Libri > Interviste > Due chiacchiere nella ragnatela con l'autore di Acquaragia
Marilù Oliva ha intervistato per LaTelaNera.com l'avvocato e scrittore Stefano Domenichini, autore della raccolta di racconti Acquaragia (Perdisa Pop, collana Corsari, 2010).
[La Tela Neta]: Con Acquaragia hai scelto la formula del racconto. Come hai proceduto metodologicamente? Li hai scritti nel tempo, li hai raggruppati successivamente secondo la suddivisione dell’indice, hai seguito l’ispirazione o ti sei a volte messo a tavolino, dicendoti: “Ora scrivo!”?
[Stefano Domenichini]: Scelta casuale, anzi quasi forzata. A parte La spider rossa e Pensieri di un tuffatore, tutti gli altri racconti sono stati scritti negli ultimi anni. Prima cosa ho fatto? Romanzando un po’ la cosa potrei dire che ho seguito il consiglio che un grande autore dava a chi gli chiedeva come diventare scrittore: prima perdi tempo, fai altro. Lasciando stare il lato romanzesco e tornando alla vita reale, posso dirti che, quando va bene, riesco a rosicchiare una quindicina di giorni all’anno per scrivere e senza avere la sicurezza di averli anche l’anno dopo. Per questo ho scritto racconti: per avere qualcosa di finito al termine della mia breve "vacanza" letteraria. Poi mi sono accorto, a posteriori, che, nonostante la mia applicazione schizofrenica, i racconti che avevo scritto seguivano istintivamente un filo logico; così, raggrupparli in quattro blocchi è risultato immediato e naturale. Le parole della canzone di De Gregori hanno fatto il resto, perché con l’arte più bella, la poesia, spiegano quel filo logico.
[LTN]: Acquaragia è il racconto eponimo del libro, racconto già pubblicato nella raccolta Lama e Trama 3. Acquaragia dà il titolo al libro e gli dà anche il colore. Se ti chiedessi un sottotitolo e un titolo alternativo?
[SD]: Allora, guarda: ti dirò la verità! Io il libro lo volevo intitolare Tutti e trentatré trotterellando e per la copertina avevo proposto un’immagine di Alessia Mertz a novanta gradi appoggiata al cartello stradale di Trento; mi sembrava un buona scorciatoia per centuplicare le vendite! Per fortuna ho trovato un editore serio ed educato (non mi ha mandato platealmente a quel paese!) che ha glissato sull’immagine di copertina e mi ha detto: "con un titolo così potrebbe sembrare un libro stupido e invece non lo è, lascia fare a noi". Così è venuta fuori questa copertina strepitosa, ispirata al racconto La febbre del Pellegrino, opera di Susanna Franchetti, geniale fotografa romana. Siccome sono un testone, diciamo che Tutti e trentatré trotterellando potrebbe essere un buon sottotitolo. Un titolo alternativo? Diciamo Bambini, fantasmi e tuffatori, alla Soriano, per intenderci.
[LTN]: Ma è vero che le donne sposano i cretini?
[SD]: Alla fine ti lascio il cellulare della mia ex moglie: chiedi a lei. Il racconto, in realtà, sdogana i piccioni e spiega il perché della loro insistenza a posarsi sui davanzali e guardare dentro le nostre case. Pio e Mara, i protagonisti, non sono due cretini, più che altro sono due trentenni come tanti che girano a vuoto: vogliono continuare a essere giovani a oltranza e allo stesso tempo sentono il dovere calvinista di assumersi delle responsabilità con il risultato che si innamorano a caso, fanno progetti a caso e si sposano a caso, facendo la felicità dei pubblicitari e di tutta la spazzatura compensativa che riempie le nostre case. Ci sono sempre in giro progetti di legge per semplificare le procedure di separazione e divorzio, ma credo che quello che ci vorrebbe sarebbe una normativa che renda più difficile (e consapevole) il matrimonio.
[LTN]: Quanto c’è, in questi racconti, della tua osservazione diretta della realtà?
[SD]: Il libro è pieno di personaggi divertenti e un poco strampalati. In realtà quei personaggi siamo tutti noi. Ciò che mi piace nella gente è il controcanto, la parte che resta nascosta dietro le abitudini e le convenzioni del quotidiano. Sono convinto che sepolta sotto un enorme quantità di paure, obblighi, regole sociali, rinunce e schiavitù mediatiche ci sia ancora in ognuno di noi una parte viva. Forse pecco di idealismo, ma ne sono convinto, e sono convinto che la salvezza debba passare di lì. Credo che anche il più triste spettatore dei brunivespa e dei santori abbia da qualche parte ancora un po’ di energia per identificarsi nel Luxembourg di La febbre del Pellegrino e nel Dottor Gibaud che a più di settan’anni decide di fare la rivoluzione.
[LTN]: Il tuo tempo e la scrittura. (quando scrivi, dove, se in silenzio)
[SD]: Ahia, qui mi tocchi un tasto dolente. In realtà non scrivo mai. Come ho detto prima, quando va di lusso, 15 giorni all’anno, ma ho passato anche interi anni senza toccare la penna. Il motivo è semplice: mi sono scelto una vita che con la scrittura c’entra poco. Faccio l’avvocato, ho due figli ancora piccoli da crescere e mi piace un casino vivere, non mi faccio mancare niente (non mi riferisco a beni materiali, ovviamente). Totale: il tempo stringe, il pan ci manca. La cosa strana però è che la scrittura permea la mia vita, ogni cosa che faccio penso a come potrebbe essere raccontata. Pier Vittorio Tondelli diceva che lo scrittore è quello che pensa di continuo al libro che vorrebbe scrivere; credo di essermi fatto un’idea precisa di quello che voleva dire. Quando scrivo non ho bisogno di molto, potrei farlo ovunque: un computer con collegamento internet veloce e libri intorno a me. Spesso metto musica in sottofondo, strumentale però, perché le parole mi colpiscono troppo.
[LTN]: Le tecniche e l’irrazionale. (scaletta cartacea o mentale/dall’idea alla stesura)
[SD]: Prendi, per esempio, La febbre del pellegrino. Un giorno leggo un’intervista a Grace Slick, cantante dei Jefferson Airplane, divenuta una pittrice ormai settantenne. Parlando degli anni tra la fine dei sessanta e l’inizio dei settanta (gli anni d’oro dei Jefferson Airplane) questa bellissima signora dice che tutto sembrava possibile, persino andare alla Casa Bianca e far provare a Nixon l’LSD. A me questa cosa mi è rimasta addosso, mi è sembrato come se a Grace Slick, a distanza di quarant’anni, quell’impresa sembrasse ancora realizzabile. Allora ho studiato tutto quello che c’era da sapere su quegli anni e poi ho deciso di fargliela fare, quell’impresa, in compagnia di due tipi molto curiosi. E’ venuto fuori un racconto molto cinematografico e, secondo me, molto divertente. Questo per dire che irrazionale e tecnica si mescolano alla perfezione: scrivere un racconto è una cosa molto faticosa, il lavoro di ricerca deve essere minuzioso (in questo il mestiere di consulente legale mi aiuta molto): anche se devi scrivere una sola riga su un certo argomento devi conoscerlo bene, perché l’errore è sempre dietro l’angolo. Fatto questo, conta solo il tuo occhio, il peso che dai alle cose, il modo che hai di guardarle, e questo o ce l’hai o non ce l’hai: credo abbia a che fare con la quantità di libertà di cui hai deciso di non poter fare a meno per vivere.
[LTN]: I maestri e i modelli. L’originalità e la contaminazione.
[SD]: Il Bristol nero è una riedizione moderna dell’Orlando Furioso, ma se non avessi dato ai personaggi gli stessi nomi del magnifico poema nessuno se ne accorgerebbe. Tutto quello che guardo, leggo e ascolto, e che mi colpisce, è oggetto di rielaborazione da parte mia: sono una botte in cui si trasformano e si amalgamano la più grande varietà di emozioni, da una singola parola a una teoria fisica a un riff di chitarra. Ogni tanto la botte si apre e viene fuori qualcosa di nuovo. Per quanto riguarda i maestri devo dirti una cosa che riguarda il rapporto che ho con i libri e con certi autori che amo o che ho amato. I miei genitori, per motivi non dipendenti dalla loro volontà, non hanno potuto dedicare passione alla mia crescita, così a educarmi sono stati i libri (e la musica, e il cinema): ho imparato a vivere sui libri, il mio carattere si è formato lì. Se penso agli anni dai dodici ai quindici anni, i debiti più grossi ce li ho con Calvino, Pavese, Hemingway e Rimbaud. Sempre in quegli anni, il libro che mi cambiò la vita fu I fiori blu di Raymond Queneau nella traduzione fatta per Einaudi da Italo Calvino: lì ho imparato una cosa fondamentale, che le cose possono essere guardate in modo completamente diverso da quello che ci viene proposto dalla famiglia e dalla società. C’è un film uscito l’anno scorso che si intitola Stella in cui mi sono molto ritrovato: ecco sì, Stella è una mia sorellina.
[LTN]: La prossima tela che tesserai (progetti).
[SD]: Non ne ho la più pallida idea. Come ti ho detto prima, mi sono preso degli impegni un po’ gravosi nella vita e di mecenati in giro non se ne vedono, quindi potrei anche fermarmi qui. Il problema è che la voglia di scrivere è impellente, scriverei su tutto. Ad esempio, durante il quarto di finale tra Brasile e Inghilterra ai mondiali del Cile nel 1962 un cagnolino nero fece invasione di campo e riuscì a dribblare anche Garrincha; secondo me da quell’episodio potrebbe nascere una storia divertentissima, sì, credo che mi divertirei proprio tanto a scriverla. Una cosa posso dirtela: appoggiata al mio diaframma c’è l’idea di un libro che suoni come un ascolto di musica jazz, qualcosa che unisca Ben Sidran, Chet Baker e Keith Jarret.
[LTN]: Un saluto con una citazione da Acquaragia.
[SD]: "Vedo un’assuefazione al nulla che, a volte, mi sembra peggio del terrorismo".
Marilù Oliva vive a Bologna, insegnante lettere alle superiori, scrive per diversi web magazine tra cui ThrillerMagazine.it. Ha pubblicato brevi saggi storici e letterari, oltre a racconti apparsi su Carmilla e Sugarpulp e su antologie cartacee (tra cui Pink in noir, ed. Zona e Lama e Trama 2009, Perdisa Pop).
Il suo primo romanzo si intitola Repetita (Perdisa Pop, 2009) ed è la storia, narrata in prima persona, e basata su riscontri criminologici, di Lorenzo Cerè, un omicida metodico e inflessibile. Uno psicopatico con un’infazia di abusi che ricorre in continui flashback. Uno studioso ossessionato dalla Storia. Lorenzo Cerè conosce gli uomini e i crimini, il sesso è l’unico lenitivo di un’esistenza che brucia per un passato che lo devasta ancora sotto forma di terribili mal di testa e altre nevrosi. Uccide senza esitare ma non calcola le eccezioni. E la più grande eccezione, la dottoressa Malaspina Marcella, lo aspetta in uno studio psichiatrico...
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