I semi di questa pianta, considerata sacra in alcune regioni dell'Africa, possono uccidere nel giro di un'ora
La Fava del Calabar, chiamata anche Eserè oppure Djiron (o killer bean of Calabar in inglese, "fagiolo assassino"), era considerata sacra presso le popolazioni africane che abitavano sulla costa del Calabar (fiume da cui prende il nome).
Per ordine reale, la pianta poteva essere coltivata solo in queste zone e i semi, importantissimi per amministrare la giustizia, erano raccolti sotto stretto controllo da una cerchia ristretta di persone e conservate nelle capanne dei capo-villaggio.
Durante i processi, un giudice costringeva l'accusato a ingerire un certo numero di semi, di masticarli e di camminare in cerchio. Se l'imputato fosse riuscito a rigettarli e quindi sopravvivere era segno della sua innocenza, al contrario sarebbe morto "colpevole".
Molto spesso la concentrazione di veleno era talmente alta che il vomito non sopraggiungeva e l'individuo moriva in brevissimo tempo.
I semi non solo erano usati per scopi giudiziari ma anche per prove ordaliche: venivano macerati nell'acqua oppure mangiati arrostiti e, a volte, sotto forma di clismi.
Fava del Calabar: come si presenta
La fava del Calabar è un arbusto volatile (cioè una liana), appartenente alla famiglia delle Fabaceae, che può arrampicarsi fino a 15-20 metri d'altezza. Cresce in Africa settentrionale, in particolare in Guinea soprattutto lungo le sponde di fiumi e in zone umide e boscose.
Le foglie, formate da tre foglioline, sono glabre e ovali mentre i fiori, pendenti, sono di color rosso o porpora.
Il frutto è un baccello lungo 15-20 cm che contiene 2 o 3 semi reniformi, scuri e lucidi, che maturano durante la stagione delle piogge (giugno-settembre). Questi, duri e molto resistenti, costituiscono la parte tossica della piante e possono essere aperti solo dopo scottatura in acqua bollente.
Fava del Calabar: come uccide
Attualmente, gli avvelenamenti da fava del Calabar, causati dall'Eserina (Fisostigmina) contenuta nei semi, sono solitamente accidentali.
Nel 1864, sessanta ragazzi di Liverpool si avvelenarono ingerendo i semi che trovarono su una nave proveniente dalla Guinea e solo uno riuscì a salvarsi.
I sintomi dell'intossicazione insorgono con dolorose coliche, diarrea e vomito, lacrimazione ed abbondante sudorazione. Seguono debolezza, dispnea e paralisi che dagli arti inferiori a quelli superiori. Sopraggiungono poi disturbi alla vista, causati dal rapido restringimento della pupilla, alterazioni della coscienza e la morte, che può sopraggiungere nel giro di un'ora, è causata da paralisi respiratoria e cardiaca.
La quantità di agenti tossici contenuti nel seme varia in base a diversi fattori tra cui periodo di raccolta e condizioni climatiche.
Non esistono "antidoti", l'unico è rimedio è l'eliminazione rapida dallo stomaco dei semi ingeriti attraverso emetici e la somministrazione di eccitanti.
L'eserina è raramente usata a scopo farmacologico: in veterinaria è utile per aumentare la salivazione e la motilità intestinale mentre in medicina per il trattamento del glaucoma e come calmante nella cura dell'epilessia e del tetano.
Fonti:
Storia dei veleni, di J. De Maleissye
www.erboristeriadelborgo.it
www.botanical.com
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