Imola 1994: il Gran Premio maledetto nella stagione maledetta

La storia del Gran Premio di San Marino del 1994, l'evento in cui morirono Ayrton Senna e Roland Ratzenberger

Se la Formula 1 fosse un libro sarebbe uno di quei vecchi volumi, fatto di pergamene ingiallite, nascosto in una biblioteca polverosa. Pagine su pagine scritte sull'artificio della memoria per rievocare imprese sfumate nel ricordo dei saggi, ma cristallizzate nella poesia della parola.

Manovre impossibili, vittorie commoventi e successi capaci di entusiasmare interi paesi facendo del pilota una metafora, un simbolo che sconfina oltre le competizioni, un eroe dalla valenza filosofica, una leggenda. Emozioni forti, figlie inconsapevoli dell'altra faccia della medaglia di uno sport duro e pericoloso.

Una faccia cupa, triste, rappresentata da pagine che imbrigliano la gioia sotto il mantello del dramma, della tragedia, autentiche divoratrici dei sorrisi aperti sui volti sognanti dei tifosi. Eventi tanto irreparabili da tramutare il coraggio, la perseveranza e la dedizione di questi uomini in qualcosa di unico, inimitabile e al contempo didattico.

Quanti piloti hanno pagato il tributo più caro di tutti per rincorrere il sogno della loro vita. Emblematica l'intervista rilasciata da Juan Manuel Fangio in ricordo del Gran Premio di Monza del '68: "Gran bella gara. Non è morto nessuno."

Perché accettare simili rischi allora, specie se si considera la vita agiata di molti piloti? L'automobilismo (ma anche la vita) è forse uno sport che richiede degli attori pazzi o degli esaltati inconsapevoli?
No, niente di tutto questo.

Non si tratta di pazzia o di superficialità, ma di passione.
Un pilota, come pochi altri atleti, è una creatura pura, cristallina, libera da ipocrisie e falsità, poiché la velocità è un'attività che non ammette compromessi e impone un miglioramento continuo, questione di decimi. Il rischio è il compagno di avventura più costante di una vita vissuta al massimo ed è inevitabile che sia così.

I sogni, per definizione, esistono proprio perché sono resi tali dagli ostacoli disseminati lungo il percorso. Se tutto fosse piano e dovuto come si potrebbe parlare di sogni? Non esistono sogni che si possano concretizzare senza accettazione di un qualche rischio.

E così, a volte, il sogno diviene fantastica realtà mentre altre, purtroppo, evapora in chimera contro una pila di gomme o contro un muro o ancora contro gli scarichi di un avversario. O si accetta questo o si resta a casa. Il campione di rally Alen diceva: "Non è importante fare il 99% ma il 110%. Se un pilota fai il 99% arriva decimo o undicesimo, e non vince mai. Se attacca al massimo invece vince oppure fa un incidente. Questo è il modo giusto di leggere questo sport per un giovane alle prime gare. Oggi è difficile farlo, perché la macchina costa molto e tutti dicono di andare piano, ma se un pilota accetta questo è meglio che non faccia le gare internazionali: o si tira o si resta a casa".

Dunque non esistono mezze misure, non si può gareggiare senza puntare al massimo delle possibilità. Correre (vivere) significa inseguire un sogno e i sogni non accettano compromessi, fuggono più veloci dei pensieri e richiedono prontezza, dedizione e buona dose di fortuna.

Ayrton Senna era solito dire: "Se una persona non ha più sogni non ha più alcuna ragione di vivere. Sognare è necessario, anche se nel sogno va intravista la realtà, per me è uno dei principi della vita."

Ed ecco che gli incidenti assumono un valore diverso da quello che un comune mortale potrebbe immaginare. Non sono demoni da esorcizzare rifiutando la lotta, né freni con cui strozzare l'ardimento, ma imprevisti da cui imparare a migliorare e da studiare alla stregua di lezioni finalizzate a migliorare la sicurezza in pista senza rinunciare alla competitività.

L'evento che sto per raccontare, purtroppo a carissimo prezzo, ha determinato tutta una serie di interventi che hanno reso le corse di Formula 1 più sicure. È proprio per quest'ultimo fine che ci troviamo qui a discutere sui fatti di quel tremendo fine settimana del 1994: il week-end del Gran Premio di Imola dal 29 aprile all'1 maggio.


GP di Imola, una catastrofe annunciata: le nuove regole della stagione 1994

La stagione di F1 targata 1994 si apre con una serie di modifiche volte ad arginare lo strapotere della scuderia Williams, reduce da un 1993 fatto di dieci vittorie su sedici GP e dalla conquista del titolo mondiale con Alain Prost.

"Il professore", così soprannominato per la sua abitudine ad amministrare le corse piuttosto che a imprimere ritmi indiavolati, si è ritirato e ha lasciato il volante al suo rivale di sempre: il brasiliano Ayrton Senna, strappato alla McLaren. Senna è stato l'unico a contrastare lo strapotere Williams aggiudicandosi i sei gran premi lasciati dagli scatenati avversari nel corso della stagione 1993. Il connubio Senna-Williams appare quindi come un'accoppiata imbattibile, se non fosse per le modifiche volute dalla Federazione che vanno a scompigliare i pronostici.

I cambiamenti vengono giustificati come necessari per ridurre le velocità dei veicoli, ormai giunti a potenze e ad accelerazioni spaventose, e dunque quali accorgimenti finalizzati a garantire la sicurezza. A tal fine si decide inoltre di introdurre delle ruote più piccole, rispetto a quelle utilizzate in precedenza, facendo leva su uno studio (si rivelerà fallimentare) che ha indicato tale via quale rimedio utile a contenere le velocità.

La principale novità del 1994 è l'eliminazione delle sospensioni attive, dispositivo in cui, guarda caso, la Williams eccelleva. Le sospensioni attive garantivano al pilota un miglior controllo dell'autovettura, andando ad agire automaticamente sul pneumatico in modo da garantirne un'aderenza ottimale. In sostanza erano caratterizzate da una componente elettronica che si azionava per rimediare alle asperità dell'asfalto evitando sbalzi e permettendo al pneumatico di adeguarsi alla conformazione del manto stradale.

La volontà di sfavorire la Williams, rendendola "più terrestre" per la concorrenza, emerge anche da altre regole tese a vietare ulteriori componenti elettroniche quali i controlli di trazione e i freni speciali di cui la Williams si era fatta pioniera.

Il nuovo pacchetto di regole voluto dalla Federazione, senza chiedere alcun pareri ai piloti e alle squadre, raggiunge l'obiettivo di penalizzare la scuderia inglese, ma a caro prezzo. Gli ingegneri progettano monoposto dal fondo rigido, che mantengono la velocità degli anni passati ma si rivelano estremamente sensibili alle asperità. La conseguenza inevitabile è quella di portare in pista vetture molto nervose, incapaci di adeguarsi ai difetti dell'asfalto con tanto di "effetto salto" e relativa difficoltà dei piloti nel mantenere il controllo del mezzo.

Proprio i piloti sono gli unici a evidenziare il problema, ma la Federazione non ha orecchie per loro. Ciò che conta è lo spettacolo e le nuove regole lo garantiscono di certo con aumento di incidenti e velocità inalterate, ai piloti non è concessa replica.

Per rendere più emozionanti i GP, si decide inoltre di rintrodurre i rifornimenti di benzina ai box (dopo anni di assenza perché giudicati pericolosi), scelta anche questa che determinerà episodi altamente drammatici nel corso dell'annata.

Nessuno, piloti a parte, sembra rendersi conto del perverso meccanismo che si è innescato. Tutti fanno notare che negli ultimi anni non si sono verificati incidenti importanti e che dunque la sicurezza è più che garantita. In effetti l'ultimo pilota a perdere la vita nel circus della F1 era stato Elio De Angelis, nel lontano 1986 nel corso di una sessione di prove private sul circuito Paul Ricard a Le Castellet (Francia), a causa della mala organizzazione del circuito attribuibile - ancora una volta - alle insufficienti norme dettate dalla Federazione (all'epoca non era previsto, in caso di test privati, l'obbligo di adozione da parte degli autodromi delle misure di sicurezza adottate per i GP, in particolare l'adeguata collocazione dei soccorritori e dei mezzi di soccorso dislocati sul tracciato).

La Federazione fa leva su questi fatti, pavoneggiando conquiste mai raggiunte in tema di sicurezza, senza rendersi conto del ruolo giocato dalla fortuna in una serie di incidenti agghiaccianti.

Vi erano stati infatti almeno quattro paurosi incidenti dopo il 1986.

Il più crudo di tutti era occorso, nel 1990, al nord-irlandese Martin Donnelly nel corso delle prove del gran premio di Spagna. Alla guida di una Lotus, Donnelly si era schiantato a 270 km/h su un muretto, disintegrando l'anteriore dell'autovettura e finendo sbalzato con il sedile in mezzo alla pista. L'incidente fu una palese dimostrazione della fragilità delle cellule di sicurezza (qualcosa del genere, seppur di minor entità, si ripeterà più volte nel corso della stagione 1994). Le immagini che fecero il giro del mondo furono orribili. Il povero Donnelly, incosciente e col casco reclinato sull'asfalto, fu inquadrato, evitato dai concorrenti, esanime a terra con gli arti piegati in modo scomposto. Dopo un mese e mezzo di coma, ebbe la fortuna di riprendersi terminando però la carriera a causa delle importanti lesioni subite.

Andò peggio al francese Philippe Streiff che, in un test privato sulla pista di Jacarepagua (Brasile), in attesa dell'inizio della stagione 1989, perse il controllo della sua AGS sbattendo violentemente e riportando gravi danni alla colonna vertebrale tanto da restare paralizzato dalla vita in giù.

Gli altri due incidenti scioccanti si verificarono a Imola, proprio alla curva Tamburello in cui perderà la vita Ayrton Senna.

Il primo, durante le prove del 1987, vide protagonista il brasiliano Nelson Piquet che se la cavò con uno spavento talmente grosso da dichiarare, qualche mese dopo, di aver patito di gravi problemi di insonnia per interi mesi.

Il secondo, invece, vide uscire di strada a 280 km/h, per un cedimento strutturale della sua Ferrari, Gerhard Berger. Anche in questo caso l'urto fu tremendo e fu reso ancor più drammatico dalle fiamme che avvolsero la Ferrari, mentre il pilota, privo di coscienza e con una costola fratturata, rimase intrappolato in macchina. Per fortuna, a differenza di quanto avvenne per il povero De Angelis (che morì per l'inalazione dei fumi), il tempestivo intervento dei commissari evitò la tragedia.

Tali avvisaglie, senz'altro sconcertanti, non vengono percepite quali minacce e le morti di Gilles Villeneuve e di Riccardo Paletti datate 1982 appaiono lontane, quasi appartenenti a un'altra realtà.

Sottovalutare simili aspetti si rivelerà un errore gravissimo. Il 1994, così come il 1982, sarà una stagione nera specie nella sua prima parte di stagione. La morte sarà spettatrice costante dei gran premi, pronta a scendere in pista per decidere le sorti dei piloti, dei meccanici e persino dei tifosi assiepati sulle tribune.


Formula 1 anno 1994: prime avvisaglie di una stagione maledetta

La nuova stagione parte male fin dall'inizio. A gennaio, il nuovo compagno di squadra di Michael Schumacher, l'ottimo finlandese J.J. Lehto, alla sua prima vera occasione dopo cinque anni alla guida di vetture poco competitive e con un podio ottenuto nel 1991 alla guida della modesta Dallara, si schianta in un muro durante un test privato a Silverstone, riportando importanti danni alle vertebre e alla cervicale che lo terranno bloccato per due gran premi.

Rientrerà proprio in occasione del gran premio maledetto di Imola, ma non sarà più lo stesso, perseguitato dai dolori e dai problemi al collo. Si ritirerà dalla Formula 1 a fine stagione, saltando spesso i gran premi a causa dell'improvvisa scarsa competitività attribuibile sia ai problemi fisici, sia, forse, alla morte vista in faccia sul tracciato britannico. Vincerà due volte la 24 Ore di Le Mans (nel 1995 e nel 2005), ma non gareggerà più in competizioni "a ruote scoperte".

Pochi mesi dopo il terribile schianto di Lehto, tocca al francese della Ferrari Jean Alesì. Anch'egli, durante un test privato, questa volta al Mugello, finisce contro un muro e riporta una lesione alla schiena che lo mette K.O. per due gran premi. L'infortunio, pur importante, è meno grave di quello del collega finlandese e così il transalpino potrà riprendere brillantemente la propria carriera dopo lo stop forzato.

Nonostante le temibili avvisaglie si corrono senza grossi problemi i gran premi del Brasile e del Pacifico (in Giappone). Al termine della prova sul circuito carioca, però, Senna rilascia un'intervista dal sapore profetico: "Guidare le monoposto senza sospensioni attive non solo è più difficile e faticoso, ma anche più pericoloso. Sono macchine molto veloci, sarà una stagione micidiale e sarà solo fortuna se qualcuno non si ammazzerà".

La dichiarazione viene presa come provocatoria dalla Federazione e così, a fine aprile, si arriva nel veloce autodromo di Imola dove succederà di tutto e di più e dove si toccherà il fondo degli ultimi vent'anni di Formula 1.


Imola 1994, il Gran Premio dell'Orrore: le Prove Libere di Venerdì 29 aprile

I gran premi di Formula 1 si articolano in tre giorni.
Il venerdì è il giorno delle prove libere, la sessione in cui piloti e squadre cercano, senza avere l'assillo dei tempo e della competitività, gli assetti migliori per ottenere il massimo dalle loro autovetture nei due giorni successivi.

Il primo di questi, il sabato, è il giorno delle qualifiche. Nell'arco di un'ora cronometrata, i piloti devono correre contro il tempo per realizzare il loro giro più veloce e ottenere, in base al tempo ottenuto, la migliore posizione in griglia di partenza.

La domenica, infine, è il giorno in cui si tiene la gara vera e propria e dove i concorrenti dovranno misurarsi ruota contro ruota su un totale di giri variabile a seconda della lunghezza dei tracciati.

Venerdi 29 aprile 1994 si tengono le prove libere del gran premio di San Marino. È una giornata ventosa e molti piloti avvertono questo fastidio. Tra i piloti a scendere in pista c'è il non ancora ventiduenne brasiliano Rubens Barrichello. È un pilota molto promettente, alla sua seconda stagione nel circus ma già altamente competitivo. Viene da un quarto e un terzo posto nei primi due gran premi della stagione oltre che a una serie di successi ottenuti nelle formule minori. I brasiliani lo vedono quale possibile erede di Ayrton Senna e quest'ultimo fa di tutto per coccolarlo e spronarlo a migliorare.

Alle ore 13,14 circa, Barrichello si lancia in un giro veloce intenzionato a perfezionare il settaggio della sua Jordan per bissare il podio ottenuto nel gran premio del Pacifico. Sparato a una velocità prossima ai 230 km/h, il pilota di San Paolo entra troppo veloce all'ingresso della Variante Bassa, una curva che riproduce la parte inferiore di una "S".

L'auto, complice il cedimento della sospensione posteriore sinistra probabilmente a seguito di un urto su un cordolo, allarga la traiettoria e quando Barrichello cerca di correggerla sbanda via a destra e va a montare sul cordolo esterno. Purtroppo il cordolo è leggermente rialzato rispetto all'erba e la Jordan ci salta sopra come su un trampolino.

Per nulla frenata di velocità e incapace di avvertire la pinza dei freni, l'auto decolla di lato e va a schiantarsi, a mezza altezza, sopra alla fila di gomme poste a protezione del muretto eretto al termine della via di fuga, scivola sulle gomme, atterra di muso sull'erba, si ribalta e, compiendo due giri completi, si adagia sul suo lato sinistro. Uno schianto terribile, esaltato da un replay che rende la Jordan simile a un proiettile impazzito che vola sulla pista.

Barrichello perde conoscenza. Le bandiere rosse sventolano a segnalare la sospensione delle prove. Intervengono prontamente i commissari e l'ambulanza. Il pilota viene subito trasportato al pronto soccorso dell'autodromo. Si teme il peggio.

Ayrton Senna è tra i primi ad accorrere e a parlare con Barrichello che, scioccato, non ricorda nulla dell'incidente ed è costretto a rinunciare al Gran Premio: ha una costola incrinata, il naso rotto, tagli sulla bocca e una forte contusione al braccio.

Rientrerà qualche settimana dopo, proseguendo senza problemi la sua carriera. Sarà vice campione del mondo nel 2002 e nel 2004, ritirandosi dalla Formula 1 nel 2011. Ancora una volta la fortuna ha strizzato l'occhio agli attori dello spettacolo, ma il credito è ormai esaurito.


Imola 1994, il Gran Premio maledetto: le Qualifiche di Sabato 20 aprile

Dopo il forfait di Barrichello, sono in ventisette a contendersi i ventisei posti disponibili in griglia sabato 30 aprile 1994. A rischiare sono i piloti delle due vetture debuttanti: Bertrand Gachot e Paul Belmondo (il figlio dell'attore) su Pacific Ilmor e David Brabham e Roland Ratzenberger su Simtek Ford. Le due auto infatti sono le peggiori del lotto e la lotta per evitare l'ultimo posto, quello che non darebbe diritto a prendere parte al gran premio, è stretta a questi quattro piloti.

Le prove sono iniziate da poco. L'austriaco Ratzenberger è nervoso. Prima di montare in auto, ai box, ripete più volte ai suoi meccanici: "Devo mantenere il controllo". Ratzenberger è tra i debuttanti della stagione, ma è tutt'altro che un pivello. Ha quasi trentaquattro anni ed è reduce da una serie di esperienze nelle formule minori e in formule orientali, oltre a quattro partecipazioni alla 24 Ore di Le Mans.

Non si è qualificato nel gran premio che ha battezzato la stagione (prendendo un secondo e mezzo di distacco dal compagno di squadra), mentre ha ultimato il gran premio del Pacifico in ultima posizione con cinque giri di ritardo dal vincitore Michael Schumacher. Non è un pilota con uno sponsor forte alle spalle e stante i risultati tutt'altro che entusiasmanti potrebbe già rischiare il sedile.

Entra in pista e nei cinque giri che precedono quello fatale si rende protagonista di vari errori: un contatto con la Lotus di Johnny Herbert nel giro di lancio, e soprattutto, al suo quinto giro, un leggero fuori pista alla chicane delle Acque Minerali riuscendo tuttavia a riprendere il controllo del veicolo e a chiudere il giro stoppando il cronometro sul 1,27,584 che gli vale il ventiseiesimo posto davanti a Paul Belmondo ma comunque distaccato di sette decimi dal compagno Brabham che precede Bertrand Gachot. Ratzenberger sa che può far meglio, così decide di compiere un nuovo giro.

Sono passati circa venti minuti dall'inizio delle qualifiche, Ratzenberger è nel rettilineo che precede la curva Villeneuve a oltre 300 km/h, quando un'appendice aerodinamica di 20 centimetri quadri dell'alettone anteriore cede, probabilmente in conseguenza del fuoripista precedente. Per le sollecitazioni, il baffo dell'alettone si stacca dal pilone di sostegno finendo sotto le ruote anteriori. Ratzenberger cerca di sterzare, ma l'auto è ormai è ingovernabile, totalmente privata di direzionalità.

L'austriaco sta procedendo a 316 km/h, la via di fuga che si trova davanti è risibile. Solo sette metri lo separano dal muro di cinta. La Simtek va diritto contro la barriera subendo una brusca decelerazione che parte dai vertiginosi 301 km/h iniziali, quindi compie sei testacoda infine si ferma distrutta in mezzo alla pista a circa duecento metri dal punto d'urto.

La cellula di sopravvivenza ha resistito piuttosto bene all'urto, tuttavia le immagini sono drammatiche. Il casco bianco e rosso del pilota è completamente abbandonato a sé stesso. Ciondola da un lato all'altro in base alle evoluzioni della macchina, poi si inclina a sinistra e resta immobile.

La tragedia è nell'aria. Lo capisce Senna, sgomento ai box a guardare i monitor, lo capiscono i meccanici, i tifosi, ma soprattutto lo comprendono i soccorritori che intervengono rapidissimi. Sul posto sopraggiunge anche Senna che sale sull'auto di un commissario e si reca alla curva Villeneuve.

Ratzenberger è morto sul colpo a causa della secca decelerazione. Perde sangue dalla bocca e dal naso, ha la spina dorsale spezzata e una frattura alla base cranica, ma si cerca comunque di rianimarlo evitando di dichiararne la morte. Se si dichiarasse morto sul posto si renderebbe necessaria la sospensione del gran premio con il sequestro probatorio della pista e conseguenziale annullamento della prova.

Ratzenberger viene allora condotto sull'elicottero e trasportato d'urgenza all'ospedale di Bologna. Qui viene dichiarato deceduto solo dopo sette minuti dall'arrivo e lo spettacolo può così continuare, ma paradossalmente su Imola si scatenerà una maledizione senza precedenti.

Senna si chiude in un composto silenzio stampa, promettendo di parlare solo dopo la conclusione del week-end (non avrà tempo per farlo). Visibilmente scosso, viene visto piangere nell'ospedale di Bologna. Frank Williams, il proprietario della scuderia per la quale corre il pilota brasiliano, comincia a pensare che il suo pupillo non prenderà parte alla gara.

Un giornalista amico di Senna chiede a quest'ultimo se occorra davvero proseguire la carriera e se non sia opportuno godersi la vita, ma Senna gli risponde: "Non posso farlo". Per il brasiliano "la competizione è nel suo sangue, fa parte della sua vita" e non riesce a farne a meno.

Rientrato in albergo, la mattina seguente, Senna prende la Bibbia e chiede a Dio di parlargli. È un fatto notorio che il pilota brasiliano dicesse di vedere Dio accanto a sé negli schieramenti di partenza e dunque la sua reazione non deve stupire. Apre così a caso il testo sacro e si sofferma su un passo in cui c'è scritto che quel giorno Dio gli farà il dono più grande di tutti e cioè Dio stesso.

Intanto, il campione del mondo uscente Alain Prost attacca le nuove squadre come la Simtek: "Ci sono team che non hanno la capacità tecnica e finanziaria per partecipare a una stagione di Formula 1. In questi casi ci sono sempre più rischi per i piloti che sono sempre più giovani".

La denuncia di Prost è fuori luogo, e lo dimostrerà bene il giorno successivo. I problemi non sono da individuare nei piloti inesperti o nelle macchine inadeguate, ma in tutto il resto a partire dalle piste prive di vie di fuga adeguate, per proseguire con regolamenti poco interessati alla sicurezza.

La Simtek decide di ritirare il suo pilota superstite dalla competizione, ma Ecclestone, uno dei principali organizzatori del circus, invita la squadra a gareggiare comunque con David Brabham. Il pilota australiano e tutti i meccanici, piuttosto clamorosamente visto lo shock della perdita del loro compagno di lavoro, accettano l'invito e si presenteranno il giorno successivo sulla griglia di partenza.

L'ex campione del mondo Nicky Lauda invece, molto intelligentemente, fa notare come la maggior parte degli infortuni subiti dai piloti riguardi la base del collo in conseguenza delle brusche decelerazioni. Afferma così l'utilità di adottare un'apparecchiatura da appoggiare sulle spalle in modo che il collo, in caso d'incidente, resti fermo. Tale soluzione sarà adottata con successo svariati anni dopo.

Intanto, in un clima irreale, si decide di correre il giorno dopo.


Imola 1994, il Gran Premio maledetto: la gara di domenica primo maggio

Si arriva all'1 maggio 1994: sono circa le 14.00 e le auto qualificate al gran premio sono schierate in griglia, tutte tranne la Simtek numero 32 qualificatasi in ventiseiesima posizione ma a costo della vita del suo pilota che non potrà così prendere parte a nessun altro gran premio.

Senna è in pole position ed è visibilmente malinconico. A differenza del solito, non indossa il casco. Lo tiene poggiato sul muso della sua Williams fino all'ultimo. Ha gli occhi socchiusi, tristi, la testa reclinata all'indietro in meditazione. Ha portato all'interno dell'abitacolo una piccola bandiera austriaca per dedicare l'eventuale vittoria allo sfortunato collega scomparso.

Show Must Go On dicono i Queen e così le auto si muovono per il giro di ricognizione, poi si arrestano in attesa del verde e via, il gran premio di San Marino ha inizio e con esso la danza della morte.

La vettura del finlandese J.J. Lehto, al rientro dopo il grave infortunio di gennaio e al suo debutto stagionale, resta ferma sullo stallo riservato al quinto classificato, forse per problemi al cambio. Gli avversari scartano a destra e a sinistra per evitarla, ma non la Lotus del portoghese Pedro Lamy che sopraggiunge dalla ventiduesima posizione.

L'urto è violentissimo e ricorda, seppur più spettacolare nella sua drammaticità, quello che dodici anni prima era costato la vita al milanese Riccardo Paletti in quel di Montreal (in Canada). Per fortuna Lamy riesce a sterzare all'ultimo a sinistra e a colpire la Benetton di Lehto nella parte sinistra. La Lotus, con la fiancata destra completamente distrutta, va a sbattere contro il muretto di recinzione posto sotto la tribuna e schizza via in testa coda attraversando la pista davanti alla Pacific di Bertrand Gachot per arrestarsi dalla parte opposta.

I piloti sono illesi, ma il dramma si consuma altrove. Una delle gomme della Lotus ha varcato le reti a protezione della tribuna ed è piombata giù in mezzo al pubblico. Tre spettatori e un agente di polizia subiscono ferite lacero-contuse e traumi importanti che necessitano il ricovero in ospedale, uno di loro addirittura resta in coma per circa un mese, altre cinque persone se la cavano con ferite di minor entità e vengono soccorsi sul circuito.

Intanto l'entrata della safety car fa procedere a velocità ridotta la corsa, in modo da permettere di liberare la pista dai detriti. Tutti i piloti restano allineati in fila indiana all'auto dei commissari per cinque giri, poi si riparte a folle velocità.

Incalzato da Michael Schumacher, Senna compie un giro completo di pista piazzando subito un giro veloce. Sopraggiunge alla curva del Tamburello, teatro in passato degli incidenti di Piquet e di Berger, e va dritto senza correggere minimamente la traiettoria sbattendo a 211 km/h contro il muretto di delimitazione della pista.

L'urto è violentissimo, seppur non come quello di Barrichello e di Ratzenberger. L'auto compie varie giravolte, poi si ferma. La cellula di sopravvivenza è intatta, ma qualcosa lascia presagire il peggio. Il casco giallo del pilota non si muove, se non minimamente per uno spasmo, poi più nulla. L'orrore scende di nuovo sulla pista e le bandiere rosse arrivano a sottolinearlo. Gara sospesa, intervento dei mezzi di soccorso.

Il pilota viene estratto dall'abitacolo. È incosciente, con evidenti danni cerebrali ma ancora vivo. Dal cielo scende l'elicottero per trasportare l'infortunato all'ospedale di Bologna e si ferma in mezzo alla pista, in attesa che i medici stabilizzino il paziente.

Intanto, mentre tutti sono fermi, qualche incosciente da il via libera a Erik Comas che riparte dai box alla guida della sua Larousse. Il francese, dopo un lungo intervento dei suoi meccanici teso a riparare i danni all'alettone posteriore della sua monoposto, è ignaro dell'evento occorso al collega. Spinge sul pedale dell'acceleratore impegnando la curva Villeneuve a velocità sostenuta. Per poco non entra in contatto con i mezzi di soccorso.

Intanto, ci si prepara a riprendere la gara. Neppure l'incidente del pilota più rappresentativo della comitiva può fermare lo spettacolo. La pensa diversamente Erik Comas che, dopo aver rischiato di investire i soccorritori, si rende conto della tragedia e si ritira spontaneamente.

Inquadrata dall'alto, viene mostrata una grossa pozza di sangue vicino alla Williams numero due. Le speranze di sopravvivenza di Senna sono ridotte al lumicino. Non è stato l'urto a ferire il pilota, ma una molla della sospensione che gli ha perforato la visiera andando a conficcarsi poco sopra l'occhio destro.

Trasportato d'urgenza a Bologna, Ayrton Senna morirà circa tre ore dopo senza mai prendere conoscenza. Determinante nella dinamica del sinistro è la rottura del piantone dello sterzo fatto modificare da Senna stesso prima della corsa e mal saldato dai suoi meccanici.

La gara ha dunque il suo nuovo inizio, ma il folle gioco orchestrato dalla morte non ha ancora esaurito il suo estro maledetto.

A undici giri dall'epilogo, l'ex ferrarista Michele Alboreto con la sua Minardi entra ai box per effettuare rifornimento e il cambio gomme. I regolamenti non prevedono limiti di velocità da tenere nella pit lane e le vetture vi sfrecciano a circa 200 km/h a stretto contatto con i meccanici.

Alboreto entra nello stallo a lui riservato e riparte a velocità sostenuta a operazioni compiute. Innesta la seconda marcia, quando d'improvviso, a circa 150 km/h, a causa del mal funzionamento della pistola utilizzata per stringere i dadi delle gomme, il pneumatico posteriore destro si stacca dall'alloggio e balzella in aria falciando tre meccanici della Ferrari, uno della Lotus e uno della Benetton.

Alboreto, con grande abilità, riesce a mantenere il controllo della vettura, nonostante si trovi a marciare su tre ruote, ed evita una strage per un soffio intraversando la proprio autovettura. Il pneumatico, intanto, passa sopra la testa del pilota milanese e attraversa la pista proprio mentre sta sopraggiungendo Damon Hill, il compagno di squadra di Ayrton Senna. Per poco l'inglese non centra in pieno la gomma (in una circostanza del genere, nel 2009, perderà la vita il giovane Henry Surtees impegnato nel campionato di Formula 2).

I box vengono inondati subito dai soccorritori, mentre i telecronisti restano ammutoliti e basiti. Non si è mai visto un week-end del genere negli ultimi anni. A terra ci sono altri cinque feriti con fratture agli arti e traumi vari. I commissari però non interrompono la corsa che prosegue imperterrita nonostante la grossa situazione di pericolo.

Alboreto, a fine corsa, si farà sentire protestando per la mancanza di un limite massimo di velocità da tenere nei box. La sua denuncia sarà ascoltata e dal successivo gran premio, a Monaco, sarà previsto un limite da rispettare per tutti i piloti, pena penalizzazioni.

Il gran premio finalmente volge al termine in un clima da tragedia. Sul podio non si festeggia la terza vittoria consecutiva di Michael Schumacher, né l'inaspettato secondo posto del ferrarista, sostituto di Jean Alesì, Nicola Larini al suo unico podio in carriera e, di fatto, al termine della sua esperienza in Formula 1 (correrà un pugno di gran premi tre anni dopo sulla Sauber).


Il Post Gara del GP Maledetto di Imola 1994

Terminata la competizione si inizia a discutere sui rimedi da adottare per porre rimedio a una situazione ormai sfuggita di mano. Imola si lascia alle spalle due piloti, di esperienza diametralmente opposta (si potrebbe quasi dire il miglior pilota del lotto e uno dei peggiori), deceduti, un terzo costretto a saltare il gran premio per infortunio in pista, cinque meccanici con fratture e traumi, uno spettatore in coma, altri otto feriti. Un vero e proprio bollettino di guerra a cui, per mero caso, non si sono aggiunte altre tragedie.

A finire sotto accusa sono vari aspetti. Vediamoli nel dettaglio uno a uno, partendo da quelle più rilevanti:

1. Velocità e potenze dei veicoli: si afferma, giustamente, che i veicoli hanno ormai raggiunto prestazioni troppo pericolose. Di anno in anno, le velocità sono aumentate sempre più e i rimedi adottati dalla federazione, come l'introduzione di pneumatici più stretti o l'eliminazione dell'elettronica, non solo non hanno ostacolato tale evoluzione ma hanno avuto un effetto deleterio non incidendo sulle velocità, ma causando una maggiore instabilità delle autovetture. La Federazione deciderà di correre ai ripari adottando, fin dal gran premio successivo, un pacchetto di modifiche da inserire gradualmente per ridurre le velocità dei veicoli.

2. Eliminazione delle Sospensioni Attive: Tale soluzione, fortemente voluta dalla Federazione per rendere più spettacolari le gare, ha portato alla realizzazione da parte degli ingegneri di monoposto rigide e nervose, molto sensibili alle asperità degli asfalti con conseguente effetto decollo e relativa ingovernabilità del mezzo, per l'impossibilità di dare la direzionalità in occasione degli sbalzi. Negli anni avvenire, per tali ragioni, si provvederà a rintrodurre l'elettronica per rendere la guida più sicura.

3. Piste Inadeguate: Viene aspramente criticata, a ragione, la presenza di piste dotate di cordoli troppo rialzati e soprattutto con insufficienti vie di fuga peraltro corredate di muretti vivi non protetti da barriere assorbenti e dunque incapaci sia di smorzare le velocità dei veicoli sia di attutirne gli urti. Le lamentele saranno, a malincuore, recepite dalla Federazione fin dal Gran Premio successivo introducendo soluzioni provvisorie fatte di chicane realizzate con pile di gomme nei punti più pericolosi dei vari tracciati allo scopo di ridurre le velocità di entrata. Negli anni successivi si modificheranno le piste, eliminando curve pericolose e adeguando i tracciati alle velocità delle Formule 1. In particolare si realizzeranno vie di fuga più estese, con introduzione della sabbia al posto dell'erba in modo da frenare maggiormente i veicoli usciti di pista.

4. Assenza di rappresentanti dei piloti nelle riunioni della Federazione: in sostanza viene accusata la Federazione di aver adottato dei regolamenti senza consultare mai piloti ovvero le persone più adatte a valutare con ponderazione gli effetti delle varie regole tecniche. A seguito dei fatti di Imola '94, sarà costituita una rappresentanza da consultare prima di ogni modifica, a partire dai ritocchi alle varie piste da adottare in corso della stagione.

5. Assenza di limiti di velocità ai box: abbiamo già detto che, a seguito dell'incidente di Alboreto, fin dal gran premio successivo di Monaco sarà introdotto un limite di 80 km/h da rispettare nel transito della pit lane.

6. Fragilità delle vetture: Viene sollevato qualche dubbio, anche se nel caso di Imola tale critica appare non pertinente, sulla robustezza delle cellule di sopravvivenza dei veicoli e sulla solidità delle componenti meccaniche. Un caso emblematico, a tal riguardo, si verificherà nel gran premio di Spagna, ancora una volta sulla Simtek numero 32. Il sostituto del povero Ratzenberger, l'italiano Andrea Montermini, durante le qualifiche del gran premio, uscirà di pista nella curva finale del tracciato sbattendo contro il muro di cinta. La cellula di sopravvivenza, nell'occasione, cederà all'urto tanto che dall'inquadratura frontale dell'abitacolo sarà possibile intravedere i piedi del pilota. Montermini, al debutto stagionale, riporterà la frattura della caviglia e dovrà saltare l'intera stagione agonistica per infortunio. In seguito, qualche anno dopo, subiranno infortuni simili anche Olivier Panis e Michael Schumacher, ma i crash test saranno sempre più maniacali e, nel giro di poco, saranno costruite delle auto sempre più a prova d'urto.

7. Caschi non supportati da strutture idonee a mantenere bloccato il collo in caso di urto: Sulla scia degli studi del Dr. Robert Hubbard (aveva collaudato nei primi anni '90 dei collari capaci di ridurre il rischio di frattura alla base cranica in caso di urti a velocità sostenuta), nel 2000, sarà introdotto il Sistema Hans. Si tratta di un dispositivo applicato dietro al casco in grado di ridurre dell'80% le forze di trazione sul collo in una collisione frontale. Tale sistema sarà provvidenziale nel salvare la vita del polacco Robert Kubica nello spaventoso incidente patito durante il gran premio del Canada del 2007 e probabilmente avrebbe salvato anche Roland Ratzenberger.


1994, anno nero per la Formula 1

Nonostante l'impegno dimostrato nel cercare di porre rimedio agli errori compiuti a inizio stagione, il mondiale 1994 proseguirà sotto cattivi auspici.

Appena due settimane dopo i fatti di Imola, nelle prove libere del gran premio di Monaco, il promettente (aveva collezionato quattro punti in tre gare) austriaco Karl Wendlinger, alla guida di una Sauber, finirà in testacoda all'uscita del tunnell terminando, a causa di un suo errore nella staccata, l'evoluzione sulle barriere posizionate in mezzo alla via di fuga. A seguito dell'inadeguatezza della barriera, Wendlinger urterà col casco le protezioni riportando un grave trauma cranico.

Trasportato d'urgenza all'ospedale di Nizza, sarà mantenuto in coma farmacologico per circa un mese. Rientrerà nel circus nel 1995, disputando solo quattro gran premi senza trovare il ritmo di un tempo. Passerà così ad altre categorie meno impegnative.

Nel gran premio successivo sarà la volta dell'infortunio di Andrea Montermini di cui abbiamo già parlato, mentre nel gran premio di Germania, a fine luglio, si assisterà a un incidente insolito con l'olandese della Benetton Jos Verstappen suo malgrado protagonista. Fermatosi per procedere al consueto rifornimento di benzina, Verstappen si vedrà avvolto da una gigantesca onda di fuoco, rischiando la vita a causa di un pauroso incidente innescato da un difetto del bocchettone della benzina. Verstappen se la caverà con alcune ustioni alle mani e al volto.

Un altro infortunio gravissimo si verificherà un anno dopo, sulla pista di Adelaide, durante le prove libere del gran premio. Il futuro bicampione del mondo (1998 e 1999) Mika Hakkinen, a seguito della foratura del pneumatico posteriore sinistro, finirà in testacoda e salterà in aria su un cordolo prima di schiantarsi, quasi a mezza altezza, contro la pila di gomme poste al termine della solita via di fuga inadeguata. Bilancio: ferite alla lingua, vari denti spezzati, una frattura alla mandibola e grave trauma cranico con relativo coma farmacologico di due giorni.

Da questo infortunio in poi, la Formula 1 compirà importanti passi in avanti e non si registreranno più gravi infortuni (farà eccezione l'incidente, piuttosto casuale, che vedrà protagonista il brasiliano Felipe Massa colpito sul casco da una molla persa da un concorrente nel corso della stagione 2009) né, tanto meno, decessi.

Si può dunque dire che gli infausti accadimenti di Imola hanno segnato la via da seguire per porre rimedio a un ambiente ormai impazzito e sensibile solo alle esigenze di spettacolo.


Imola 1994: il Gran Premio maledetto nella stagione maledetta
Articolo scritto da: Matteo Mancini
Articolo pubblicato il 19/04/2013

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