferno. Sua madre ha detto a Gianni che non potrà andare al concerto quella sera. Seduta sul suo letto guarda*3 le foglie che cadono. Ieri Antonio le ha detto che se vanno al cinema è okay. È stata una cosa buona, ma […]”
Nella narrazione in prima persona ci fornisce un impatto emotivo interessante, specie nella caratterizzazione di un personaggio romantico e in storie di mistero. Questo è vero soprattutto in abbinamento con il trapassato prossimo. Descrive in parte l’ambiente e le abitudini del personaggio. Esempio di questa forma narrativa sono i monologhi che introducono alcune delle storie di E. A. Poe, alcune storie di Lovecraft e via dicendo.
Imperfetto – L’imperfetto è il tempo dell’introspezione psicologica del personaggio. Specie in terza persona da un aria di malinconia e di studio. Indica qualcosa che avviene abitudinariamente. Crea atmosfera e da un senso dilatato del tempo. Ciò che è detto si trascina oltre l’unità temporale.
È un tempo di stato. Le cose sono così e non muteranno, almeno sino a quando non avviene qualcosa di particolare.
Un esempio notevole è Eveline di James Joyce*4, in cui la malinconia della figura della ragazza e la staticità iniziale del suo personaggio si contrappone al forte iter emotivo che la muove dentro. L’imperfetto è anche il tempo del ricordo, infatti. Le cose andavano così, e probabilmente vanno tutt’ora in questa direzione.
È utile anche per sottolineare grandi passaggi temporali. Il romanzo, o il racconto, non necessariamente deve descrivere ogni momento, anzi la dilatazione, la contrazione, e il salto del tempo e della linea temporale sono una delle caratteristiche principali della parola scritta e del racconto. Un ampio intervallo di tempo può essere racchiuso in descrizioni all’imperfetto di un qualcosa che si ripeteva costantemente in quella fase della storia. Un esempio può essere “La mia Africa” di Karen Blixen dove la maggior parte della narrazione si basa su avvenimenti che avvenivano di routine e solo raramente si sofferma su episodi isolati e su storie con introduzione, sviluppo e conclusione. E tuttavia il romanzo della Blixen racchiude un tempo di oltre dieci anni.
In prima persona, specie con l’uso del trapassato prossimo, è utile nella costruzione di storie romantiche e gotiche.
Trapassato prossimo – Di particolare effetto nelle storie gotiche e romantiche. “Ero solito recarmi in tale posto, con il calare delle tenebre. A quel tempo il maniero era stato affittato da una nobile famiglia inglese che passava parte del tempo, etc, etc. Io ero terrorizzato dall’idea di poter rimanere solo anche per un minuto, etc. etc. anche perché era possibile che, etc. etc. ”. Generalmente però il verbo portante è sempre il passato remoto, raramente il passato prossimo.
Si utilizza in particolare per sottolineare azioni e stati d’animo, specie alla prima persona. In terza persona sposta la linea temporale più indietro di quella in corso nella storia per il tempo imperfetto. Se uso in pratica l’imperfetto per sottolineare l’anno 2000, se nella stessa linea narrativa mi riferisco al 1980 devo usare il trapassato.
Può essere inoltre introduttivo: “Era stata una giornata afosa, e i bambini avevano giocato tutta la mattina […] tizio scese le scale […].”
Passato remoto – è il verbo principe con i quali i racconti sono concepiti. È il più plastico e malleabile, si riferisce ad eventi passati (la storia in genere la si racconta perché è accaduta nel passato e ora è conclusa, sia che abbia strascichi nel presente o meno), e indica un’azione specifica. “Chiuse la porta”, “Guardai dalla finestra”, “Dissi queste parole”, etc.
L’azione finisce con il verbo e indica progressione nella narrazione. Generalmente è indicativo di azione.
Trapassato remoto – sposta l’azione narrativa su una linea temporale precedente a quella principale. Crea una sensazione di premessa e di causa alla quale deve succedere un effetto. È generalmente implicito nell’uso di questo verbo che le cose che vengono narrate hanno un risvolto o un impatto nella storia presente (inteso come presente la linea narrativa che si sta portando avanti).
Può essere usato nel flash-back, ma non è obbligatorio*5.
Futuro semplice – L’uso è sostanzialmente limitato e si usa solo quando la linea temporale portante è al presente*6. Può essere usato da solo con la seconda persona per aumentare l’effetto drammatico (il già citato Nortghager Abbey della Austin) o nell’anticipazione, dove tuttavia si preferisce il condizionale passato: “quella sarebbe stata l’ultima volta che lo avrebbe visto”, “Jenny sarebbe andata a lavoro anche quella mattina”, “ci sarebbero stati giorni migliori”.
Può esprimere ineluttabilità, arresa nei confronti del destino, attesa: “Johnny sa che andrà sempre così”, “Che cosa accadrà adesso?”, “Ci dovrà essere per forza una via d’uscita”.
L’uso come tempo portante si può avere in una profezia.
Futuro Anteriore – Sposta indietro la linea narrativa futura. Come tale è improbabile trovarlo come tempo verbale portante di una storia.
Chiaramente, a conclusione di questo discorso, c’è da sottolineare che le linee temporali in cui ci si muove sono essenzialmente due: presente o passato. Sono loro l’elemento portante della narrazione e in base ad essi ci si muove.
L’uso dei diversi tempi verbali aiuta a definire sfumature e sottolineare passaggi. È infatti improbabile che un racconto possa essere scritto interamente all’imperfetto*7 o al futuro.
L’importanza tuttavia dell’effetto che l’uso del verbo sarà in grado di suscitare è fondamentale per la costruzione di una storia. È il verbo infatti l’elemento portante attorno a cui ruota la frase, ed è lui che definisce gli eventi e ciò che accade. La storia, appunto.
Note:
*1 - Con le dovute, ovvie, eccezioni.
*2 - Intesa nel senso di “azione”.
*3 - Nell’esempio la linea temporale principale è al presente. È ovvio tuttavia che lo stare seduta a letto è una situazione statica che non avrà alcuno sviluppo. La narrazione riguarda le vicende sino a quel momento e ha come tempo portante il passato prossimo.
*4 - Curioso notare che in inglese l’imperfetto non esiste e che la storia è narrata al “Past Tens”, il passato semplice.
*5 - Il flash-back può essere gestito anche con la dominanza di un altro dei tempi verbali. Compreso il presente, che spesso, anzi, crea una frattura netta tra la linea narrativa principale al passato e il rimando al passato, aumentando l’effetto drammatico.
*6 - Per regola grammaticale. Se la storia è al passato si deve usare il condizionale per esprimere futuro.
*7 - In realtà alcuni tipi di narrazione lo usano come tempo portante. Per esempio un rapporto ufficiale in genere è all’imperfetto “il paziente si mostrava disidratato e non era in grado di rispondere alle domande del medico”, “Il signor Rossi urtava con l’auto la moto del Signor Bianchi e provocava danni…”. Nel già citato Eveline è l’imperfetto il tempo principale.
I bambini quando giocano usano generalmente l’imperfetto per descrivere l’azione che stanno portando avanti: “Adesso tu eri un poliziotto che mi dava la caccia e poi io ti raggiungevo e ti sparavo e tu morivi.”
Sulla persona e sul tempo: il VERBO Copyright © 2004 by Fabio Capello
Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta sulle pagine de "Il Commensale" nel Gennaio 2004
Articolo scritto da: Fabio Capello
Scrittura creativa: sulla persona e sul tempo: il VERBO (Parte II)
Articolo pubblicato il 01/08/2004
|