Libri > Recensioni > L'eterna notte dei Bosconero, di Flavio Santi, edito da Rizzoli nel 2007 al prezzo di 16.00 euro. Leggi la trama.
Con geniale fantasia, ramificata su ceppi di sicuro realismo socio-politico ed umano, con dovizia di particolari e con l’energia di un linguaggio fluido, ma deciso ed essenziale, Flavio Santi, fin dalle prime pagine de L’eterna notte dei Bosconero, crea una particolare atmosfera di mistero e di orrore, introdotta dalla copertina suggestiva, dalla “Nota per il lettore” e dal “Prologo”, incupita da architetture barocche, da scorci di paesaggi in preda ad agenti atmosferici che generano tristi presagi. Fin da subito, come in un gioco a virtual action, ci si trova nell’arsa terra di Sicilia, bagnata dal sangue che chiama altro sangue, alimentando paure e sospetti, tra la malvagità e la pazzia dei baroni Bosconero, tra “vitrai” e “rusicai”; nella torre di Ravanusa, con Federigo, uno dei figli di Lucifero, il capostipite dei Bosconero, tra mobili, che, per effetto ottico, somigliano a uccelli rapaci, ecc., in un crescendo di orrore.
Il romanzo, ricco d’imprevisti strani e orripilanti, supportato da elementi culturali seri, approfonditi e sapientemente utilizzati, guadagna subito l’interesse e la stima del lettore, anche per la scelta dell’espediente narrativo della storia nella storia. Johann Wolfgang Goethe e il suo interlocutore, un casuale avventore incontrato in una taverna di Palermo, riservandosi brevi momenti di riflessioni e considerazioni, segnano il confine tra i vari scomparti narrativi e, nello stesso tempo, li legano tra loro. Di Federigo, personaggio principale, a partire dalla seconda parte del lavoro, perderemo per un po’ le tracce, mentre restiamo dietro ai tanti personaggi di contorno della storia narrata a Goethe, minutamente e significativamente caratterizzati, con perizia artistica, sia fisicamente che psicologicamente, con i loro racconti, anelli di una lunghissima catena, legati narrativamente da un indecifrabile sottilissimo filo di Arianna, certamente il simbolico “segno profondo”, a volte non facilmente collegabili, ma sorvegliati artisticamente dall’autore con maestria. Significativo ed originale quello del Pittore che non riusciva a sognare, ma dipingeva sogni che si tramutavano in realtà, così dipinse tutti gli uomini del mondo e ne divenne potente signore.
Siamo attratti dall’etimologia e dalla fonetica dei nomi (Ravanusa, Pergusa, Ragusa, Ruga Grande, ecc.), dall’unicità di suoni e di significati del dialetto siciliano (“Frusso e refrusso…, reversciamenti…, rompimenti…, aprimenti…” o quel “carusa” che rimanda al Verga), dalle nevicate in estate, dalla follia di Adamo…, dalla narcolessia e amnesia di Federigo…, da Nervetta…, da Tranchedini e dal suo “Qui c’è pieno di demoni”, che pensa di trovarsi sulla testa di un ragno e che il mondo e lui stesso siano solo disegni del Pittore e, come tali, destinati a scomparire, dal laboratorio in cui Rosario La Spina studia l’odore, il colore e il rumore del sangue che scorre tra tubicini e ampolle di vetro e in cui alleva da sempre sanguisughe, bilharzie e platelminti che succhiano, spolpano, perforano, disossano. E… dietro quel telone? Infine, dall‘incombente “potentato del male” e dalla piovra con sette occhi che sovrasta Palermo. Non riusciamo a focalizzare, con Federigo, il reale. E… se la realtà fosse un sogno e il sogno la realtà? Non ci sfuggono le riflessioni di Flavio Santi sul clero falsamente umile e superbo, lontano dal messaggio originario di Cristo, sulla razionalità e scientificità con cui il Nord spiega gli eventi e la concezione fatalistica propria del Sud, il suo aspro pessimismo: “Gli uomini sono delle tagliole affilatissime e senza pietà, che si attaccano ai fianchi e alla gola solo per dovere di sopravvivenza”, le donne “Cuciono inganni come rammendano suole con la più grande naturalezza”, nella vita non facciamo altro che farci appositamente del male e la felicità è solo una chimera. Non mancano gli stereotipi sui siciliani e le osservazioni sui loro comportamenti tipici confrontati con quelli napoletani. E’ il Regno delle due Sicilie alla fine del ‘700, risultato di secoli di dominazione straniera, spesso violenti ed efferati, emblema di un disordine morale e civile, di una corruzione di poteri palesi ed occulti che non possono non rimandarci alla Sicilia e all’Italia tutta dei giorni nostri e, più in generale, agli aspetti più degradati dell’umana realtà.
Un susseguirsi di immagini nauseabonde, raccapriccianti e orripilanti, descritte con insistenza ed efficacia, come la “Testa di Riesi” che rotola su se stessa, il corpo disgustoso di Tito Canuto e quello, nella Cala, di Rocco Palumbo, che dà vita ad un giallo e ci porta alla tetra prigione dello Steri, la testa umana svuotata e modellata ad olla e contenente sangue, “I sei di Ravanusa” deturpati senza pietà e tanti altri “Eventi mortuari, non epidemici ma pestiferi”. Nel cuore del romanzo compaiono all’orizzonte i vopyr… Insomma, è una tenebrosa “eterna notte” anche per noi lettori.
L’alba porterà un bruttissimo risveglio, anche se l’atmosfera onirica non scomparirà del tutto, e Goethe diverrà personaggio narrante. Flavio Santi continua ad esaminare il mondo, “la fantasia perversa di un orco, il sogno di Satana, lo spettacolo messo su da un manipolo di diavoli”, che Dio afferra con guanti bucati, “voragini aperte su misteri abissali”, la natura imperfetta, la “grande Rammendatrice” che è la ragione, anche se “in certi casi non capire” è “una fortuna”, le illusioni, le credenze, le superstizioni e la paura, “Il sentimento più forte e più antico dell’uomo” (H.P.Lovecraft) e ci rende, nello stesso tempo, consapevoli che ingenuamente, come bambini, abbiamo interiorizzato racconti che dicevano e non dicevano, per prepararci ad una crudele realtà, desiderosi come siamo di conoscere sempre di più il Male e la sua incarnazione, il suo manifestarsi in forme diverse, “fideiussioni”, l’autogenesi, l’atavica lotta con il Bene, Satana, diavoli, vampiri, abitudini e i modi di fare di questi ultimi, ecc., ma anche la catarsi. Vogliamo “volare e poi soffrire di vertigini…”.
Difficile pensare che l’autore de L’eterna notte dei Bosconero<(i> sia anche poeta. O, forse, la poesia è propedeutica all’horror? Probabilmente perché il poeta conosce più a fondo l’animo umano. La voce di Telamonio è ora anche nella nostra mente: “La vita vive nel sangue”.
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