Agnello vegetale della Tartaria (Barometz)
L'Agnello vegetale della Tartaria, o Barometz, è una creatura ibrida tra il mondo animale e quello vegetale
Tra le creature leggendarie, e soprattutto tra gli ibridi del mondo vegetale con quello animale, la Mandragora è sicuramente la specie più conosciuta, ma la più bizzarra è affascinante resta il Barometz, o Agnello vegetale della Tartaria.
Assimilata per molti versi alle Anatre vegetali dell'Irlanda, uccelli generati dagli alberi stessi, la leggenda del Barometz può essere quasi considerata la risposta orientale a queste creature prettamente europee.
Le prove della sua esistenza sono molteplici, ma spesso in contrapposizione tra loro. Soprattutto la descrizione di quest'essere differisce da studioso a studioso. La leggenda stessa è molto antica, risalente probabilmente al I° secolo dopo Cristo, ma occorre arrivare all'XI° secolo per trovarlo citato in diversi bestiari.
Viene generalmente descritto come un cespuglio abbastanza grande, simile alla rosa canina, dai cui rami pendono batuffoli cotonosi che in realtà sono piccoli agnelli. Il manto di questi animali viene definito come dorato.
Gli agnelli erano dunque legati alla pianta tramite un cordone ombelicale vegetale, e l'arbusto poteva piegarsi per permettere loro di brucare l'erba circostante. Infatti intorno al barometz il terreno era sempre brullo e non potevano crescere altre piante.
Quando non c'era più cibo nelle vicinanze, i piccoli agnelli tranciavano il loro cordone ombelicale per essere liberi, lasciando morire la pianta. Secondo altre leggende pure loro erano destinati a morire insieme all'arbusto originale.
Nelle vene scorreva sangue e avevano un cuore che batteva. La loro carne sapeva di pesce e il sangue di miele.
Il loro nemico naturale era il lupo, che li divorava con facilità, vista la scarsa mobilità di queste creature.
Il barometz è nativo dell'Asia centrale, e precisamente delle due regioni che nel medioevo venivano chiamate Scizia e Tartaria. Quindi le regioni meridionali della Russia e buona parte dell'Asia centro-occidentale, compresa la Siberia.
La prima traccia del barometz si trova nei testi di Erodoto, che intorno al 442 avanti Cristo, narrava di averla incontrata nei suoi numerosi viaggi. Dopo di lui l'Agnello vegetale verrà citato anche da Theophrastus (306 a.C.) e Plinio il Vecchio (77 d.C).
L'Agnello vegetale spunta parecchie volte nel Talmud con il nome di Jeduah, una creatura animale unita al terreno da una radice, che muta poi in Jedua nel Levitico della Bibbia, aprendo la via a una marea di studi e dissertazioni medievali su questa creatura.
La prima descrizione particolareggiata arriverà solo nel 1330, quando frate Odorico da Pordenone scriverà la relazione di un suo viaggio compiuto in Oriente tra il 1316 e il 1328. Egli riporterà:
Un dì fra gli altri viddi una bestia grande come un agnello, che era tutta bianca più che neve, la cui lana ressembrava un bombace, la quale si pelava. E domandando dai circostanti che cosa fusse, fummi detto che era stata donata dal signore ad un barone per una carne che fusse la migliore e più utile al corpo umano che ogni altra; soggiungendomi che vi è un monte che ha nome Capsiis in cui nascono certi poponi grandi, e quando si fan maturi si aprono e n'esce fuori questa bestia. Fummi anche soggionto che nel reame di Scozia e d'Inghilterra sono arbori che producono pomi violati e tondi alla guisa di una zucca, dai quali, quando sono maturi esce fuori un uccello.
Immediato l'accostamento alle Anatre vegetali, nonché la localizzazione, il monte Capsiis (Caucaso), posto proprio al confine tra la Scizia e la Tartaria.
Seconda citazione è quella di John Mandeville, che stilò nel 1355 la relazione dei suoi viaggi. Egli disse:
Oltrepassando la terra del Catai e andando verso l'India alta e verso Bukhara si arriva ad un regno chiamato Caldilhe, che è un paese molto bello. Là crescono certi frutti che assomigliano a zucche: quando sono maturi si tagliano a metà e dentro vi si trova una bestiola in carne ed ossa e sangue, che sembra un agnellino senza lana. La gente mangia sia il frutto che l'animale, il che costituisce una grande meraviglia. Anch'io ho mangiato di quei frutti straordinari, ben sapendo che Dio è sempre stupefacente nelle Sue opere. Nondimeno io dissi che non ritenevo questa opera per gran miracolo, poiché ci sono alberi nel nostro paese i frutti dei quali sono uccelli.
Benché vi siano differenze tra le due leggende, resta comunque indubbia la somiglianza, ovvero: esiste una pianta che produce agnelli.
Molto più particolareggia la descrizione che ne verrà data dal barone Sigismond de Herbertstein, nei suoi Commentari sulla Moscovia e sulla Russia pubblicati per la prima volta a Vienna nel 1549:
Tra Volga e Iaich, fiumi intorno al mar Caspio, abitavano già li re Sauvolhensi, delle quali diremo poi. Appresso questi Tartari una cosa meravigliosa e a pena credibile Demetrio di Daniele, uomo fra li barbari di fede singolare, ci raccontò: essendo stato mandato suo padre per ambasciatore dal principe di Moscovita al re Zauvolhense, mentre era in quella legazione aveva veduta una certa semenza in quelle isole, poco maggiore e più rotonda del seme del melone, ma non dissimile però da quella. La qual semenza ascosa in terra, nacque poi dei quella una certa cosa simile ad un agnello di altezza di cinque palmi, e questo in loro lingua chiamano “boranetz” cioè agnello, perché ha il capo, gli occhi, l’orecchie e tutte le altre cose alla similitudine d’uno agnello nuovamente nato. Oltra di questo ha una pelle sottilissima, la quale molti in questo paese usano in capo in luogo di berretta; e molti dicono di averne vedute. Diceva ancora quella pianta, se pianta è lecito essere chiamata, aver in sé sangue ma senza carne, ma in luogo della carne una certa materia simile alla carne di gambari; ha l’unghie non cornee come li agnelli, ma con certi peli vestite alla similitudine di un corno; ha la radice sin all’umbilico e dura sin tanto che, mangiate le erbe torno a torno, la radice per carestia del pascolo si secca. Dicono aver in sé una dolcezza meravigliosa e che perciò è molto desiderata da’ lupi e d’altri animali rapaci. Io quantunque giudico tutto questo, e del seme e della pianta, essere cosa favolosa e incerta, nondimeno, perché me l’hanno riferita gli uomini degni di fede, l’ho voluta riferire agli atri.
Per la prima volta viene dato un nome a questa pianta leggendaria: boranetz, che presto si trasformerà in borametz o barometz. Nome che deriva dal russo baran, che significa montone.
Da lì in poi le citazioni si fanno più frequenti: Guglielmo Postel (Liber de causis, 1552), Gerolamo Cardano (De rerum variegate, 1554), e il dotto Giulio Cesare Scaligero che nell’exotericarum exercitationum liber asserisce che tagliando uno degli arti della bestiola, fuoriesce un liquido simile al sangue.
Il poeta Guillaume Salluste du Bartas (La semaine, 1578) così descrive la pianta, scoperta da Adamo nel Paradiso terrestre:
Sembrano montoni appena nati, e lo sarebbero davvero se nel nobile petto della terra, non immergessero una radice vivente che si allaccia al loro ombelico e muore il giorno in cui cessano di brucare il fieno che cresceva intorno. O effetto mirabile della mano divina! La pianta di carne e sangue, l’animale con la radice!
La leggenda cresce: il napoletano Giovan Battista della Porta (Phytognomonicon, 1591) ne decanta la morbidezza della pelle, usata per fare copricapi.
Il viaggiatore Olearius (Voyages de Moscovie, 1636) scrive:
Ci hanno assicurato che presso Samara tra il Volga e il Don esistono una specie di meloni o meglio di cocomeri fatti come un agnello, di cui questo frutto rappresenta tutte le membra, che è legata al terreno dal gambo che gli serve da ombelico. Crescendo si sposta per quanto il suo gambo glielo permette e fa seccare l’erba dovunque si gira. I moscoviti definiscono questo fatto “pascolare” o “brucare”; e aggiungono che quando è maturo il gambo si secca ed il frutto si ricopre di una pelle pelosa, che si può preparare ed usare come una pelliccia. Chiamano questo frutto “Boranez", cioè agnello.
Hans Sloane, botanico della Royal Society of London, entrato in possesso di un esemplare della pianta, la classificò come una felce arborea, che Linneo chiamò Cibotium borametz. La pianta, una felce a grande sviluppo in grado di raggiungere anche i quattro metri e mezzo di altezza, ha un grosso rizoma coperto di peluria setosa, che in natura non assomiglia affatto a un agnello. Per ottenere tale effetto è necessario tagliare gli steli.
In realtà l'unica cosa che riuscì a provare fu che l'esemplare in suo possesso era chiaramente un falso, preparato ad arte, e che ben poco aveva in comune con la creatura leggendaria.
Nel 1887 il naturalista Henry Lee identificò il barometz con la pianta del cotone, di cui aveva già parlato Teofrasto, descrivendoli come: alberi che producono la “lana” guarniti di “piccole zucche della grandezza di una mela che quando sono mature scoppiano e liberano dei batuffoli di lana".
In definitiva nessuna descrizione dell'Agnello vegetale concorda pienamente con quella precedente, e allo stesso modo nessuna spiegazione scientifica riesce a svelare in modo esaustivo questo mistero del mondo vegetale.
Sia che si tratti del Polypodium (o Cibotium) borametz oppure dell'albero del cotone, l'Agnello vegetale di Tartaria (o Barometz, Borametz, Jeudah) resterà comunque un appassionante mistero.
Curiosità:
Nel Museum of Garden History di Londra è conservato un esemplare del Cibotium risalente al XIX° secolo, a dimostrazione del fascino che una simile pianta deve aver avuto sui naturalisti dell'epoca.
Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Agnello_vegetale_della_Tartaria
http://bizzarrobazar.wordpress.com/2009/11/05/agnello-vegetale/
http://elvezio-sciallis.blogspot.com/2008/12/barometz.html
http://xoomer.virgilio.it/bestialbhv/Absleg2b.htm
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