Libri > Recensioni > Black City. C'era una volta la fine del mondo, di Victor Gischler, edito da Newton Compton nel 2011 al prezzo di 6,90 euro. Leggi la trama.
L'americano Victor Gischler vive a Baton Rouge, in Louisiana, ed è un "clone" più o meno ufficiale di Joe R. Lansdale, e tutto del suo stile richiama la colorita volgarità e la rozza vivacità dello scrittore texano nei suoi momenti più sporcaccioni e divertenti.
Non c’è infatti personaggio, evento o colpo di scena, in questo Black City, che non porti alla mente l’inimitabile, scioltissima tecnica del papà di Hap e Leonard, ciò che manca però è la stessa energia, è quell’ironia zozza e straight-to-face che Gischler insegue continuamente senza padroneggiare alla perfezione.
La sensazione è quindi quella di un romanzo splendidamente scurrile, caciarone, volgare e ignorante, ma che non riesce mai a essere così genuinamente efficace come il miglior Lansdale sa o ha quantomeno saputo fare.
In una pioggia di elaborate metafore, personaggi che vomitano, cagano, fanno a botte e dicono un sacco di parolacce, figliole da paura che sculettano in ogni pagina, sparatorie e inseguimenti zeppi di teste spappolate e dinamici ammazzamenti, il divertimento più stradaiolo e analfabeta non viene mai meno, eppure la trama, in queste atmosfere e in questi contesti così poco suoi, non è spumeggiante come dovrebbe essere e i personaggi non sembrano sempre esageratamente veri nel vomitare, cagare, fare a botte e dire parolacce.
Colpa anche di un traduzione grossolana e poco fluida, Gischler rimbalza tra sequenze di grande ispirazione (il divertentissimo treno muscolare, l’eccezionale battaglia conclusiva) ad altre narrate con stanchezza e superficiale comodità, dove i colpi di scena appaiono forzati nel loro richiamare personaggi ed eventi senza curarsi di verosimiglianza e di un minimo di credibilità.
L’odissea di Mortimer è quindi un continuo, grossomodo simpatico spostarsi da un branco di deficienti a un altro, ma la carenza di carisma nella costruzione del personaggio e del gruppo di cui è leader, o il lessico limitato, a volte come ingabbiato, pongono un freno anche ai momenti migliori.
Qua e là si ride, capita di spalancare gli occhi per certe, assurde invenzioni ben riuscite, ogni tanto si sbuffa annoiati, e in generale Black City scorre rapidamente per poi, a lettura conclusa, essere dimenticato con altrettanta velocità.
Poco "onesta" l’edizione 2011 della Newton Compton, che non solo traduce il simpatico titolo originale Go-go Girls of the Apocalypse con un altro titolo inglese (anche se di black city non se ne vedono, nel romanzo, né è data importanza a una città in particolare dei tanti luoghi visitati), ma piazza in copertina un'affascinante vampira, con tanto di rivolo di sangue alla bocca, che nulla ha a che vedere con la storia raccontata...
Recensione originale apparsa il 04/04/2011 su Midian, il blog ufficiale di Simone Corà.
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