Un'indagine sulla possibilità che un olocausto nucleare possa avere cancellato le tracce del nostro passato
Hiroshima, Nagasaki. E poi ancora Chernobyl e Fukushima.
Nel giro di poco più di sessant'anni il mondo ha assistito più di una volta al potenziale distruttivo dell'energia atomica.
All'interno del Hiroshima National Peace Memorial Hall for the Atomic Bomb Victims vi è un orologio che continuerà a segnare per sempre le 8:15, l'ora esatta in cui la bomba "Little Boy" esplose uccidendo in un istante 66.000 persone e radendo al suolo intere case e industrie.
Un orrore che associamo tutti con l'inizio dell'era atomica, simbolo tanto di morte quanto di progresso tecnologico.
Ma c'è un altro orologio, quello della Storia, che non avendo mai smesso di fare girare le sue lancette non porta alcuna memoria degli eventi passati, se non quelli che l'essere umano si è lasciato dietro. I tentativi dell'Uomo di ricordare il suo passato sono però tutt'altro che perfetti.
Enormi lacune costellano la storia della nostra civiltà e di quelle che l'hanno preceduta.
Una di queste prime civilizzazioni fu quella della valle dell'Indo.
Di loro sappiamo molto poco. Eppure quelle cose che ci sono arrivare sono tanto meravigliose da rischiare di mettere in dubbio l'idea generale che l'Uomo moderno sia l'espressione più avanzata di se stesso.
Alcune persone sostengono addirittura che la civilizzazione dell'Indo possa essere stata spazzata via da un conflitto nucleare, non molto diverso da quello che avrebbe potuto distruggere il mondo durante la Guerra Fredda. Si parla di 44 resti scheletrici radioattivi rinvenuti nel sito archeologico di Mohenjo-Daro, enormi massi fusi assieme dall'energia generata dalle detonazioni atomiche, crateri, testi sacri che descrivono colonne di fumo e fuoco brillanti come mille soli e altro ancora.
In questo articolo cercheremo di verificare l'autenticità dell'evidenza proposta a favore della possibilità che la bomba atomica esplosa il 16 luglio del 1945 nel deserto del Messico non fosse la prima.
Olocausto nucleare nell'antichità: una civiltà progredita
La civiltà della valle dell'Indo si sviluppò nel periodo incluso fra il 3300 e il 1500 a.C. lungo i fiumi Indo e Sarasvati, quest'ultimo oramai prosciugato.
Le strutture architettoniche rinvenute fanno presupporre una civiltà avanzata. Harappa, così come gli altri centri urbani attorno ai quali la civiltà dell'Indo ha prosperato, includeva un intricato sistema di vicoli che aveva la funzione di connettere le singole abitazione alle strade principali.
Questo reticolo stradale univa la "cittadella", una parte sopraelevata della città, alla "città bassa". Le abitazioni, costruite in mattoni, erano suddivise in due piani. Quelli che in un primo tempo sono stati interpretati come "granai", sono oggi ritenuti dagli archeologi palazzi o centri amministrativi.
Il sito di Dholavira presenta anche due stadi fra i più antichi mai rinvenuti, uno di questi capace di ospitare fino a 10.000 spettatori.
Possiamo pure evincere che la civiltà della valle dell'Indo avesse delle norme igieniche ben precise, data la presenza nelle principali città di un reticolo fognario coperto che collegava le singole stanze da bagno con il sistema principale di scarico delle acque.
A Mohenjo-daro è presente anche una struttura a forma di vasca, denominata "Il Grande Bagno", la cui esatta funzione è a tutt'oggi sconosciuta.
L'avanzata capacità architettonica della civiltà della valle dell'Indo si riflette anche nei ritrovamenti di iscrizioni che non è stato ancora possibile decifrare. Si tratta di un sistema di 400 segni logo-simbolici, che include innumerevoli variazioni. A Harappa e Mohenjo-daro sono stati rinvenuti anche alcuni fra i simboli religiosi più antichi di cui siamo a conoscenza come la svastica.
Quando a tutto questo aggiungiamo anche il ritrovamento di varie sculture, figurine di terracotta, bronzo e argilla, gioielleria in oro e ceramiche, l'immagine che viene a formarsi è quella di una civiltà estremamente avanzata.
In Life After People, una serie di documentari prodotti nel 2008 dalla History Channel basati sulle osservazioni effettuate in centri urbani abbandonati sparsi in tutto il mondo, viene evidenziato come, se oggi dovesse accadere un cataclisma di proporzioni globali, nel giro di pochi millenni tutto ciò che resterebbe della nostra civiltà sarebbero solo i resti in pietra.
Quello, e le tracce di attività radioattiva. Proprio come nei principali siti legati alla civiltà della valle dell'Indo.
Ma quale altra evidenza esiste a supporto dell'idea che la radioattività presente a Harappa e altri centri urbani appartenuti alla civiltà della valle dell'Indo possa essere il risultato di attività belligeranti di una società molto più avanzata di quanto non credessimo?
Olocausto nucleare nell'antichità: evidenza culturale, testi sacri
Robert Oppenheimer fu il fisico che mise appunto il primo ordigno nucleare. Durante una lezione alla Rochester University, uno studente gli avrebbe domandato se quella avvenuta anni prima nel deserto di Jornada del Muerto nel Nuovo Messico fosse stata davvero la prima esplosione nucleare della Storia.
Domanda alla quale Oppenheimer avrebbe risposto: «Sì, nella storia moderna».
Eppure, per quanto in effetti Oppenheimer avesse dimestichezza con i testi sacri indiani, non esiste alcuna fonte documentata a testimonianza che questo scambio di battute sia realmente accaduto. Fino a prova contraria, si tratterebbe quindi solo di un "mito" circolato su Internet.
Lo stesso discorso varrebbe anche per alcune citazioni che sarebbero tratte dai testi sacri induisti come:
«... un unico proiettile
carico di tutta la potenza dell'Universo.
Una colonna incandescente di fumo e fiamme
luminosa come mille soli
salì in tutto il suo splendore...
un'esplosione verticale
con nuvole di fumo fluttuanti...
... la nuvola di fumo,
innalzandosi dopo la prima esplosione,
si aprì in onde circolari,
come l'apertura di ombrelloni giganti ...
... era un'arma sconosciuta,
un fulmine di ferro,
un gigantesco messaggero di morte,
che ridusse in cenere
l'intera razza dei Vrishni e Andhaka.
... I cadaveri erano così bruciati
da essere irriconoscibili.
I capelli e le unghie caddero.
Le ceramiche si ruppero senza causa apparente,
e gli uccelli diventarono bianchi.
Dopo poche ore
tutti i prodotti alimentari erano contaminati...
... per uscire da quel fuoco
i soldati si gettarono nei torrenti
per lavare se stessi e le loro attrezzature.»
Questi versi sembrerebbero proprio riferirsi in modo inequivocabile a un'esplosione nucleare. Ma, per quanto vengano spesso presentati come unico testo, in realtà si tratta di un collage di estratti imprecisi tratti da diverse parti del Mahabharata che si riferiscono a eventi diversi.
I testi sacri indiani sono fra i più antichi in nostro possesso. Il Mahabharata (La grande storia di Bharata) narra di eventi che, basandosi sulla descrizione di fenomeni astronomici quali le eclissi, si tende a contestualizzare in un periodo che si aggira attorno al 3100 a.C.
In quanto poema epico, la sua importanza è prima di tutto filosofica ed etico-religiosa.
Eppure la presenza di questo registro culturale all'interno dei testi non esclude anche una possibile fonte d'ispirazione storica, la quale avrebbe potuto fungere da spunto per la tradizione orale che, più tardi nel tempo, è stata poi cristallizzata in forma scritta all'interno del Mahabharata.
Quindi, malgrado alcune delle citazione che circolano in Internet siano in realtà dei collage ricavati dai testi originari, vale comunque la pena prendere in considerazione la possibilità che tali descrizioni possano suggerirsci qualcosa.
Il Mahabharata è suddiviso in diciotto libri (Parva), ognuno dei quali contiene ulteriori sezioni. All'interno dell'ottavo libro, il Karna Parva (o libro di Karna), troviamo in effetti un riferimento ai "mille soli" - che nel testo originale sarebbero 10.000 - della citazione circolata in Internet.
I 10.000 soli si riferiscono a una divinità chiamata Nila Rohita, il cui nome può anche essere interpretato come "fumo", circondata da "un fuoco di fortissima Energia, che arde con splendore".
Queste armi divine sembrano capaci di creare effetti anche molto diversi da quelli di un'esplosione nucleare, per quanto comunque potrebbero essere indicative sia di una fervidissima immaginazione da parte dell'autore sia di una incredibile forma di tecnologia a noi sconosciuta.
Nel settimo libro, il Drona Parva, troviamo scritto:
«Dopo aver recitato una preghiera a Varuna, Arjuna generò con le sue armi divine un laghetto d'acqua dolce, che poi circondò con un fitto muro di frecce. Lì, dentro quell'impenetrabile cortina, i cavalli si ristorarono.»
D'altro canto è anche vero che, nel Drona Parva così come nelle cronache di guerra del Mahabharata in generale, spesso le armi descritte sono abbastanza convenzionali, come archi e frecce.
«Tenendo sempre l'arco al massimo della capacità di piegamento, quasi in forma circolare, nessuno riusciva più a distinguerne i movimenti. Prendere la freccia, recitare i mantra, scagliarla e prenderne un'altra erano diventati un tutt'uno. Da quell'arma micidiale fluiva una corrente ininterrotta di dardi mortali, che colpivano con una precisione disumana.»
Il "fulmine di ferro", invece, lo troviamo per ben otto volte all'interno di un passaggio del sedicesimo libro, il Mausala Parva (o libro delle mazze). Con l'utilizzo da parte di Samva di questo "fulmine di ferro":
«...tutti gli individui della razza dei Vrishnis e degli Andhakas divennero cenere.»
Questo "fulmine di ferro", prosegue il testo, "somigliava a un gigantesco messaggero di morte".
Sempre all'interno del Mausala Parva troviamo anche dei riferimenti a dei fuochi che emettevano fiamme di colore blu e rosso. Il testo parla anche di asini nati da vacche ed:
«...elefanti dai muli. Gatti nacquero dalle cagne, e topi dalle manguste.»
Potrebbero questi essere dei riferimenti a delle malformazioni genetiche dovute agli effetti delle radiazioni?
Questi versi, così come gli altri, sono purtroppo troppo vaghi per potere trarre da essi una qualsiasi conclusione, in quanto troppo spazio viene lasciato all'interpretazione.
C'è un altro punto, però, che vale la pena di sottolineare.
Numerosi testi sacri indiani, incluso il Mahabharata, parlano di mezzi volanti chiamati "vimana". Questi mezzi sarebbero capaci addirittura di navigare nello spazio o immergersi sott'acqua. Sebbene alcuni di questi mezzi siano descritti come trainati da animali, altri sono in effetti dotati di due o più motori.
Secondo il filologista russo Vyacheslav Zaitsev, questi vimana si comportavano in modo simile a mezzi a noi molto famigliari:
«Sparivano nel cielo accompagnati da un rombo di motori finché non apparivano che come comete.»
Un testo nello specifico, il Vaimanika Shastra (o "Scienza dell'Aeronautica"), contiene istruzioni sulla realizzazione e manutenzione dei vimana.
Nel testo viene specificato che:
«Il pilota deve imparare 32 segreti da precettori competenti e soltanto ad una persona che li avrà imparati può essere affidato un aeroplano, e non ad altri.»
Alcuni di questi segreti sembrerebbero essere descrizioni di manovre simili a quelle adottate dall'aviazione moderna nelle dogfight:
«Quando aeroplani nemici arrivano in forza per distruggere il tuo Vimana, mettendo in fiamme il Jwaakine shakit nel Vyshwaanara-naal, o tubo situato sull’ombelico dell'aereo, e girando le chiavi delle due ruote ad 87 gradi, il rovente Shakti avvilupperà l'aereo nemico e lo brucerà» (Karshana, segreto numero 32).
Altri, invece, raccomandano delle soluzioni alquanto improbabili:
«Mescolando succo di melograno, bilva o olio di bael, sale di rame, nero fumo, granthica o liquido gugul, polvere di mostarda e decotto di scaglia di pesce, e aggiungendo conchiglie di mare e polvere di rocce di sale e raccogliendo il fumo della soluzione, inondandolo del calore solare che avviluppa la copertura, il Vimana apparirà come una nuvola» (Jalaada roopa, segreto numero 30).
Essendo un testo ottenuto nel XX secolo tramite canalizzazione (o channeling) da Pandit Subbaraya Shastry, l'autenticità del Vaimanika Shastra è impossibile da attestare.
Al di là della validità o meno del Vaimanika Shastra, però, tutti gli altri testi sacri in cui copaiono i vimana sono autentici.
È importante notare pure che in Centro e Sud America sono stati rinvenuti dei piccoli monili d'oro risalenti al V e VIII secolo d.C. che sembrerebbero rappresentare delle macchine volanti.
La conformazione delle ali e la posizione degli alettoni escludono la possibilità che si possa trattare di rappresentazioni animali.
Nel 1996 tre tedeschi, Algund Eenboom, Peter Belting e Conrad Lübbers hanno costruito un modello in scala 16:1 che riproduceva uno dei piccoli oggetti. Il modellino, battezzato "Goldflyer I", ha dimostrato di potere volare senza problemi. Altri successivi modellini hanno esibito le stesse qualità aerodinamiche.
Una caratteristica importante dei piccoli artefatti è l'ala a delta. Questa struttura aerodinamica fu proposta per la prima volta, seppur a livello solo teorico, dagli inglesi J.W. Butler e E. Edwards nel 1867.
L'idea venne poi ripresa molto più tardi nel 1939 dal pioniere dell'aerodinamica tedesco Alexander Lippisch. I primi test effettuati nella galleria del vento diedero dei buoni risultati, tanto che Lippisch decise di proseguire la ricerca nel tentativo di formulare un'ala capace di sostenere il volo supersonico. Malgrado ciò, l'ala a delta venne standardizzata solo nei tardi anni '50.
Alcuni dei piccoli artefatti, invece dell'ala a delta, possiedono un'ala a freccia. Anche questa viene oggi utilizzata come soluzione ai problemi del volo supersonico. Avvicinandosi alla velocità del suono, infatti, si viene a creare un'onda d'urto generata dalla prua dell'aeromobile. Le ali rivolte verso la coda riducono la resistenza fluidodinamica, impedendo all'aereo di perdere stabilità.
Come poteva la cultura pre-Inca Sinù conoscere tali principi aerodinamici?
Per secoli l'Uomo ha provato a spiccare il volo, senza successo. Già nel XV secolo Leonardo Da Vinci provò a formulare delle macchine volanti con "ali a pippistrello" ispirate alla natura. Ma solo nel 1903 i fratelli Wright riuscirono a fare decollare una macchina volante che non fosse basata su un principio di utilizzo dell'aria calda come la mongolfiera.
Non solo, ma ci vollero diversi decenni prima di riuscire a formulare una funzionante struttura aerodinamica uguale a quella dei piccoli monili d'oro. Oggetti forniti addirittura di stabilizzatori e deriva, componenti essenziali della coda di un aeroplano.
Rimane quindi inspiegato non solo come gli autori di testi sacri indiani risalenti a 5.000 anni fa abbiano potuto immaginare delle macchine volanti, la cui funzione sembra replicare quella dei mezzi aerei moderni. Ma anche come una cultura del tutto diversa all'altro capo del mondo abbia potuto concepire delle forme aerodinamiche che l'uomo moderno, con fatica, è riuscito a mettere a punto solo più tardi nella storia dell'aviazione.
L'impiego dei mezzi supersonici è avvenuto in congiunzione con lo sviluppo delle tecnologie atomiche. Si tratta di forme di tecnologia che – per lo meno nell'era moderna – sono state sviluppate nello stesso contesto storico e tecnologico.
In altre parole, se delle culture oggi scomparse erano in possesso di una forma di tecnologia così avanzata come quella dell'aerodinamica, non è completamente da escludere che potessero avere sviluppato anche quella nucleare.
Olocausto nucleare nell'antichità: evidenza fisica, resti radioattivi
Sempre in Internet ci imbattiamo nella notizia che nell'aria del Rajasthan, in India, a seguito di difetti alla nascita e casi di tumori che superava la norma, vennero fatti dei controlli che rivelarono un livello insolito di radiazioni. La zona contaminata in questione si estendeva per tre miglia quadrate.
Si trattava delle tracce di una conflagrazione nucleare avvenuta migliaia di anni fa?
Sempre nella stessa zona, è collocata la Rajasthan Atomic Power Station.
La storia della centrale nucleare non è estranea agli incidenti.
Nel 1992 perse quattro tonnellate di acqua pesante.
Nel febbraio del 1995 si verificarono invece delle perdite di elio radioattivo e acqua pesante. Più di 2.000 lavoratori furono esposti agli agenti radioattivi e 300 di essi vennero addirittura ricoverati. La centrale nucleare fu chiusa e riaperta solo due anni dopo.
Tuttavia le prime tracce di radioattività nella zona furono già riscontrate nel 1961 e nel 1962.
Secondo un articolo intitolato Uranium in ancient slag from Rajasthan pubblicato nel Marzo 2008, che ha indagato sulle possibili cause del fenomeno nei villaggi di Bansda e Dhavadiya, tali livelli di radioattività sarebbero dovuti alla presenza nella zona di determinati minerali come l'uranio. Questi minerali sarebbero venuti in superficie a causa di attività di miniera verificatesi in passato.
Eppure un gruppo di scienziati – che rimane non specificato – durante una serie di scavi nella zona avrebbe rinvenuto i resti di strutture architettoniche distrutte a causa di un'intensissima esplosione.
A parte ciò i 44 scheletri rinvenuti a Mohenjo-Daro, il cui nome significa "Monte dei morti", furono rinvenuti in posizioni che sembrerebbero indicare una morte improvvisa. Una bambina sarebbe addirittura stata ritrovata con le mani ancora strette in quelle dei genitori.
Alexander Gorbovsky, nel suo libro Riddles of Ancient History del 1966, parlerebbe non di 44 scheletri, ma di un solo scheletro. Questo singolo scheletro, però, emanerebbe un livello di radioattività di cinquanta volte superiore ai livelli normali.
Secondo l'autore Jonathan Gray, nel suo libro Dead Men's Secrets, in una zona montuosa del Rajmahal, un esploratore di nome De Camp si sarebbe imbattuto in una serie di enormi massi fusi assieme – un effetto che potrebbe essere in effetti indicativo di un'esplosione nucleare.
Sempre secondo lo stesso autore, un ufficiale inglese, J. Campbell, si sarebbe imbattuto in altri resti simili. Il residuo vetroso è un effetto tipico delle esplosioni nucleari dovuto all'elevatissima temperatura, osservato per la prima volta sul sito della prima esplosione nucleare di Alamogordo nel Nuovo Messico. Dei residui vetrosi sarebbero stati rinvenuti anche a Mohenjo-Daro. Secondo Gorbovsky, nel sito sarebbero state trovate anche delle "pietre annerite" che sembrerebbero essere frammenti di vasi di terracotta fusi assieme.
Questi resti vetrificati non sarebbero una prerogativa solo dell'India. Secondo il New York Herald Tribune del 16 febbraio 1947:
«Quando la prima bomba esplose nel Nuovo Messico, la sabbia del deserto si tramutò in vetro verde. Questo fatto, secondo la rivista Free World, ha offerto uno spunto interessante per alcuni archeologi, i quali avevano condotto degli scavi nell'antica valle dell'Eufrate, portando alla luce uno strato di cultura agricola risalente a circa 8,000 anni fa, un altro di una cultura più antica, e un altro ancora di una cultura preistorica ancora più vecchia. Di recente, hanno raggiunto uno strato di vetro verde fuso.»
Albion W. Hart, ingegnere del Massachusetts Institute of Technology (MIT), si sarebbe imbattuto in un fenomeno identico in una zona quasi inaccessibile dell'Africa.
In un articolo della rivista inglese Nature del 1952 intitolato Dating the Libyan Desert Silica-Glass, l'autore Kenneth Oakley, riferendosi ad altri ritrovamenti simili avvenuti nel deserto della Libia, scrive: «Per quanto indubbiamente naturali, l'origine del vetro silice in Libia è incerta. La sua composizione somiglia alla tectite di origine cosmica, ma si presenta in pezzi molto più piccoli.»
La spiegazione ufficiale di questi fenomeni è difatti che siano la conseguenza di impatti meteoritici.
Ma, per quanto possa sembrare logico, in realtà non c'è nessuna evidenza a supporto di tale teoria.
Secondo l'articolo il fenomeno si estende per un'area di 130 km da nord a sud e 53 km da est a ovest. Un'area troppo estesa. Per di più non c'è nessuna evidenza di crateri nei dintorni. Il meteorite potrebbe essere esploso prima di colpire il terreno, ma manca qualsiasi evidenza a supporto anche di questa teoria.
Ritornando in India, invece, un cratere lo troviamo: quello di Mumbai, la cui datazione si aggira attorno a 50,000 anni fa. Il cratere di 2.154 metri di diametro sembrerebbe essere stato generato da una pressione di 600.000 atmosfere. Ci sono anche tracce di temperature molto elevate. Ma nessuna di materiale meteoritico. La causa di questo cratere rimane quindi non accertata.
A supporto della possibilità che le popolazioni di Harappa e Mohenjo-Daro siano state spazzate via da un evento catastrofico vi è la loro scomparsa improvvisa a tutt'oggi rimasta inspiegata.
Secondo un'ipotesi iniziale proposta negli anni '40 da ricercatori tedeschi con affiliazioni nazionalsocialiste, le popolazioni della civiltà della valle dell'Indo sarebbero state spazzate via dalla razza ariana. L'archeologo americano George F. Dales contraddì tale teoria, evidenziando come negli scavi non fu rinvenuta alcuna prova – come armi, armature, frecce – che un'invasione sia realmente accaduta.
Secondo Richard H. Meadow, altro archeologo americano: «La distruzione delle città indù da parte di tribù ariane è oramai da tempo una teoria scartata dai ricercatori.»
L'ipotesi di una catastrofe non è quindi da escludere in quanto spiegazione alternativa per la scomparsa della popolazione di Harappa e Mohenjo-Daro. Malgrado ciò mancano però sufficienti prove concrete che possano identificare in un olocausto nucleare la catastrofe in questione.
Olocausto nucleare nell'antichità: conclusione
La possibilità che il livello di tecnologia in possesso di civilizzazioni oggi scomparse fosse di gran lunga superiore a quella ufficialmente dichiarata dai libri di Storia è tutt'altro che da scartare.
Senza dubbio le capacità architettoniche della civiltà della valle dell'Indo erano estremamente avanzate. E certe società, anche in altre parti del mondo e in periodi storici diversi, potrebbero avere addirittura sviluppato una tecnologia che permetteva loro di viaggiare a bordo di aeronavi, le quali sarebbero potute essere usate anche con scopi bellici.
Eppure molte informazioni reperibili in internet, una volta soggette a un'analisi approfondita, si rivelano essere inesatte o comunque troppo vaghe per poterle ritenere delle prove a supporto di un olocausto nucleare verificatosi diverse migliaia di anni fa.
Alcuni dettagli come l'esistenza degli esploratori nominati dall'autore Jonathan Gray, dai quali alcuni siti che trattano il soggetto prendono spunto, sembrerebbero mancare delle referenze necessarie per poter essere verificati. Altre fonti, invece, sembrerebbero evidenziare delle importanti anomalie – come la presenza del vetro silice – non solo in India ma anche in altre parti del mondo, le quali andrebbero investigate più a fondo.
Di conseguenza la possibilità di un impiego di armi nucleari in un periodo storico così lontano da essere tramandato a noi solo tramite le storie leggendarie presenti nei testi sacri, rimarrà solo una possibilità, almeno fino al giorno in cui non compariranno ulteriori prove a supporto della tesi.
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https://www.century-of-flight.net/Aviation%20history/evolution%20of%20technology/Delta%20Wings.htm
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https://www.sacred-texts.com/hin/maha/index.htm
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https://www.philipcoppens.com/bestevidence.html
PHILIP COPPENS, Prehistoric "plane" flies!, settembre/2011
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https://www.antikitera.net/news.asp?ID=4953
J. GRAY, Dead Men's Secrets: Tantalising Hints of a Lost Super Race, Stati Uniti, AuthorHouse, 2004
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