Ercole (Eracle), l'eroe semidio figlio di Zeus
Semidio figlio di Zeus e Alcmena, Ercole è una figura eroica a tratti comica a tratti tragica, nella quale sono predominanti le caratteristiche della forza, dell'intelletto, del coraggio e della potenza sessuale
La mitologia classica è ricca di figure semidivine, per lo più derivanti dalle numerose relazioni extraconiugali di Zeus. Una delle più famose tra esse, ispiratrice di numerosi film nonché di telefilm, fumetti e cartoni animati, è senza dubbio quella di Eracle (o Ercole, a seconda che si usi la versione greca o quella romana), un semidio in tutto e per tutto, al punto di essere adorato e venerato sia come eroe che come dio, ed essere asceso all'Olimpo dopo il trapasso del suo corpo mortale.
Ercole è una figura a tratti comica, in senso gioviale e goliardico, a tratti tragica, nella quale sono predominanti le caratteristiche della forza, dell'intelletto (per quanto non al livello di altri eroi come Ulisse) e del coraggio, ma anche della potenza sessuale, che non mancava di sfoggiare con varie mogli e diversi amanti di ambo i sessi.
Ercole (Eracle): Origini
Ercole è figlio di Zeus e Alcmena, quest'ultima nipote di un altro eroe semidivino, Perseo, anch'egli figlio di Zeus. Questo fa sì che Ercole ne sia al tempo stesso bisnipote e fratellastro.
Lo stratagemma usato dal dio per giacere con la donna è forse uno dei meno improbabili della sua carriera di seduttore, essendo lui già noto per le sue prestazioni in forma di cigno o di pioggia dorata(!). Egli infatti si limitò ad assumere le fattezze del marito di Alcmena, Anfitrione, fingendo di essere appena tornato dalla guerra che l'uomo era andato a combattere.
Il vero Anfitrione tornò a casa la notte stessa e si congiunse a sua volta alla moglie, che si ritrovò dunque a concepire nel medesimo tempo due figli di padri diversi: Alcide, che sarebbe poi stato ribattezzato Eracle in un inutile tentativo di renderlo meno inviso a Era, moglie di Zeus, e Ificlo.
Era, come sempre (e non senza valide ragioni) gelosa, saputo dell'ennesima scappatella del marito decise di organizzare un inganno per punirlo. Ella si fece promettere da Zeus che il discendente di Perseo prossimo a nascere sarebbe divenuto re, poi cospirò con sua figlia Ilizia, dea del parto, per ritardare la nascita dei gemelli, e al tempo stesso accelerò quella di un altro discendente di Perseo, Euristeo, che fu dunque incoronato in vece di Ercole.
Fosse dipeso da lei, Alcide e Ificlo non sarebbero nati affatto, e fu solo l'astuzia di Galantide, ancella di Alcmena, a consentire che venissero al mondo. La donna, dopo sette giorni in cui la puerpera soffriva per l'impossibilità di dare alla luce i propri figli, si recò al cospetto di Ilizia, che se ne stava seduta a gambe incrociate e con le vesti annodate per imprigionare i bambini nel grembo materno, e affermò che il parto era già avvenuto. Colta di sorpresa, la dea fece un salto e senza volerlo sciolse così le proprie vesti, lasciando che Alcmena potesse davvero partorire. Il suo gesto non fu senza conseguenze, poiché Ilizia si vendicò trasformandola in una donnola.
Per timore della vendetta di Era, la neo mamma rivelò subito quale dei due bambini fosse figlio di Zeus e lo abbandonò tra i boschi. Il neonato venne però preso in consegna da Atena che lo portò a Era senza dirle chi fosse. Questa, impietosita dal bambino strillante e affamato, lo allattò al proprio seno, e così facendo gli diede poteri sovrannaturali (nella versione romana, Giove stesso portò il bambino da Giunone attaccandoglielo al seno mentre dormiva).
Il bimbo succhiò dal seno con tanta avidità da far male alla dea, che si staccò da lui all'improvviso e sparse così il proprio latte nei cieli, dando origine alla via lattea.
L'inganno subito alimentò l'odio di Era nei confronti di Ercole, cosa che divenne fattore scatenante di molte delle avventure e tragedie vissute in seguito dall'eroe. Egli, però, diede sempre grande prova di sé, fin da quando, all'età di soli otto mesi, strangolò senza sforzo due serpenti inviati dalla dea a ucciderlo in culla.
L'indovino Tiresia, chiamato da Anfitrione dopo questa impresa, vaticinò che l'infante avrebbe in futuro sconfitto innumerevoli mostri.
Nonostante sapesse che il piccolo non era suo figlio, Anfitrione non si risparmiò nel prendersene cura e lo affidò ai migliori maestri e tutori. Gli fece insegnare la medicina dal centauro Chirone, il tiro con l'arco da Eurito, la scherma da Castore e l'arte della lotta da Autolico, preparandolo al suo destino.
La sua prima vittima non fu però un mostro bensì il suo insegnante di musica, Lino, figlio di Apollo. Reo di aver corretto gli errori del pargolo, il cantore venne colpito con una lira restandone ucciso, e ad Anfitrione non rimase che spedire il suo figlio adottivo sui monti, a prendersi cura del bestiame, dove rimase fino ai diciotto anni.
Qui Ercole ricevette la visita di due ninfe, Piacere e Virtù, che gli diedero un'opportunità concessa a pochi: quella di scegliere se avere una vita facile e piacevole o una dura ma gloriosa.
L'eroe scelse la seconda.
Ercole (Eracle): Le prime imprese
Dopo la sua scelta, Ercole prese a vagare per il mondo cercando di fare del bene all'umanità.
Questo lo portò a compiere le sue prime imprese, come lo scontro con il brigante Temero, che amava uccidere i viandanti sfidandoli a una lotta a testate, e che scoprì con (giocoforza breve) disappunto che il cranio di Ercole era troppo duro per il suo, tanto da frantumarglielo.
Dopo aver sconfitto sul monte Citerone un leone che faceva strage di pecore ed essere rimasto per un periodo ospite del re Tespio, tornò verso Tebe e incontrò gli araldi del re di Orcomeno, giunti lì a richiedere un tributo di guerra. Incollerito per l'atteggiamento di costoro, l'eroe si ribellò e tagliò loro naso e orecchie, rimandandoli poi dal loro re e scatenando così un attacco di rappresaglia.
Nello scontro che seguì, Ercole diede grande prova di sé e uccise con le sue mani il re di Orcomeno, ma la battaglia non fu priva di vittime, tra le quali anche Anfitrione.
Ercole (Eracle): Le dodici fatiche
Tra le imprese di Ercole, quelle che vengono ricordate più spesso sono le sue dodici fatiche, compiute mentre era al servizio del suo rivale e cugino Euristeo, che gli aveva usurpato il trono grazie alle macchinazioni di Era. Sono imprese tanto paradigmatiche da aver funto esse stesse da ispirazione per narrazioni contemporanee (come il film di animazione Le dodici fatiche di Asterix o il fumetto disneyano Le dodici fatiche di Paper-Bat, con l'alter ego di Paperoga quale improbabile eroe di turno).
Dopo la battaglia contro Orcomeno, Ercole ricevette come ricompensa la mano di Megara, la figlia maggiore del re di Tebe, Creonte. I due vissero assieme per alcuni anni presso la corte di Anfitrione.
Durante un periodo di assenza dell'eroe, però, Megara venne violentata da Lico. Quando Ercole lo scoprì, in preda alla furia uccise Lico. Poi, spinto da Era che alimentò la sua collera e instillò in lui la follia, massacrò anche Megara e i figli che aveva avuto da lei.
Tornato lucido, si dice grazie a una botta in testa datagli da Atena con una pietra(!), egli fu inorridito da quanto aveva compiuto e nella disperazione meditò perfino il suicidio, ma venne dissuaso da suo cugino Teseo, che lo portò ad Atene per un rito di purificazione che lo avrebbe mondato del peccato. (In realtà resta da capire come Teseo possa averlo fatto se si considera che non metterà piede ad Atene prima che Ercole abbia compiuto la sua settima fatica…)
Nonostante ciò, Ercole desiderava ancora l'espiazione, per questo si recò presso l'Oracolo di Delfi sperando di trovare un modo per fare ammenda dell'orribile peccato di cui si era macchiato, e ignaro del fatto che l'Oracolo stesso fosse manipolato da Era. Il responso fu che avrebbe dovuto mettersi per dieci anni al servizio di Euristeo e accettare qualunque compito gli fosse stato assegnato dal re. In cambio, oltre al perdono, avrebbe ricevuto l'immortalità.
Euristeo assegnò a Ercole dieci compiti da svolgere, che lo avrebbero portato in luoghi cari a Era e vicini all'aldilà, per compiere imprese ritenute impossibili. Questo poiché il vero scopo delle prove era tentare di portare l'eroe alla morte piuttosto che renderlo immortale.
Al termine delle dieci fatiche, tuttavia, altre due vennero aggiunte, in quanto Euristeo si rifiutò di considerare svolte due di esse: l'uccisione dell'Idra di Lerna, poiché per sconfiggerla Ercole si era fatto aiutare da suo nipote Iolao, figlio di Ificlo, e la pulitura delle stalle di Augia, in quanto l'eroe aveva accettato, anche se non ricevuto, un compenso.
Le dodici fatiche non sono riportate nel loro insieme in alcuna narrativa coerente e devono essere spesso ricostruite da varie fonti, non sempre concordi nell'ordine e nel numero, tanto che lo stesso rifiuto di Euristeo di convalidarne due sembra in effetti essere uno stratagemma per riconciliare il numero di dieci riportato da alcuni col successivo numero di dodici.
Tra i più accreditati elenchi ordinati delle dodici fatiche, vi è quello di Apollodoro, qui utilizzato.
Le Dodici Fatiche di Ercole: Il leone di Nemea
La prima delle fatiche vide Ercole contrapposto al temibile leone di Nemea, un mostro dalle dubbie origini: forse figlio di Tifone ed Echidna (e dunque fratello dell'Idra di Lerna), forse di Zeus e Selene. Quali che fossero i suoi natali, il leone non poteva essere ucciso da armi umane in virtù della sua pelle impenetrabile, e aveva artigli che tagliavano più di qualunque spada. Non contento, il leone pare avesse l'abitudine di mutare forma, fingendosi una damigella in pericolo per attrarre e divorare guerrieri ed eroi.
Dopo aver trovato la creatura, Ercole tentò inutilmente di ucciderla con le frecce, che rimbalzavano sulla sua pelle senza fargli alcun danno. A nulla valse neppure sradicare un enorme ulivo e usarlo a mo' di clava per colpire la fiera, ma comunque egli conservò l'arma improvvisata che avrebbe poi continuato a usare in futuro.
Secondo alcune versioni riuscì infine a uccidere il leone colpendolo all'interno della bocca, non protetta dalla pelle.
La versione più accreditata è però quella secondo cui il leone venne prima stordito a colpi di clava e poi soffocato da Ercole con la sua enorme forza.
Dopo aver ucciso la bestia, l'eroe tentò in ogni modo di scuoiarla, senza successo, finché Atena, che aveva assistito ai suoi sforzi, gli suggerì di usare un artiglio dello stesso leone. In questo modo egli poté prenderne la pelle, che da allora in poi avrebbe indossato a mo' di cappa.
Quando Ercole fece ritorno da Euristeo con le spoglie della belva, il cugino ne fu talmente sorpreso e inorridito da proibirgli di rimettere piede in città, obbligandolo da quel momento a dargli conto delle sue imprese restando fuori dalle mura.
Le Dodici Fatiche di Ercole: L'idra di Lerna
Sconfitto il leone, Ercole fu inviato a dare la caccia all'idra, una creatura serpentina dalle molte teste figlia di Tifone ed Echidna che infestava e sorvegliava il lago di Lerna, nelle cui acque si nascondeva un passaggio per l'aldilà.
L'idra era un essere velenoso al punto di poter uccidere un uomo col solo fiato, e il solo modo per abbatterla era quello di tagliarle l'unica tra le sue teste a essere immortale.
Ercole era preparato a queste difficoltà, ma non al fatto che per ogni testa che le veniva tagliata la creatura se ne facesse ricrescere due, diventando così sempre più pericolosa. Trovatosi in difficoltà, l'eroe dovette avvalersi dell'aiuto di suo nipote, Iolao, che, forse ispirato da Atena, bruciò con una torcia i moncherini delle teste tagliate, impedendo così che ricrescessero.
Superato così il non indifferente svantaggio, e nonostante l'intervento di Carcino, un enorme granchio inviato da Era per ostacolare l'eroe, Ercole riuscì a sconfiggere l'Idra. Dopo averla decapitata una volta per tutte, ne seppellì la testa immortale sotto una roccia, e impregnò le proprie frecce nel suo sangue velenoso.
L'aiuto di Iolao però fece sì che Euristeo si rifiutasse di considerare valida la prova.
Le Dodici Fatiche di Ercole: La cerva di Cerinea
Considerato che Ercole si era dimostrato fin troppo in grado di sconfiggere dei mostri in combattimento, Era ed Euristeo progettarono un nuovo compito che lo avrebbe messo in serie difficoltà, catturare la cerva di Cerinea. Si trattava di un'enorme cerva sacra ad Artemide, dotata di zoccoli di bronzo (o di ottone, secondo le versioni) e magnifiche corna dorate, capace di correre più veloce di una freccia.
Lo scopo principale della prova era in realtà tentare di scatenare su Ercole l'ira di Artemide per aver cacciato una creatura a lei consacrata. Tuttavia, dopo aver inseguito la cerva per un anno intero attraverso la Grecia, la Tracia, l'Istria e la terra degli iperborei ed essere infine riuscito a catturarla (sul come le versioni sono varie e divergenti), Ercole incontrò Artemide e suo fratello Apollo sulla via del ritorno e chiese perdono per il suo gesto, promettendo di restituire la creatura dopo averla mostrata a Euristeo. La dea glielo concesse.
Al cospetto della cerva, Euristeo richiese che essa venisse trasferita nel proprio zoo. Ercole, sapendo di doverla liberare, accettò a condizione che fosse il re a prenderla dalle sue mani. Appena la ebbe lasciata, la cerva fuggì via in un lampo, e l'eroe poté quindi affermare che Euristeo era stato troppo lento ad afferrarla.
Le Dodici Fatiche di Ercole: Il cinghiale di Erimanto
Sempre più stizzito per i successi del cugino, Euristeo lo inviò a catturare il possente cinghiale di Erimanto, un'enorme bestia inviata da Apollo a uccidere Adone, uno dei favoriti della dea Afrodite, rea di aver accecato suo figlio Erimanto che l'aveva vista mentre faceva il bagno.
Per avere consiglio su come catturare l'animale, Ercole si recò da Folo, un centauro suo amico di lunga data, che condivise con lui il suo pasto. Quando Ercole chiese del vino, il centauro si rammaricò per avere solo del vino datogli da Dioniso quale dono per tutti i centauri, che avrebbe dovuto condividere con loro. Ercole riuscì a convincerlo ad aprire comunque l'otre, ma quando questo venne stappato l'odore attrasse tutti gli altri centauri. Questi, irati per non essere stati chiamati a bere il vino assieme a Folo, attaccarono Ercole, che si vide costretto ad abbatterli con le proprie frecce avvelenate.
Folo, incuriosito dall'efficacia delle frecce, ne raccolse una ma se la lasciò cadere, ferendosi e venendo avvelenato a sua volta.
Una delle frecce colpì anche il saggio centauro Chirone, che già era stato maestro di Ercole in gioventù. Questi, a differenza degli altri, era immortale, ma il veleno gli causò dolori atroci, al punto da spingerlo a rinunciare alla propria immortalità in favore di Prometeo e prendere il posto di quest'ultimo nella punizione inflittagli da Zeus per aver rubato il fuoco agli dei (evidentemente ritenendo che farsi divorare in eterno il fegato da un'aquila fosse comunque preferibile al veleno). La sua tortura comunque non durò a lungo, poiché Ercole stesso uccise il rapace che lo tormentava.
Chirone rivelò all'eroe che per catturare il cinghiale avrebbe dovuto attirarlo nella neve. Fu così che Ercole riuscì a intrappolare la bestia e portarla al cospetto di Euristeo.
Questi ne fu talmente terrorizzato da andare a nascondersi in una botte e implorare il cugino di sbarazzarsi dell'animale, che venne prontamente gettato in mare, da dove poi raggiunse a nuoto l'Italia.
Le Dodici Fatiche di Ercole: Le stalle di Augia
Il successivo compito assegnato a Ercole, tre giorni dopo il suo ritorno con il cinghiale, avrebbe dovuto rivelarsi tanto umiliante quanto impossibile. Gli venne infatti richiesto di pulire in un solo giorno le stalle di Augia, re dell'Elide, nelle quali dimoravano oltre mille capi di bestiame immortali.
Le stalle, che non venivano pulite da trent'anni, erano inondate di una quantità immensa di letame, e immani nugoli di mosche oscuravano la vista in tutta la zona.
Dopo aver detto ad Augia che si sarebbe occupato della pulizia, Ercole contrattò perché gli venisse dato un decimo del bestiame se fosse riuscito a concludere l'impresa in un giorno. Poi aprì una breccia nelle pareti dei locali e deviò il corso di due fiumi, l'Alfeo e il Peneo, perché portassero via lo sporco, depositandolo nelle valli destinate al pascolo.
Augia, convinto che l'eroe avrebbe fallito, non accettò di buon grado il risultato e si rifiutò di consegnargli il bestiame promesso, asserendo che erano stati i fiumi a effettuare la pulizia. Per questo Ercole lo uccise e consegnò il regno nelle mani di suo figlio, Fileo, che si era invece schierato contro il padre dalla sua parte.
Euristeo però si rifiutò di considerare valida questa prova, poiché Ercole aveva richiesto un compenso.
Le Dodici Fatiche di Ercole: Gli uccelli di Stinfalo
Nelle paludi del lago Stinfalo vivevano uccelli sacri ad Ares che si nutrivano di carne umana. Essi avevano becchi di bronzo, penne metalliche affilate come rasoi, che erano in grado di lanciare contro le proprie prede per trafiggerle, ed escrementi tossici!
Ercole, mandato a uccidere gli uccelli, non riuscì a inoltrarsi a sufficienza nelle paludi poiché non aveva abbastanza terreno solido su cui muoversi. In suo soccorso giunse Atena, donandogli un sonaglio di bronzo fatto realizzare appositamente da Efesto. Il suono di quest'ultimo spaventò gli uccelli facendoli levare in volo, così che Ercole poté bersagliarli con le sue frecce, uccidendone molti e mettendo in fuga per sempre gli altri.
Le Dodici Fatiche di Ercole: Il toro di Creta
Tornato da Euristeo con le sue prede, Ercole venne inviato ad affrontare un ulteriore mostro, il toro di Creta, che aveva generato il Minotauro assieme alla moglie del re Minosse, Pasifae.
Giunto in città, l'eroe si incontrò con Minosse che, ben felice di sbarazzarsi dell'animale, gli concesse di portarlo via e gli offrì perfino il suo aiuto per catturarlo, che egli però rifiutò.
Dopo aver preso alle spalle l'animale, Ercole lo afferrò e lo soffocò, senza però ucciderlo, con la sua grande forza, per poi inviarlo a Euristeo. Questi, dal suo rifugio sicuro nella botte dove si era tuffato alla sola vista del toro, propose di sacrificare la bestia a Era, ma la dea rifiutò il sacrificio poiché avrebbe dato gloria riflessa a Ercole.
Di conseguenza il toro fu liberato e si stabilì nei pressi di Maratona, dove in seguito sarebbe stato catturato da Teseo e sacrificato ad Apollo.
Le Dodici Fatiche di Ercole: Le cavalle di Diomede
Il successivo compito assegnato a Ercole fu quello di rubare le cavalle di Diomede, gigante re della Tracia e figlio di Ares. Ciò che l'eroe non sapeva era che si trattasse di cavalle folli e incontrollabili che il loro proprietario nutriva con carne umana, dando loro da mangiare i suoi nemici uccisi in battaglia o, in mancanza, gli ospiti di feste organizzate appositamente, che poi sgozzava durante la notte mentre erano ubriachi, addormentati e indifesi.
Rubate le cavalle con l'aiuto di alcuni ragazzi suoi compagni, l'eroe rimase indietro a combattere Diomede, lasciando a sorvegliarle il suo favorito, Abdero, che ne venne perciò divorato. Per la collera, Ercole uccise Diomede, lo fece a pezzi e lo diede in pasto alle sue stesse cavalle, cosa che in qualche modo ebbe il potere di calmarle consentendogli di portarle senza difficoltà da Euristeo.
Secondo alcune versioni, il re fece sacrificare le bestie a Era. Secondo altre le liberò, ormai innocue, nei dintorni di Argo, e secondo altre ancora volle farle sacrificare a Zeus, che però le rifiutò e le fece uccidere da lupi, leoni e orsi da lui inviati.
In ogni caso, Ercole aveva terminato anche questa prova con successo.
Le Dodici Fatiche di Ercole: La cintura di Ippolita
Euristeo decise quindi di mandare suo cugino tra le amazzoni per prendere la cintura della loro regina, Ippolita, che egli intendeva donare a sua figlia Admeta.
Per una volta il compito avrebbe potuto rivelarsi di tutto riposo, poiché Ercole venne accolto con favore dalle donne guerriere e la stessa Ippolita, salita sulla sua nave portando doni di benvenuto, acconsentì a cedergli la sua cintura senza alcun problema.
Era, tuttavia, tutt'altro che lieta di come le cose stavano procedendo, si finse ella stessa un'amazzone e sparse la voce che Ercole fosse giunto lì con l'intenzione di rapire la regina. Questa diceria fu ulteriormente alimentata dalle azioni di Teseo, che aveva accompagnato Ercole nel viaggio e aveva poi deciso di rapire una delle guerriere, Antiope.
Qui le versioni sono in realtà confuse e discordanti, in quanto secondo alcuni Teseo avrebbe rapito Ippolita stessa per poi sposarla, avere con lei un figlio, Ippolito, e nel suo più puro stile scaricarla infine per un'altra donna, finendo per causarne la morte in una rissa al suo matrimonio.
Per altri, Ippolita sarebbe stata uccisa da Ercole, convinto che l'avesse tradito, quando le amazzoni, spinte da Era, attaccarono la nave. In apparenza nessuna delle due cose avrebbe impedito a Ippolita di essere uccisa da sua sorella Pentesilea in un incidente di caccia e/o durante la guerra di Troia.
Con o senza Teseo, Antiope, Ippolita e/o il suo cadavere, Ercole riportò la cintura a Euristeo, che non perse tempo a inviarlo a compiere una nuova missione.
Le Dodici Fatiche di Ercole: I buoi di Gerione
Nell'isola di Erythia viveva Gerione, una gigantesca creatura forse alata, figlia di Crisaotre e nipote di Medusa, sul cui numero di corpi, arti e teste non esiste alcuna certezza, salvo che non era quello che ci si aspetterebbe di solito. Egli possedeva una magnifica mandria di buoi dal manto rosso, che a Ercole fu dato il compito di rubare.
Durante il viaggio, Ercole separò i monti Abila e Calipe e piantò le Colonne d'Ercole, in corrispondenza dell'attuale stretto di Gibilterra. Poi, snervato dal lungo attraversamento del deserto libico, lanciò per protesta una freccia contro il sole, ovvero il dio Helios. Questi, ammirato il suo coraggio, gli concesse il proprio battello a forma di coppa per consentirgli di raggiungere la sua destinazione.
Il furto in sé non si rivelò ifficile. L'eroe si sbarazzò con un solo colpo di clava a testa dei due guardiani della mandria, il cane a due teste Ortro, fratello di Cerbero, e il mandriano Eurizione, figlio di Ares e di una delle esperidi, quindi uccise lo stesso Gerione trapassandogli il cranio con una freccia.
Il vero problema giunse quando si trattò di portare la mandria a Euristeo.
Dapprima, parte dei capi venne rubata dal gigante Caco, che li fece camminare a marcia indietro per confondere le tracce, ed Ercole fu costretto a una deviazione per recuperarla, secondo alcuni con l'aiuto della sorella del ladro, Caca(!).
Non molto dopo, Era inviò un tafano a infastidire e disperdere la mandria, costringendo l'eroe a impiegare un intero anno per rimetterla assieme e, infine, consegnarla a Euristeo, che sacrificò i bovini a Era.
Le Dodici Fatiche di Ercole: I pomi delle Esperidi
Quando Ercole riportò la mandria di Gerione a Euristeo, completando così la decima delle fatiche che gli era stato richiesto di compiere, suo cugino si rifiutò di dichiarare terminato il suo periodo di servizio, affermando che né l'uccisione dell'Idra di Lerna né la pulizia delle stalle di Augia erano valide, e di conseguenza gli assegnò altri due compiti.
Il primo lo avrebbe portato nella terra delle Esperidi, per prendere le mele d'oro che crescevano nel loro favoloso giardino, sull'albero attorno a cui stava avvolto Ladone, il drago-serpente dalle cento teste che non dormiva mai.
Per poter trovare il giardino, egli cercò il dio fluviale e metamorfico Nereo, dotato di onniscienza, e lo imprigionò nonostante le sue mutazioni, riuscendo così a farsi rivelare ciò che gli serviva.
In alcune versioni, Ercole uccise Ladone e si impossessò delle mele.
In altre egli richiese l'aiuto di Atlante, il titano padre delle Esperidi che reggeva il cielo sulle proprie spalle, offrendosi di sostituirlo mentre andava a prendere le mele. Al suo ritorno, però, Atlante tentò di ingannare Ercole offrendosi di consegnare le mele al suo posto, intenzionato a non riprendere il suo compito. Ercole finse di accettare ma gli chiese di riprendere il cielo per qualche minuto per permettergli di sistemarsi la cappa sulle spalle in modo da stare più comodo. Quando Atlante si fece nuovamente carico della volta celeste, l'eroe prese le mele e se ne andò.
Non è ben chiaro come mai Ercole abbia trovato Atlante in carne e ossa quando il suo bisnonno Perseo lo aveva tramutato in pietra per pietà, usando la testa della Medusa, molto tempo prima.
Le Dodici Fatiche di Ercole: La cattura di Cerbero
L'ultima fatica che Ercole dovette affrontare fu progettata per essere anche la più difficile. Egli venne infatti inviato nell'Ade a cercare e catturare Cerbero, il cane a tre teste figlio di Tifone ed Echidna che impediva alle anime dei morti di fuggire.
Dopo essere stato iniziato ai Misteri Eleusini per consentirgli di entrare e uscire dall'aldilà, Ercole si recò nel regno dei morti dove incontrò i suoi antichi compagni, Teseo e Piritoo, imprigionati lì per aver tentato di rapire la moglie di Ade, Persefone. Dopo un tentativo di liberarli riuscito a metà, poiché il desiderio di Piritoo per la moglie di un dio era troppo grave per consentirgli di essere mai rilasciato, l'eroe si recò al cospetto di Ade per chiedergli il permesso di portare Cerbero in superficie. Il dio glielo concesse a condizione che si dimostrasse in grado di sconfiggere il mostruoso cane senza adoperare armi, cosa che Ercole fu ben felice di fare.
Quando Euristeo si vide consegnare Cerbero dovette giocoforza considerare concluse le prove, non prima di essersi nascosto nella sua botte preferita e aver chiesto che il cane infernale venisse rimandato nell'Ade.
Altre imprese di Ercole
Sono numerose le altre imprese di Ercole non direttamente correlate alle dodici fatiche, anche se alcune di esse potrebbero essersi svolte comunque durante gli anni passati al servizio di Euristeo.
Oltre all'aver partecipato alla spedizione di degli Argonauti al fianco di Giasone, almeno fino a quando i Boreadi non convinsero il loro condottiero a lasciarlo indietro, egli uccise numerosi giganti, tra cui Cicno, Porfirio, a cui impedì così di stuprare Era, e Anteo, che era immortale fintantoché era in contatto con la terra e che l'eroe uccise tenendolo sollevato dal suolo e strangolandolo.
Tra altre cose di minore importanza, sfidò Dioniso a una gara di bevute (perdendo) e sconfisse perfino la morte stessa, impedendole fisicamente di prendere la vita di Alcesti, moglie di Admeto, re di Fere e Argonauta.
Eracle tra Amori e discendenza
Numerosi sono gli amori, le mogli e ancor più i figli di Ercole.
Durante il periodo in cui fu ospite dal re Tespio, l'eroe generò cinquanta figli con le altrettante figlie del suo ospite, che, desideroso di avere una sua discendenza, gliene mandava una per notte facendogli credere che fosse sempre la stessa.
Solo una, desiderando rimanere vergine, si rifiutò. Le altre si congiunsero a lui, concepirono e partorirono, una di esse avendo due gemelli.
Da Megara, Ercole ebbe due, sei o forse otto figli, nessuno dei quali destinato a sopravvivere alla furia omicida instillata in lui da Era.
Durante il periodo a servizio di Euristeo, in apparenza l'eroe si consolò principalmente con amanti di sesso maschile, tra i quali potrebbe essere incluso il nipote Iolao, secondo alcuni invece solo un compagno d'armi, e di cui fa di certo parte il giovane Abdero, divorato dalle cavalle di Diomede, in onore del quale Ercole fondò la città di Abdera.
Non è chiaro se ci sia stato o meno un breve rapporto con Ippolita, regina delle Amazzoni.
Terminate le dodici fatiche, essendo ormai trascorso del tempo dalla morte di Megara, per la quale aveva fatto infine ammenda, Ercole si invaghì di Iole, la figlia del suo antico maestro d'arco Eurito, e ne vinse la mano in una gara di tiro con l'arco. Tuttavia Eurito si dimostrò poco desideroso di concedere sua figlia a un uomo che aveva ucciso la propria moglie e si rifiutò di tenere fede al patto. Inoltre accusò Ercole di avergli rubato dei buoi, che in realtà erano stati trafugati da Autolico.
In compagnia del suo amico Ifito, unico tra i figli di Eurito a essersi schierato dalla sua parte, l'eroe si mise in cerca dei capi rubati per dimostrare la sua innocenza, ma durante l'impresa Era lo accecò nuovamente con un impeto di follia, spingendolo a gettare Ifito giù da una torre.
Tornato in sé, l'eroe cercò di fare ammenda, ma questa volta nessuno accettò di compiere il rito purificatore.
Egli tornò dunque a Delfi, dove l'Oracolo si rifiutò di dargli una risposta, facendolo infuriare e costringendo la Pizia a richiedere l'aiuto di Apollo, che si manifestò per affrontarlo. Lo scontro fu talmente violento che Zeus stesso dovette intervenire per separare i due e obbligare la sacerdotessa a dire a Ercole cosa avrebbe dovuto fare per espiare.
Fu così che egli si fece vendere come schiavo alla regina Onfale della Lidia, che ben presto lo promosse a proprio compagno… o forse a proprio giocattolo, poiché si dilettava a farlo vestire da donna e fargli filare la lana, anche se questo non impedì loro di avere un figlio.
Stanco di quella vita ben poco adatta a lui, Ercole lasciò Onfale dopo tre anni e si imbarcò in una missione di vendetta contro tutti coloro che gli avevano fatto torto, a partire dai Boreadi che uccise a colpi di clava, pur pentendosene subito dopo e dando loro degna sepoltura.
Durante questo periodo si innamorò della sacerdotessa Auge, dalla quale ebbe due figli.
Giunto infine in Caledonia per consegnare alla figlia di Eneo, Deianira, un messaggio inviatole dal regno dei morti dal fratello Meleagro, egli si innamorò della donna e decise di sposarla, anche se per farlo dovette sconfiggere un possente rivale, il dio fluviale Acheloo, che lo affrontò mutandosi prima in serpente e poi in toro. Ercole riuscì comunque a batterlo e metterlo in fuga, non senza avergli spezzato un corno.
Da questo caddero durante la ritirata delle gocce di sangue che diedero vita alle sirene.
La morte di Ercole
La non proprio gloriosa fine dell'eroe viene narrata nelle Metamorfosi di Ovidio.
Diretto in Tessaglia in compagnia di Deianira, Ercole giunse sulle sponde di un fiume impetuoso che aveva necessità di attraversare. Per lui non sarebbe stato un problema farlo a nuoto, ma non così per la sua sposa.
Il centauro Nesso, che si trovava nei pressi, si offrì allora di portare la donna dall'altra parte. Le sue intenzioni erano però tutt'altro che pacifiche e, mentre Ercole si trovava ancora in acqua, tentò di rapire Deianira, solo per ritrovarsi trafitto da una delle famigerate frecce avvelenate col sangue dell'Idra di Lerna.
Progettando una vendetta postuma, il centauro diede a Deianira la sua tunica intrisa di sangue, avvelenato dalla freccia, dicendole che se mai avesse dubitato dell'amore di suo marito, fargli indossare quell'abito lo avrebbe riportato da lei.
Anni dopo, quando la donna vide Ercole tornare da un'avventura portando con sé Iole, che sapeva essere una sua vecchia fiamma, decise di usare la tunica del centauro e gliela fece consegnare dal suo servitore, Lica. Quando alcune macchie di sangue lasciate dalla veste presero a bruciare alla luce del sole, ella si insospettì e tentò di fermare la consegna, ma era ormai troppo tardi: Ercole aveva indossato la tunica senza sospettare nulla e questa aveva iniziato a causargli dolori atroci, attaccandoglisi al corpo così che non gli era possibile strapparla senza portarsi via la carne.
Incapace di resistere, l'eroe si fece costruire una pira funebre e vi si gettò sopra.
Alla sua morte, Zeus lo accolse nell'Olimpo, dove egli si riconciliò con Era che gli concesse in sposa sua figlia Ebe. La parte mortale dell'eroe andò invece nell'aldilà, dove tempo dopo avrebbe incontrato Ulisse, ma questa è un'altra storia...
Fonti:
http://en.wikipedia.org/wiki/Hercules
http://en.wikipedia.org/wiki/Labours_of_Hercules
http://it.wikipedia.org/wiki/Eracle
http://www.timelessmyths.com/classical/heracles.html
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