Libri > Notizie > Fabrizio Vercelli ha fatto una domanda a ciascuno degli autori di Carnevale, la nuova raccolta della collana Camera Oscura, di Edizioni XII. Cominciamo da Samuel Marolla
In occasione della pubblicazione di Carnevale, la nuova raccolta edita da Edizioni XII, Fabrizio Vercelli ha incontrato per noi Samuel Marolla, autore del racconto Peste.
Il racconto è stato il primo a essere analizzato in una serie di articoli a tema apparsi in questi giorni sul blog della casa editrice lecchese, per cercare di scoprire cosa si nasconde dietro la maschera che lo ha ispirato: Le maschere di Carnevale: Peste.
[La Tela Nera]: Samuel, il tuo racconto, Peste, parla di una malattia che si diffonde attraverso la comunicazione. In un'epoca come la nostra, così legata alla debordante presenza di mass media, è possibile, secondo te, distinguere tra comunicazione malata e comunicazione sana?
[Samuel Marolla]: L'informazione di oggi, tranne poche eccezioni, è profondamente malata.
Senza entrare nel facile qualunquismo, quante volte sentiamo al telegiornale, per esempio, informazioni legate all'Europa (di cui facciamo parte), o al mondo? E viceversa, quanti servizi ci siamo sorbiti sulla tragica morte del Polpo Paul?
Quando parlano e scrivono i giornalisti di oggi io non li capisco, mi annoiano.
Se invece leggo cosa scrivevano Montanelli o la Fallaci venti, trenta, quarant'anni fa, è tutto assolutamente chiaro, cristallino.
Moby Dick inizia con "Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa - non importa quanti esattamente - avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m'interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che ho io di cacciare la malinconia [...]."
Oggi il nuovo romanzo dell'autore italiano più letto in Italia e nel mondo comincia con "Mi chiamo Bravo. E non ho il cazzo". E la cosa viene ripresa dal Corriere della Sera con ampio risalto, definendolo "un inizio che vale un intero romanzo".
Sì, credo ci sia un grave problema di comunicazione malata.
Impossibile distinguerla da quella buona, ormai.
L'unico rimedio, per me, è interrompere le comunicazioni.
Mass media, libri, film, musica. Staccare la spina. Un black-out planetario, su base volontaria, che duri cinque o meglio dieci anni. Divieto assoluto per dieci anni di produrre nuova musica, nuovi film, nuovi libri, nuove trasmissioni TV.
Così, quando poi riaccenderemo la corrente, forse saremo riusciti a scremare un po'.
Un dettaglio della tavola all'interno della raccolta Carnevale dedicata al racconto Peste:
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