Libri > Recensioni > Eternal War - Gli Eserciti dei Santi, di Livio Gambarini, edito da Acheron Books nel 2015 al prezzo di 12,52 euro. Leggi la trama.
Eternal War – Gli Eserciti dei Santi: un titolo opinabile per un romanzo sul quale, invece, c’è poco da discutere. Ma andiamo con ordine: prima di parlare del libro, qualche parola su come mi sia arrivato in mano, di cosa tratti e chi ne sia l’autore.
Non necessariamente in quest’ordine.
Livio Gambarini è un filologo di nemmeno trent’anni, scrittore, editor, curatore di raccolte, moderatore di forum, master di GdR e altre cose da nerd che ci piacciono tanto. A differenza di molti, però, è riuscito a farsi prendere dannatamente sul serio: il suo romanzo storico Le Colpe dei Padri è un lavoro professionale e maturo, frutto di un anno di ricerche serrate, e stampa e lettori se ne sono accorti.
Parliamo di un giovane astro nascente, che tra una vittoria a un concorso letterario e l’altra, trova il tempo di buttare lì un romanzo ambientato nel tredicesimo secolo con Acheron Books (interessantissima realtà del fantastico italiano, ma non posso parlarne perché sarei di parte).
Qualcuno penserà che, dopo gli anni di formazione su un forum del fantastico italiano come LaTelaNera.com, si sia affacciato al professionismo con i romanzi storici, ricavandosi una sua nicchia seria e accettabile per il monocorde gusto letterario italico, e che questo Eternal War, che parla di Guelfi e Ghibellini, ne sia la prova.
Ci ho preso, vero? Beh, non è così (avete letto il titolo del romanzo, sì?).
Questo volume è piuttosto una sfida al paradigma dominante, un guanto in faccia a chi non crede, o forse nemmeno sospetta, che la nostra storia e il nostro Paese possano offrire una cornice credibile per un’opera fantastica, o che un bravo scrittore di romanzi storici possa cimentarsi con successo nell’urban fantasy e dare spessore a un libro fuori dal coro.
Insomma, con Eternal War, Livio sembra volerci dire: “basta nani e draghi, basta pure anche serial killer, quarantenni in crisi e vampiri romantici. Scrivere qualcosa di nuovo si può”.
Insomma, la sfida è stata lanciata; vediamo se è stata anche vinta.
Una piccola precisazione, prima: conosco Livio Gambarini da qualche anno, ormai, si può dire che lo abbia visto muovere i suoi primi passi nell’ambiente della narrativa di genere e, di lì a poco, nell’editoria. Ho capito fin dal nostro primo incontro, avvenuto in maniera virtuale sulle pagine de La Tela Nera, che aveva quel quid in più, una sua firma che, a prescindere dall’evoluzione tecnica e stilistica cui uno scrittore, inevitabilmente, va incontro dopo aver abbandonato le prime armi e averne imbracciate di nuove, lo avrebbe accompagnato per tutta la sua produzione futura e avrebbe reso ogni suo testo riconoscibile fra molti, facendone “un Gambarini”.
Più che di un singolo elemento, si tratta di una combinazione di fattori, qualcosa che paragonerei all’odore di un posto noto, che fa tornare in mente ricordi lontani.
C’è la disinvoltura nel far scorrere, con la stessa costante fluidità, una trama lineare come il complotto più intricato; c’è la caparbia ostinazione a entrare nelle teste dei personaggi, quasi fossero persone reali da psicoanalizzare, per farli comportare in maniera sempre coerente; c’è il substrato di ricerca, che eccede sempre le reali necessità di verosimiglianza e contribuisce a quell’incedere così naturale cui accennavo. C’è, infine, sempre una buona idea alla base.
Bene, a questo punto, se pensate che il fatto che conosca Livio e lo apprezzi lo avvantaggerà in questa recensione, siete fuori strada. Chi mi conosce sa che, quanto più stimo un autore, tanto più l’asticella delle mie aspettative si alza. Quindi, essere mio amico non gli sarà di alcun aiuto.
E ora a noi.
Eternal War narra le vicende di Guido Cavalcanti e del suo arduo tentativo di far tornare ai fasti di un tempo il suo nome della sua famiglia, caduto in disgrazia a seguito della disfatta dei Guelfi di Firenze nella battaglia di Montaperti.
Soprattutto, però, il romanzo narra le vicende parallele del mondo dello Spirito, nel quale si muovono gli Ancestrarchi, numi tutelari delle famiglie che, invisibili, condizionano le sorti delle vite umane.
L’idea è dannatamente intrigante e originale, la difficoltà era renderla in maniera credibile.
Da questo punto di vista, Livio ha fatto davvero un ottimo lavoro: non solo l’impianto narrativo bipartito, con i capitoli alternati della materia e dello spirito che si alternano, è solido, funziona bene e fa procedere la trama con incastri perfetti, ma c’è anche il tempo per alcune chicche davvero gustose che, lo ammetto, mi hanno davvero fatto godere.
Io sono un puntiglioso rompipalle su aspetti a volte troppo sottovalutati quali la sospensione dell’incredulità, la coerenza interna, la logica e altre cosucce del genere. Quando uno scrittore sbaglia in uno di questi aspetti, non è detto che al lettore medio la cosa salti all’occhio, ma alla fine del libro avrà una sorta di senso d’insoddisfazione, avvertirà una nota stridente indefinita che, nel migliore dei casi, a distanza di tempo gli farà ripensare a quella lettura come a “nulla di speciale”.
Bene, Livio è riuscito a fare l’esatto opposto: ha addirittura anticipato domande che il lettore probabilmente non si sarebbe neppure posto (ma io sì, e Livio lo sapeva…).
Cosa accade nel mondo dello spirito, per esempio, quando c’è un matrimonio? Quale degli ancestrarchi mantiene il dominio sulla nuova famiglia che si forma, quello del marito o quello della moglie? Livio ha una risposta, ed è molto convincente, oltre che divertente da leggere.
Questa capacità d’immaginare un intero mondo, con le sue regole e le sue dinamiche interne, è uno degli aspetti migliori del romanzo. Usare la fantasia non è facile come sembra: i castelli per aria crollano facilmente. Non quello di Livio.
Certo, dar vita a un tale affresco sarebbe stato inutile, senza la capacità di mostrarlo a dovere e, soprattutto, senza ricorrere a orrendi info dump per calare il lettore nei meccanismi di un mondo tanto differente dal nostro.
Anche quest’obiettivo è stato centrato: la narrazione procede quasi incurante del lettore, senza ansie didascaliche che gli facciano avvertire di essere proprio lui il destinatario delle premure dell’autore. Cose del genere possono squarciare il velo di sospensione dell’incredulità e farci vedere dall’esterno mentre fissiamo le pagine di un romanzo. All’improvviso, ci si trova fuori dal libro.
In Eternal War, invece, ogni elemento è mostrato e reso intuibile senza bisogno di troppe spiegazioni, con un tocco leggero ma sapiente che solo chi scrive fantastico potrà apprezzare appieno, sapendo quanto sia difficile da ottenere.
Ma veniamo alla trama.
Anche essendo articolata e non difettando di colpi di scena, riesce a essere piana e lineare. Del resto, non si avverte il bisogno di stravaganze narrative: la carne al fuoco è già molta.
La struttura, come detto, è simmetrica e non presenta artifici tecnici particolari; il risultato è che, complici personaggi accattivanti, la cui sorte comincerà ben presto a starci a cuore, ogni pagina tirerà la seguente. Il pregio maggiore del libro, in effetti, è proprio quello di essere un magnete: una volta cominciato, non lo si riesce a mollare.
Tutto perfetto, dunque?
No, a mio avviso alcuni aspetti perfettibili ci sono, ma voglio mettere le mani avanti nel dire che sono residuali rispetto ai pregi.
In primo luogo c’è il titolo. Livio non è mai stato in grado di trovarne anche solo di decenti, per i suoi lavori. Il fatto che poi i testi siano buoni lo scusa fino a un certo punto, perché il titolo, per me, fa parte della composizione a tutti gli effetti. Mi piace talmente poco Eternal War che, quando mi sono ritrovato la copia cartacea in mano, pur avendo già letto il romanzo e sapendo bene come si chiamava, ho storto comunque il naso. Ma tant’è.
Alcuni personaggi non sono approfonditi come gli altri e pur, sempre credibili, risultano in qualche tratto appena stereotipi.
Bice, per esempio, è davvero quasi troppo bella e perfetta, un po’ come lo stesso Guido, del resto. Tuttavia, per lui, una spiegazione in effetti c’è (no, non ve la dico: comprate il romanzo, taccagni).
Non che sia un difetto congenito, intendiamoci: l’Ancestrarca della famiglia Cavalcanti, Kabal, è un personaggio di assoluto spessore. Pur non essendo umano, è forse quello che sentiamo più vicino: pieno di difetti, moralmente discutibile e oltremodo cinico, risulta più credibile di molti characters realmente esistiti.
Una piccola perla, poi, è Dante Alighieri, che compare in alcune scene e ha un ruolo di un certo rilievo. Ho peraltro apprezzato il ruolo “funzionale” di un personaggio tanto conosciuto, che non viene utilizzato in questo caso mera “guest star” ficcata lì giusto perché, se l’ambientazione è l’Italia del tredicesimo secolo, Dante ce lo devi pur mettere.
Dal punto di vista della forma e dello stile, devo dire che la tecnica è impeccabile e, sebbene io non sia un grande fan della “scrittura trasparente” e avrei gradito un po’ più di atmosfera e virtuosismi letterari, il testo fa il suo dovere alla perfezione.
Il fatto che lo stile sia a tratti quasi scarno, almeno per i miei parametri, è ampiamente compensato dal lavoro perfetto cui questa scelta è asservita: far procedere in maniera filante una vicenda altrimenti fin troppo ricca, sia a livello concettuale che visivo.
Non fraintendetemi, c’è tutto quel che serve e la Firenze dantesca è viva e credibile, grazie anche alla padronanza del periodo storico che l’autore dimostra di avere, solo che io propendo per la teatralità. Questione di gusti.
Tra le frecce all’arco del romanzo, poi, spicca senza dubbio l’idea alla sua base.
Vi ho già fatto cenno, ma è importante sottolineare quanto sia raro trovare qualcosa di fresco e originale, in un panorama dove tutto pare essere già stato detto e le poche novità sono spesso frutto di forzature. Non è così per il romanzo di Livio, che propone un concept nuovo e assieme radicato nel cuore delle nostre origini.
I Penati, gli angeli custodi, gli antenati, sono tutte figure inveterate della nostra cultura ma che, finora, nessuno aveva pensato di adoperare per un’opera fantasy (e, soprattutto, usarle per ordire una trama d’intrighi politici metafisici).
Prima di tirare le somme, qualche dato un po’ più tecnico: dal punto di vista narratologico il testo si presenta complesso e il filtro narrativo, pur nella costanza di un punto di vista interno e attinente a un solo personaggio, è altalenante fra una prospettiva più esterna e distante e una maggiormente interna (la differenza, in sostanza, è che, di quando in quando, siamo direttamente nella testa dei personaggi, mentre altre volte ce ne vengono descritti i pensieri).
Il narratore è extradiegetico, e il fatto che lo stile sia davvero asciutto e trasparente aiuta a non personalizzarlo e viverlo come una presenza solo funzionale e non ingombrante, incapace d’increspare il velo di sospensione dell’incredulità.
A questo proposito, Gambarini riesce a stendere uno spesso manto di sospensione, al punto da farci chiedere quanto ci sia di vero in quello che racconta e se, per caso, non abbiamo anche noi un nume tutelare che ci osserva e cerca di pilotare le nostre scelte.
Questo risultato è perseguito in maniera magistrale e il suo ottenimento parte dalla natura stessa dell’idea, di per sé accattivante e inquietante assieme, che invita a lasciarsi andare a fantasie e analisi sulla storia della propria famiglia, e prosegue, dopo aver gettato la prima base di confidenza con il lettore, con l’accrescimento della sua fiducia, grazie a ogni sorta di stratagemma. Si passa dalla cura per i dettagli storici e per la psicologia dei personaggi, fino al connotare il mondo dello spirito di caratteristiche subdolamente umane, che lo rendono molto “materiale” ai nostri occhi.
Insomma, tutto concorre nel conseguire il risultato e, da questo punto di vista, siamo di fronte a un lavoro davvero curato e convincente.
In conclusione, al di là delle considerazioni sui singoli aspetti, quello che emerge con chiarezza dalla lettura di Eternal War – L’Esercito dei Santi (urg…) è che si tratti di un libro raro non solo perché di grande qualità (ma non perfetto) ma, soprattutto, perché non somiglia a null’altro.
Livio ha creato una nicchia tutta sua e, se pure questo da solo sarebbe un dato neutro, il risultato è che il libro sorprende e, ancor più importante, diverte e avvince.
L’originalità da sola non basta, ma se unita a una trama appassionante, una costruzione impeccabile, uno stile svelto e una gustosità invidiabile, costituisce di certo la base per quello che, a questo punto senza esitazione, può essere definito un piccolo capolavoro, destinato a lasciare il segno.
Inoltre si tratta di una lettura consigliata a tutti, dagli amanti del fantastico agli appassionati di romanzi storici, fino ai lettori più generici.
Insomma, Livio Gambarini ha saputo perseguire il suo scopo e scrivere qualcosa di nuovo ma anche capace di appagare qualunque palato, con buona pace di quelli che nel fantastico italiano non credono.
Eternal War: sfida vinta.
|