L’immenso quaderno di appunti, idee, ire, scatti, circonlocuzioni, arabeschi, squarci, baratri, denunce, laconismi e molto altro che Roberto Morpurgo sta compilando da anni (e del quale qui si dà un primo assaggio) si configura come un calderone ribollente sempre pronto ad accogliere ogni sollecitazione del presente per bollirla, disinfettarla o ribollirla, per digerirla o rigettarla.
Come è indispensabile per ogni buon autore di aforismi e riflessioni, non c’è limitazione di argomento, preconfezione di toni o buona creanza che tenga: Morpurgo omaggia il mondo intero masticandolo, concepisce la realtà come necessariamente commestibile. Ed accoglie gli irrobustimenti e i memorabili mal di pancia conseguenti sapendo che ambedue sono la traccia durevole di un’esperienza e di una conoscenza, binomio sotteso a qualsiasi prova letteraria degna di nota.
Non a caso egli dissemina le sue pagine (contagiate persino tipograficamente dalla multidirezionalità obbligata e da una certa compulsione) dei mattoni con cui costruiamo la realtà (le parole, da logomaniaco forse anche sornione logoteta, innamorato più del lemma che del logos) e delle molte forme con cui la elaboriamo, ad esempio i sogni (il più antico genere letterario, secondo Borges). Procede per illuminazioni nel bel mezzo di un lavorìo meticoloso e furioso a un tempo, e le une e l’altro appaiono indipendenti nei loro scopi, lontani nei loro natali, salvo – come deve essere – dimostrarsi intimamente sodali nell’opera compiuta, o comunque nella corposa tranche. Capita sovente che mentre ci viene illustrato un pensiero sia una parola en passant a conquistare la nostra attenzione con la sua bellezza magari anche sonora; oppure che dopo aver letto un pensiero elaborato la fame sia aumentata invece di venire soddisfatta (e questo non è necessariamente un male, anzi) e che poche righe dopo una inattesa epifania ci fornisca la chiave per quella riflessione, proprio mentre un altro lavorìo sta tentando di scardinare un altro argomento. Ciò accade perché ogni pagina degna di essere letta, ogni libro figlio del pensiero prima che della vanità, è reticolare talvolta nella forma, sempre nell’ambiente psichico da cui germina, che ci vuol far attraversare e che (perché no?) mira a creare.
Ora sentenzioso ora incerto e disposto a imparare, ora raffinato ora volutamente triviale, ora lirico ora freddamente oggettivo, Morpurgo non dismette mai la spessa divisa da lavoratore per esibire il fragile vestito della festa, ben sapendo che il turno di lavoro di chi legge il mondo non finisce mai. E sapendo che non basta atteggiarsi a pensatore per esserlo: come scrisse Elias Canetti: «L’uomo ha raccolto tutta la saggezza dei suoi predecessori, e guardate quanto è stupido». (dalla Prefazione di Sandro Montalto)
L'autore:
Roberto Morpurgo (Milano, 1959) è laureato in filosofia e scrive poesie, aforismi, racconti, saggi, oltre a coltivare interessi per la psicologia psicoanalitica, il cinema, il teatro.
In campo cinematografico ha collaborato fra gli altri con la Provincia di Milano, l’Arci Cinema e l’Obraz Cinestudio. In campo teatrale ha lavorato fra gli altri con il Teatro Universitario di Richard Gordon e collabora come autore drammatico con la RSI (Radio Svizzera Italiana). In campo musicale ha scritto canzoni (musiche e testi) e lavorato per la Ricordi. In campo editoriale ha collaborato fra l’altro con editori ed enciclopedie.
Svolge la professione di consulente aziendale.
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