Libri > Recensioni > Il sangue di Manitou, di Graham Masterton, edito da Gargoyle Books nel 2009 al prezzo di 13,50 euro. Leggi la trama.
Mentre le librerie sono assaltate da schiere minacciose di saghe di vampiri effemminati che si struggono d'amor e dal cuor d'oro, per fortuna c'è ancora qualcuno che propone l'archetipo del succhiasangue nella sua versione antropologicamente circostanziata e tradizionale di monstrum. E altrettanto fortunatamente c'è chi cerca di inquadrarlo da punti di vista interessanti e stimolanti.
Nel caso di Graham Masterton e di Il sangue di Manitou abbiamo addirittura entrambe le cose.
I suoi vampiri si riallacciano alla tradizione rumena degli strigoi, e le vicende si intrecciano con leggende e folklore dei nativi d'america, come nei precedenti romanzi che hanno per protagonista Harry Erskine, antieroe sensitivo, erborista e cartomante che in passato se l'è già dovuta vedere con la reincarnazione del terribile sciamano Misquamacus.
Il mix di questi diversi ceppi di leggende, lo diciamo subito, è originale quanto riuscito, e dona al romanzo il fascino di un cocktail dal sapore fragrante.
L’altro ingrediente di questo drink rosso sangue è l’approccio medico, nella trama parallela a quella di Erskine, che vede protagonista un medico ematologo – Frank – che affronta il deragliare della situazione da par suo, inquadrando il nemico non come frutto di magia nera o antiche maledizioni, ma quale infezione del sangue epidemica, per quanto inusitata e dagli effetti incredibili.
Più o meno metà del romanzo gode di questa felice alternanza a montaggio incrociato tra le due trame, che differiscono anche per impostazione narrativa e toni. La prima persona cinica e autoironica – magnificamente gestita a livello narrativo – di Erskine si contrappone alla terza persona a focalizzazione interna di Frank, più seria e calata in una narrazione dai contorni drammatici, urgenti, da armageddon.
Dispiace che nella seconda metà del libro il punto di vista medico venga abbandonato in favore del solo approccio magico-leggendario, con uno slittamento deciso verso il fantasy nella parte finale. Il doppio binario avrebbe potuto essere portato avanti da Masterton, magari concedendo al lettore la possibilità di una doppia interpretazione agli eventi, una più materiale e una più mistica, senza che l’una escludesse l’altra. Poi, vengono abbandonati i presupposti appunto medici (uno su tutti: il discorso interessante sull’enzima-argento, con accadimenti contraddittori come se l’autore si fosse quasi “dimenticato” di questo sentiero tracciato, senza particolari ragioni). Un peccato, dicevo, anche perché le scene ambientate nell’ospedale dove lavora Frank durante il dilagare dell’epidemia sono al cardiopalmo, terribilmente efficaci e ben descritte, con la sensazione tangibile, per il lettore, di essere sporco di sangue e di sentirne l’odore impregnare ogni cosa. Pare di sentire le urla e di percepire le fredde luci al neon sulla pelle, tra il cigolio di barelle che corrono veloci e porte che sbattono.
La prima fase del romanzo è quindi ottima, per quanto racconti uno scenario che non è nuovo (da George A. Romero a 28 giorni dopo a Planet Terror – il fatto che citi film piuttosto che libri non è un caso, vista la resa molto cinematografica del romanzo), e in cui il lettore tende senz’altro a non essere particolarmente sorpreso di ciò che accade (il lettore sa che si tratta di vampiri, e immagina senza problemi quali saranno gli effetti a venire della presunta epidemia); tuttavia Masterton lo fa con una potenza evocativa e un’abilità narrativa tali, specialmente grazie a un’estrema attenzione ai dettagli, che le pagine scorrono a velocità impressionante, e ci si ritrova a quasi metà del libro senza nemmeno accorgersi di che razza di ora di notte si è fatta.
La parte centrale è anch’essa godibilissima. Un po’ di amaro in bocca, come dicevo, per lo scarto rispetto alla prima, ma un piccolo sforzo per superare lo shift lo si fa volentieri: qui ci ritroviamo nel survival horror puro, infatti, calato in una guerriglia urbana apocalittica – e altro punto di forza è senz’altro l’eccellente realismo di una New York ricca di dettagli e tutt’altro che semplice sfondo delle vicende – tra scene di combattimento, inseguimenti, barricate di fortuna e armi improvvisate. E poco, sempre meno tempo a disposizione…
Quindi la felice entrata in gioco delle delle componenti indiane – terreno sul quale Masterton davvero non ha rivali. Ma, se inizialmente questo dà una spinta molto positiva, quando avanziamo nella trama ci ritroviamo di fronte a un altro prepotente shift da accettare, che come si diceva conduce verso il fantasy. E questo non è di per sé male, ci mancherebbe, ma il lettore stavolta faticherà un po’ di più a accettarlo: perché troppo repentino e perché è la seconda volta che il libro gli chiede di cambiare rotta; e poi, decisamente più grave, perché si tratta di un fantasy troppo “facile” – con tanto di oggetto-magico-trovato-per-caso-nel-dungeon-that-saves-the-day, nemici che diventano via via più sciocchi e deboli e paiono davvero “aspettare il proprio turno per attaccare”, magie sempre più simili a fuochi d’artificio, e una faticosa (quanto purtroppo molto prevedibile) sovrapposizione di villain a raffica nel finale vero e proprio.
Non bastano queste debolezze, in ogni caso, a minare la bontà di un romanzo che va senz’altro letto anche a fronte di un protagonista straordinario come Erskine, tra i pochi a riuscire a empatizzare realmente con il lettore, e di farlo ridere in mezzo a tutti questi mostri e cadaveri. Si ride, sì: spesso, e pure a voce alta.
Così come ottimi sono alcuni dei personaggi minori – tra tutti, spiccano i medici dell’ospedale colleghi di Frank, tratteggiati rapidamente ma con solchi profondi, vivi. E i vampiri, poi, che sono finalmente degni di questo nome, feroci, ardenti per il sangue, bestiali e inquietanti. Non hanno nulla di buono o di nobile, e il loro solo scopo è procacciarsi il sangue di cui non possono fare a meno, come drogati in crisi d’astinenza.
Masterton è uno scrittore che va conosciuto, un grande professionista capace di alternare stili e atmosfere distanti e diversi – chi ha letto per esempio Spirit (sempre edito da Gargoyle in Italia) lo conosce come autore raffinato e sensibile quanto immaginifico, e stupisce vedere come in Il sangue di Manitou la sua scrittura si faccia più scarna e sanguigna, adrenalinica e cinica, quanto umoristica dove occorre piazzare la battuta di Erskine.
C’è da imparare…
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