Il maiale incantato che non voleva morire
Non importa quanto gravemente lo ferirai, quel maiale non vuole morire e non morirà: è leggenda!
L'hai mai sentita la storia di quel maiale da macellare che, nonostante tutte le gravi ferite subite, proprio non ne voleva sapere di morire?
Se l'hai sentita hai fatto la conoscenza con la leggenda metropolitana del maiale incantato.
Nella versione qui riportata, il mito del maiale "immortale" è mediamente diffuso nelle campagne della Valdinievole, e alcuni arrivano a collocare con precisione il luogo degli avvenimenti nella frazione di Cintolese del Comune di Monsummano Terme.
Tuttavia non è da escludere che storie simili siano rintracciabili nelle altre zone ex-rurali d'Italia, dove l'urbanizzazione del contesto contadino prevalente fino alla metà del secolo scorso può aver favorito lo sviluppo di leggende di questo tipo.
Andrea Viscusi ha documentato a dovere questa storia "da brividi", dedicando a essa anche un racconto: noi di LaTelaNera.com siamo ben felici di farvi leggere entrambi i suoi interventi.
Il maiale incantato
un racconto di Andrea Viscusi ispirato alla leggenda metropolitana del maiale che non vuole morire
Ai tempi dei nonni, il maiale non era solo una delle possibili alternative alla bistecchina o ai bastoncini di merluzzo. In tutte le case un maiale veniva allevato e cresciuto ogni anno, e avrebbe sfamato la famiglia per tutto l'anno successivo. Per questo, quando veniva il momento di ammazzarlo, era un'occasione gioiosa ma solenne, un evento al quale non solo i familiari, ma anche i vicini e gli amici partecipavano, aiutando nel lungo processo che precedeva e seguiva l'uccisione della bestia.
Così, quando una settimana prima del grande giorno Gino, padre di famiglia, grande lavoratore e onesto contadino, invitò dopo cena i suoi compagni per decidere come organizzare i lavori, si sentì quasi sfidato a sentire le millanterie del Vanni, forse dovute a qualche bicchierino di troppo che il vicino di casa si era concesso a casa dell'ospite. - Guarda che se io non voglio, te il maiale non l'ammazzi!
Per Gino era intollerabile farsi sminuire in quel modo. Lui non sarebbe stato in grado di ammazzare il suo maiale? Nonostante le richieste il Vanni non volle dire come gli avrebbe impedito di uccidere l'animale, ma continuò a ripetergli che non ci sarebbe riuscito. Alla fine, esasperato per l'onore ferito e incitato dai compagni alticci, Gino lanciò il suo ultimatum: - E allora provaci! Tra una settimana io ammazzo il maiale, e vediamo se te riesci a fermarmi!
I due contendenti non si videro più per i giorni seguenti, ma il Vanni si presentò la mattina stabilita, gironzolando nei pressi del casale del vicino, soffermandosi nell'aia e osservando lo stalluccio dove il suino consumava la sua ultima colazione. Non parlò con nessuno, limitandosi a camminare e guardare.
Il Vanni era ancora nei pressi, quando Gino in persona prese il lungo spillone che aveva sempre usato per quell'operazione, mentre altri tenevano ferma la bestia. Con decisione e precisione, piantò lo spillo nel costato della vittima, andando a cercare il cuore. Il maiale lanciò un grugnito più di sorpresa che di dolore, come se gli avessero dato una manata sul groppone. Dalla ferita iniziò a scorrere abbondante il sangue, segno che probabilmente Gino aveva centrato il cuore, e che l'animale sarebbe morto a breve.
Ma il maiale non morì.
Era imbarazzante, in quella situazione, ma a volte capitava. Bastava sbagliare di un paio di centimetri, e lo spillo non andava a perforare niente di vitale. Era strano, certo, che il porco non si dimenasse e strillasse per quella ferita da cui continuava a scorrere un sangue denso e scuro. Gino chiese agli assistenti dalle mani imbrattate di rosso di afferrare di nuovo il maiale e tenerlo fermo. Puntò ancora lo spillo, cercando di prendere la mira con più precisione, e lo infilò di nuovo.
Altro sangue e un altro grido indispettito. Ma per il resto la bestia sembrava a suo agio.
Fu allora che Gino iniziò a dubitare davvero. Alzò lo sguardo a cercare il Vanni... e non lo trovò. Il vicino di casa era andato via, forse contento di quello che aveva già visto.
Ma a lui rimaneva ancora un maiale da ammazzare. Chiese ad altri di sostituire quelli che avevano tenuto fermo l'animale, che adesso avevano le mani e i vestiti tanto scivolosi per il sangue da non poter fare presa. La terza stoccata dello spillo produsse lo stesso risultato.
Sconcertato, Gino si allontanò in cerca di altri strumenti, non volendo ammettere che il Vanni aveva vinto.
Quando ritornò con il fucile, il maiale era a terra, e ancora sanguinante, grufolava sereno nel suo pastone. Il padrone di casa ordinò che lo prendessero di nuovo. Poi puntò la canna al centro della fronte del suino, poco sopra gli occhi. Sparò, e i due aiutanti sobbalzarono per il colpo. Il proiettile era per forza arrivato al cervello. Ma il maiale, di nuovo libero, tornò al trogolo con un buco in testa.
Passò tutta la mattina prima che Gino, ormai sconfitto, si recasse dal vicino di casa. Ammise che nessuno metodo aveva funzionato, che nonostante spilli, fucili, coltelli e accette l'animale non era morto, anzi se la passava piuttosto bene. Chiese al Vanni di mettere fine a quella tortura.
Il Vanni lo riaccompagnò a casa, ma non si avvicinò nemmeno al maiale. Si fermò invece sotto il grande nocio nell'aia, lì dove si era già fermato quella mattina, non visto da nessuno. Sul terreno, all'ombra dell'imponente albero, era disegnata una croce, e all'incrocio dei bracci era piantato un coltello.
Il Vanni si abbassò, bisbigliando qualcosa, e sfilò la lama dalla terra.
Nello stesso istante, dallo stalluccio si sentì arrivare un acuto grugnito, seguito da un tonfo.
Gino corse a guardare, sapendo già cosa avrebbe trovato. Il maiale era crollato a terra, infine morto. Diede disposizioni affinché si cominciasse subito a dissanguarlo... anche se gliene doveva essere rimasto poco, di sangue.
Il Vanni, con il coltello ancora in mano, lo guardò con aria soddisfatta. E quando tornò verso casa sua, Gino rimase a fissarlo, pensando che se dalla vita dei maiali dipendeva la prosperità di tutti loro, forse erano sempre esistite persone speciali in grado di controllarli, e garantire coi loro sortilegi che il giusto maiale morisse sempre nel giusto periodo per la giusta famiglia.
La leggenda metropolitana del Maiale Incantato
Quando si parla di leggende metropolitane, non bisogna lasciarsi ingannare dalla seconda parola. "Metropolitano" in questo caso non significa "cittadino" o "urbano", ma si riferisce all'origine e alle modalità di diffusione della storia, che trova il suo ambiente nella cultura popolare post-industriale. Per questo, anche una storia come quella del maiale incantato, che si svolge lontano dalle città, può essere considerata leggenda metropolitatana, come d'altra parte lo sono molte altre in cui gli eventi si svolgono, per esempio, in lontani paesi esotici (o come quella tutta italiana del Tirasciatu che vi abbiamo già presentato sulle pagine di LaTelaNera.com).
Il racconto del maiale incantato presenta molti connotati tipici delle leggende metropolitane.
Innanzitutto i termini vaghi in cui si colloca. Quando viene riferita, di solito chi narra sostiene che gli eventi siano accaduti ai suoi parenti di una o due generazioni prima: zii e nonni, o più frequentemente prozii di vario grado. In questo modo "l'amico dell'amico" appare più credibile, in quanto parente del narratore, ma al tempo stesso appartiene a un'epoca differente, quella "dei nonni", le cui caratteristiche si riducono spesso agli stereotipi nella mente del pubblico. Non ci sono molti elementi chiari, per un cittadino contemporaneo, di quella che era la vita rurale di quei tempi, e questo contribuisce a creare un effetto di straniamento che porta a credere anche a vicende misteriose, come si farebbe appunto pensando a un lontano paese esotico.
La componente misteriosa della storia, come molte leggende metropolitane, arriva a implicare l'esistenza di poteri oscuri e inaccessibili ai più, e le modalità con cui il "sortilegio" viene eseguito (la croce sul terreno con il coltello piantato al centro) richiama quelli che il pubblico considera rituali propri del satanismo o comunque della magia nera.
In questo caso non si ha anche una spiegazione razionale degli eventi, che confuta quanto viene fatto credere nel corso del racconto, ma volendo ricavare le possibili origini del mito, si possono trovare in una plausibile uccisione del maiale andata male, come capita spesso anche oggi con le tecniche più moderne e automatizzate.
Nel caso di un suino particolarmente resistente (o di un mattatore particolarmente imbranato) è possibile che l'idea di un incantesimo che rendesse l'animale immortale abbia col tempo sostituito la verità dei fatti.
La figura dell'incantatore è invece un classico esempio dell'insospettabile dotato di poteri occulti, che in questo caso è addirittura il vicino di casa (o di casale) del protagonista.
In alcune versioni più approfondite del mito, l'incantatore presenta alcuni dettagli che accrescono il suo personaggio: viene presentato come il figlio di una nota fattucchiera, o come individuo schivo e dalle occupazioni sconosciute. La leggenda non fornisce dettagli precisi su come il sortilegio sia effettuato, limitandosi a riferirne la rimozione, e in questo modo evita di citare le arti magiche che l'incanto dei maiali prevede.
Per quanto riguarda il suino protagonsita (suo malgrado) della leggenda, non è certo il primo animale coinvolto in una storia tanto incredibile. Numerose leggende metropolitane, infatti, si basano proprio sull'esistenza di animali strani e irriconoscibili, sui loro imprevedibili comportamenti e macabre attitudini.
Tra gli animali resi forzatamente immortali, la leggenda metropolitana più celebre è quella del pollo decapitato sopravvissuto per molte settimane, nutrito con l'iniezione di cibo nell'esofago aperto.
Ma il maiale immortale, al di là dei particolari raccapriccianti relativi alla sua tentata uccisione, può anche assumere un significato simbolico. Come espressione del folklore contemporaneo, spesso le leggende metropolitane racchiudono una morale, che può essere solo un generico avvertimento contro l'ingenuità (come nel celebre caso dell'assassino del sedile posteriore), quanto un insegnamento più profondo.
Nella storia del maiale incantato si possono scorgere, in una forma seppur primitiva, i riferimenti a un sistema di valori ormai perduto e forse rimpianto, nel quale ogni membro della comunità svolgeva un ruolo importante per la prosperità di tutti. Il maiale, da sempre simbolo di abbondanza (tanto da essere il depositario dei vostri spiccioli in eccesso!) interpreta quindi il ruolo centrale in una storia che dimostra come benessere e serenità possono essere raggiunti solo con la collaborazione (manuale o magica che sia) di tutti.
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