Ronald Opus, il suicida con salto ucciso dal padre
Una storia di incredibili coincidenze che ha fatto il giro del web ed è stata spesso citata e omaggiata in serial TV e film
Ronald Opus, deluso dalla vita e aspirante suicida, trova un giorno il coraggio di farla finita e si butta dall'ultimo piano del palazzo dove abita coi genitori.
Durante il suo viaggio verso l'asfalto, molti metri più in basso, passa davanti alla finestra della sala da pranzo di casa sua... e viene colpito in pieno da un proiettile esploso per errore da suo padre, che si trovava all'interno della stanza e stava minacciando sua moglie, uccidendolo sul colpo.
Quando Ronald si schianta a terra è già un cadavere.
Suicidio? Omicidio? Incidente?
Realtà? Fantasia? Pura invenzione?
Questo è quello di cui parleremo oggi in questo articolo su LaTelaNera.com: della leggenda metropolitana del suicida "con salto nel vuoto" ucciso dal proprio padre.
Buttati con noi nella lettura...
Un suicidio bizzarro
Un racconto di Luca Pagnini ispirato all'incredibile storia di Ronald Opus.
L’operatrice del 113 avvicinò il viso allo schermo, come se ciò la potesse aiutare a sentire meglio la sua interlocutrice.
«Mi ripeta l’indirizzo, signora, con calma», scandì con tono professionale.
«Via delle Magnolie dodici, settimo piano».
«Bene, mandiamo subito una pattuglia». Mentre col PC digitava la nota d’intervento per i colleghi della sala radio, la poliziotta chiese: «Da dove proveniva lo sparo?»
«Non lo sappiamo», la donna si allontanò dal telefono e gridò: «Gino, vogliono sapere da dov'è arrivato il rumore… Da sopra? Come da… Sì, sì, non t’arrabbiare», la voce tornò all’apparecchio, «Pronto?»
«Sì, mi dica».
«Mio marito dice dal piano di sopra», riferì, «ma io non ne sono convinta», concluse sottovoce.
«Chi abita sopra a voi, signora?»
«I Puso, una coppia perbene, ma tanto strana, sa...»
«Per il momento ci basta, grazie. Ora non uscite dall’appartamento e aprite solo agli agenti che vi contatteranno, va bene?»
«Va bene, ma fate presto».
La conversazione fu memorizzata dal sistema alle ore 20 e 01.
Il salotto aveva due grandi finestre affacciate su via delle Magnolie.
Aurelio chiuse il cassetto della libreria, si voltò e, tremando, puntò la pistola.
Sua moglie, fremente di rabbia, i capelli raccolti a coda di cavallo con un fermaglio d’oro, fissò la bocca nera della canna a tre metri da lei e deglutì.
Arrivati a quel punto si erano già gridati di tutto, non esisteva un’altra offesa che li potesse ferire, né una ragione che li potesse fermare.
Solo la pistola poteva decretare la fine della disputa.
Ed entrambi lo sapevano.
Nonostante la massiccia presenza di giornalisti e pubblico, l’aula due del tribunale era immersa nel silenzio.
Il presidente della corte, il giudice Sonni, spostò gli occhiali da vista sulla punta del naso e da sopra le lenti guardò per qualche secondo il testimone. Poi chiese: «Ispettore Mulini, lei deve essere più chiaro. Quindi, ci dica… in base alle sue indagini, l’odierno imputato ha ucciso la vittima, oppure no?»
Il poliziotto si schiarì la voce, avvicinò la bocca al microfono e guardando il Pubblico Ministero, sorridente al suo posto, rispose: «Sì…»
Dall'aula si alzò un brusio, interrotto bruscamente dalle successive parole del teste: «Ma anche no».
Qualcuno del collegio di difesa rise; dal pubblico si alzarono dei “ma”, “oh!”, “no-o?” che, assieme ai flash dei fotografi, formarono una cacofonia placata di netto da Sonni con un gesto.
Il rappresentante dell’accusa sembrava avesse ricevuto un avviso di sfratto.
«Ispettore», sospirò il giudice, «forse è meglio se iniziamo da capo. Cos’è successo il 23 marzo 2009?»
«Allora… Quando arrivai sul posto, al civico dodici di via delle Magnolie…»
Orlando aprì un cassetto della libreria e tirò fuori la pistola.
I debiti di gioco lo stavano soffocando, letteralmente. Con certa gente non si scherzava.
Doveva mettere le mani sul patrimonio di famiglia. Se sua madre fosse stata meno taccagna, tutto ciò non sarebbe stato necessario.
Per l’ennesima volta si asciugò sui jeans le mani sudate.
Dal cassetto estrasse la scatola con i proiettili, ne introdusse uno nel caricatore, quindi, facendo arretrare la culatta come gli aveva insegnato suo padre, inserì il colpo in canna, tolse la sicura e ripose la pistola al suo posto.
Quando arrivai sul posto, al civico dodici di via delle Magnolie, la vittima era stata da poco tirata giù da una rete di protezione montata al primo piano. La rete era ancora lì nonostante i lavori di ristrutturazione della facciata fossero terminati più di una settimana prima.
«Buongiorno ispettore», mi accolse il capo pattuglia della volante di zona. «Il corpo è sull’ambulanza, non c’è stato nulla da fare».
«Rottura del collo?»
«No, arma da fuoco».
«Cioè?» chiesi stupito.
«L'uomo ha la faccia devastata da un colpo che ha causato ciò che la rete forse avrebbe evitato».
Come avrebbe accertato la successiva autopsia, la vittima era stata attinta al volto da un proiettile calibro nove che l’aveva uccisa all’istante.
«E l’arma?»
«Nessuna traccia. Ci sono un biglietto di addio sul terrazzo a tetto e un testimone che dal palazzo di fronte ha visto l'uomo gettarsi da solo nel vuoto alle venti in punto – c'era la sigla del TG1, ha detto».
«L'identità?»
«Ancora nulla. Niente documenti e con il viso in quelle condizioni...»
Non ci restava che scoprire chi fosse lui e chi gli avesse sparato.
Prima di firmarlo, Orlando rilesse il foglio che certificava la sua disperazione.
Da sempre, quando litigavano, i suoi genitori ritrovavano la quiete temporanea solo nel momento in cui suo padre prendeva la Beretta calibro nove, scarica, la puntava contro la moglie e tirava il grilletto per completare quello che ormai era un rito.
Così Orlando aveva atteso: con sua madre morta e suo padre in galera, avrebbe finalmente ottenuto per sé tutta la loro ricchezza. In meno di tre giorni però, convintosi dell'inutilità del suo piano, era crollato.
Nelle mani dei suoi aguzzini, la morte sarebbe stata un lusso; meglio farla finita da solo.
Posò la penna sul foglio, cosicché il vento non lo facesse volare via e, ignaro della rete tesa nove piani più in basso, si buttò.
«Se ho ben capito quindi, Orlando Puso è stato ucciso con una pistola da lui stesso armata, ma il cui grilletto è stato tirato incidentalmente dal padre, Aurelio. È così?» chiese il giudice.
«Sì. I tempi corrispondono alla perfezione», precisò Mulini. «Orlando Puso si è gettato dal tetto del palazzo dove abitano i genitori, ed è passato davanti alla finestra del loro salone, proprio nel momento in cui Aurelio Puso, convinto che la sua pistola fosse come sempre scarica, sparava alla moglie, mancandola».
L'attenzione dei presenti era totale, nessuno fiatava. Quando il giudice riprese la parola, qualcuno sospirò. Accanto ai suoi avvocati, Aurelio Puso si lasciò scappare una lacrima.
«Bene, grazie... L'udienza è aggiornata all'11 novembre 2011», concluse Sonni. Mentre si allontanava, ai due colleghi della corte bisbigliò: «Non sarà affatto semplice giudicare per omicidio un uomo che ha ucciso il proprio figlio suicida».
La leggenda metropolitana del "suicida" Ronald Opus
Ronald Opus, dopo essersi gettato dall'ultimo piano del palazzo dove abitavano i suoi genitori, non morì per la caduta, bensì per il colpo di un'arma da fuoco da lui stesso caricata all'insaputa del padre che, improvvido, la usò contro la moglie, nonché madre del decedente, per impaurirla.
O almeno così si narra in questa leggenda metropolitana che presentiamo oggi su LaTelaNera.com.
Come attestato da diversi siti statunitensi, specializzati in urban legends, e da Wikipedia, la vicenda in cui è protagonista lo sfortunato Ronald circola nel mondo dal 1994. La sua diffusione si deve soprattutto a internet, dove tuttora appare in migliaia di pagine: inserendo "Ronald Opus" su Google si ottengono 709.000 risultati, di cui solo 9.900 in italiano.
Esistono diverse versioni, ma le più frequenti sono due, la seconda delle quali, ripresa dal portale dei Darwin Awards o dalla variante anglofona di Wikipedia, la si trova tradotta parola per parola su centinaia di siti e blog del nostro paese, compresa una pagina all'uopo dedicata su Facebook.
Riadattata in diverse serie televisive (tra le quali spiccano CSI Miami e Law & Order), nel 1999 una variante della leggenda ha avuto l'onore di essere inserita fra le tre storie costituenti il prologo di Magnolia, il film diretto e sceneggiato da Paul Thomas Anderson basato proprio sulla stranezza di certe casualità.
Di solito, soprattutto nelle mail usate per il passaparola, lo strano suicidio di Ronald viene dato come proveniente da un ex poliziotto, amico di un amico, che l’avrebbe raccontato a... etc. etc.
Nella versione imperante sui siti web invece, come pure nel film, la fonte primaria è molto più qualificata e autorevole.
In questi casi, infatti, la storia nascerebbe addirittura da un medico legale: il dottor Don Harper Mills (John Harper, in Magnolia) che, a una cena dell'Associazione Americana di Scienze Forensi (A.A.S.F.), avrebbe esposto ai colleghi l’autopsia da lui eseguita - il 23 marzo 1994 (1958, in Magnolia) nell'ambito di un "caso archiviato come suicidio" - sul corpo del povero Ronald Opus (Sidney Barringer nel film).
Come spesso accade, le leggende metropolitane una parte di verità ce l'hanno. In questo caso il dottor Mills è un medico realmente esistente e, in effetti, nel 1987 raccontò davvero la storia di Ronald Opus ai membri dell'A.A.S.F., ma solo per illustrare, con quel caso da lui totalmente inventato, un complicato intreccio carico di complicazioni legali.
La storiella di Opus, una volta lanciata dal dottor Mills, sembra aver attecchito principalmente per due motivi.
Il primo è legato al curioso svolgersi dei fatti che oltre alla morte, talmente rocambolesca da rasentare la fantascienza, comprende anche i ripetuti colpi di scena nelle indagini.
Il secondo invece rimanda al modo bizzarro con cui una sorta di implacabile giustizia ideale si coniuga al tema del suicidio, un po' come il caso di quel tipo licenziato che, preso pure lui dalla disperazione, si gettò dalla finestra precipitando proprio sulla testa del dirigente che l'aveva appena cacciato, uccidendolo sul colpo e...
Come? Non hai mai sentito questa incredibile storia? Davvero?
Allora, mi ha raccontato un amico di mio fratello, che il cognato di un suo collega...
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