Il Camerino della Morte dove entri e sparisci per sempre
Quando entrare in un camerino per provare un vestito significa scomparire nel nulla per sempre...
La leggenda metropolitana che ti presentiamo oggi è diffusa in tutto il mondo, e ha avuto il suo "periodo d'oro" in Italia nel corso degli anni '80. Si tratta di una storia (e relative versioni alternative) che dovrebbe spaventare - e non poco - tutte le donne che adorano lo shopping e amano passare intere giornate tra un negozio e l'altro a provarsi capi d'abbigliamento.
Ma forse tutto questo altro non è che una leggenda messa in giro da uomini estremamente preoccupati per la salute del loro portafoglio, dissanguato da mogli, fidanzate e figlie colpite dalla shopping mania!
Leggenda metropolitane: il camerino delle sparizioni
Una coppia di facoltosi turisti giapponesi si trova in luna di miele a Parigi.
Le loro giornate trascorrono tra visite a monumenti e musei, ma la giovane sposa sembra prediligere in particolare un'altra occupazione: lo shopping. Munita della carta di credito del marito, saccheggia boutique e negozietti della ville lumiére, estasiata dalla varietà e dalla peculiarità di vestiti e accessori che solo la capitale francese può offrire.
Un pomeriggio la ragazza si trattiene più del solito in una boutique del centro. Il marito, conoscendone la quasi morbosa ossessione per la moda, decide di non aspettarla, e di fare qualche commissione per conto suo.
Al suo ritorno nel negozio, della moglie si sono perse le tracce.
Dapprima l'uomo pensa che la moglie, non trovandolo ad aspettarla nella boutique, si sia recata per conto proprio in albergo. Ma quando al suo rientro, la reception lo informa che la donna non è mai rientrata, la sorpresa si trasforma in sgomento.
Il marito, in preda al panico, chiama la polizia, la boutique, e tutti gli ospedali di Parigi.
Non c'è traccia della moglie da nessuna parte.
La polizia fa il possibile, ma dopo tre lunghe settimane di infruttuose ricerche, non si è ancora trovato il più piccolo indizio che possa far capire cosa sia successo alla donna. Disperato e senza quasi più speranza, il marito torna in Giappone.
Cinque anni dopo, l'uomo ha quasi superato il trauma della scomparsa della moglie ed è quasi riuscito a rifarsi una vita. È proprio allora che riceve una telefonata di un amico, di ritorno da un viaggio nelle Filippine. Racconta di aver visitato una specie di raffazzonato luna park, alla periferia di Manila, dove tra le attrazioni principali figurava una sorta di circo degli scherzi della natura.
Tra i fenomeni da baraccone che vi facevano bella mostra di se, il viaggiatore avrebbe riconosciuto la moglie dell'amico, a cui erano state amputate braccia e gambe, trasformandola in un bizzarro "freak".
L'indagine che ne deriva rivela l'agghiacciante soluzione del mistero.
La donna era stata rapita attraverso una botola nel pavimento del camerino della boutique, i cui proprietari erano in combutta con trafficanti di esseri umani senza scrupoli.
Altre versioni della leggenda metropolitana del camerino
Altre versioni della leggenda, oltre a variare il paese di origine della coppia e quello dove avviene il rapimento, prevedono diverse destinazioni per la sfortunata vittima, altrettanto atroci.
Per esempio, la donna può finire nel giro della tratta delle schiave bianche, destinate agli harem dei facoltosi sceicchi arabi.
Oppure, più crudelmente, diventare materia prima per il remunerativo traffico di organi.
In questo caso, il confine con la nota leggenda del "rene rubato" è molto labile.
In ogni caso, gli elementi comuni sono la componente xenofobica (il rapimento e il paese di destinazione sono sempre diversi rispetto alla nazionalità dei protagonisti), spesso indicativa della cultura di origine (nell'esempio dei turisti giapponesi, la donna viene ritrovata nelle Filippine, paese nemico del Giappone in più di una guerra) e l'aspetto di "orrore quotidiano" che eleva il grado di attenzione dell'ascoltatore (i protagonisti si trovano invischiati in una vicenda terrificante durante una banalissima attività quotidiana come lo shopping).
La leggenda del camerino maledetto in Italia
La leggenda è stata all'origine di un curioso episodio di marketing virale ante litteram.
Verso la metà degli anni '80, a Roma si diffonde la voce che un negozio di abbigliamento di Roma sia al centro di misteriose sparizioni. Una cliente del Babilonia, boutique del centro della capitale, sarebbe stata ritrovata in un camerino legata, imbavagliata e narcotizzata, pronta per essere trasportata verso una tanto ignota quanto presumibilmente macabra destinazione.
Massimo Di Porto, responsabile del punto vendita, spiegò come avesse fatto uso delle voci che si diffondevano a Roma per aumentare le vendite del negozio, grazie a una trovata di marketing incentrata sulla morbosa curiosità delle adolescenti per la leggenda in questione.
"Tre anni fa ci siamo divertiti a prendere in giro la nostra clientela" racconta Di Porto. "Girava la voce che dentro ad alcuni negozi di abbigliamento di Roma [...] veniva effettuata la tratta delle bianche. Le ragazze che entravano non uscivano più dal negozio. [...] e la storia si è concretizzata quando un giorno abbiamo fatto una vetrina orientale con un manichino che usciva fuori dalla botola e un arabo con un'ascia in mano [...] le mamme delle ragazze [...] non volevano mandare le loro figlie a comprare nel nostro negozio. E proprio per questo invece loro hanno reagito al contrario. La curiosità le ha fatte entrare di più e le ha fatte comprare di più. Tuttora i nostri clienti ci domandano se era vero o no che c'è stata la tratta delle bianche. Ma qui è una cosa che non è mai avvenuta."
Nonostante questa dichiarazione, vi fu chi, durante una trasmissione della Rai sulle leggende metropolitane, telefonò in diretta per sostenere che le voci sul Babilonia fossero in realtà fondate, millantando una parentela con un non meglio identificato maresciallo che sarebbe stato incaricato di indagare sul negozio.
Ma qui, come spesso accade, i contorni della realtà tornano a sfumare nella leggenda.
Il Racconto: Pret-a-porter
un racconto di G.B. Shock ispirato alla leggenda metropolitana del camerino delle sparizioni
Hiromi sente i lacci penetrarle nelle carni. Il dolore è atroce, ma deve cercare di liberarsi. Altre ai polsi le fanno male la testa e il fondoschiena, più altri dieci o dodici punti. Non riesce a capire bene, la caduta è stata lunga e violenta.
Deve aver perso i sensi per chissà quanto, perché appena dopo la caduta sentiva di potersi muovere, Poi aveva visto tutto farsi buio intorno a lei. Una volta riavutasi, aveva capito di non potersi più muovere, i polsi e le caviglie immobilizzati.
Il fruscio della stoffa le ricorda ironicamente l'ultimo ricordo prima che la terra le mancasse sotto i piedi. Ti sta benissimo, le aveva detto la commessa. Poi, neanche il tempo di rimettere il suo vestito, il dolore, e l'oscurità.
Sente un rumore provenire da dietro le spalle. Una porta si apre. Passi lenti e minacciosi riecheggiano nella stanza.
Gli occhi di Hiromi non si sono ancora abituati all'oscurità. Tanto più che all'improvviso un fascio di luce accecante la costringe a chiuderli.
Una torcia, Puntata contro di lei. Fra le fessure delle palpebre Hiromi vede il cerchio di luce soffermarsi su di lei, sul vestito bianco, sul seno, sulle gambe affusolate.
Una voce gracchiante rompe il silenzio.
"Chantal ha ragione. Ti sta benissimo".
"Signor Asakawa, lei capisce che non possiamo fare niente..."
"Ma voi dovete aiutarmi! Io.. io non so più a chi rivolgermi."
"Faccia una cosa, signor Asakawa. Ora noi le chiamiamo un taxi, e lei se ne torna in albergo. Scommetto che sua moglie è già la ad aspettarla."
L'orientale affonda il viso tra le mani.
"Voi... voi non capite. Io e Hiromi ci conosciamo da quando siamo nati. Non è da lei una cosa del genere. Non ci siamo mai allontanati senza che l'uno sapesse cosa stava facendo l'altra, figuriamoci ora che siamo sposati..."
"Signor Asakawa, non voglio mancarle di rispetto. Ma qui siamo a Parigi. Lei non ha idea di quante coppie subiscano il fascino di questa città, a come scoprano lati della loro vita e passioni che neppure sospettavano di avere. Sua moglie sarà in qualche bistrot a fotografare arredamenti, senza essersi resa conto del tempo che passava."
"Ma il negozio? Perché non manda qualcuno a controllare..." continua l'uomo, sempre più agitato.
"Glielo ripeto. Ho già mandato due uomini a controllare. Ci sono due testimoni, le due commesse, che hanno affermato di aver visto la signora uscire dalla boutique non più di venti minuti dopo che lei l'aveva lasciata lì a provare i vestiti. Purtroppo non ha acquistato niente, altrimenti avremmo anche l'ora esatta del pagamento tramite la verifica della carta di credito."
"Non è possibile. Deve esserle successo qualcosa. Io..."
"Lei deve avere fiducia nella polizia, signor Asakawa. La foto di sua moglie è già sulle scrivanie delle centrali di mezza Parigi. Se entro stasera non dovesse essere tornata, ce lo faccia sapere, e partiremo con le ricerche. D'accordo?"
L'orientale assume un'espressione tra lo sconfitto e il rassegnato. Senza dire una parola si alza e si avvia verso la porta, dove un agente è pronto ad accompagnarlo fuori.
Il commissario scrolla le spalle, e riprende a battere a macchina il rapporto. Maledetto il muso giallo e la sua insistenza. Se dovessi andare a cercare ogni turista che si perde sulla rive gauche, non basterebbe una giornata da quaranta ore, pensa.
Lo sente trascinare qualcosa. Un rumore lento, strascicato, che proviene dal pavimento, e che la fa rabbrividire fin dentro il midollo spinale. Poi un colpo, come una fucilata. L'uomo ha raccolto l'oggetto da terra e lo ha sbattuto con violenza sul tavolo.
Una valigia.
È una valigia vecchia, di cuoio. con un colpo dei pollici l'uomo fa scattare le aperture. Le vecchie cerniere, forse d'ottone, cigolano sinistre.
Gira la valigia a mostrare l'interno alla ragazza. È vuota, fatta eccezione per una bottiglietta piena di liquido trasparente fissata in un angolo, e un tubicino che fuoriesce dal tappo.
"Questa è per te," dice l'uomo. "No, non preoccuparti. Non devi metterci dentro niente. La preparo io per te."
Così dicendo, apre un cassetto e ne trae un involto di tela verde. Lo svolge sul tavolo, a rivelare un tintinnante assortimento di strumenti chirurgici. La pressione di un pulsante, e con un ronzio Hiromi si sente rovesciare in posizione orizzontale, assieme al tavolo su cui è immobilizzata.
Quando vede l'uomo avvicinarsi a lei con dei lacci emostatici nelle mani, comincia a urlare. Ma non può fare altro.
"Calmati," insiste l'uomo, mentre lega i lacci attorno alle braccia e alle cosce della ragazza. "Te l'ho detto, la valigia è per te. Ma non pretenderai di entrarci così, vero? Dobbiamo renderti un po' più, come dire... tascabile, ecco."
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