Louis-Claude de Saint-Martin, il filosofo incognito

Vita e pensiero di Louis-Claude de Saint-Martin e la figura del Cristo come Riparatore...

Il XVIII secolo in Europa, ha rappresentato, senza ombra di dubbio, un punto di svolta per lo sviluppo del pensiero. «Sapere aude!» tuonava Kant, citando Orazio, nello spronare gli uomini a far uso del proprio intelletto senza timore.

Ma se da un lato l'âge des lumiere ha rappresentato per molti l'affrancamento dal giogo dello spirito in favore di un'etica e di una morale sociale, dall'altro vediamo, proprio in questi anni, un fiorire di scuole e ordini iniziatici che, in aperto contrasto con la massoneria prettamente illuminista, mantengono vivo il flusso sotterraneo della Tradizione.

Da questo sostrato esoterico emerge la figura, spesso ignorata, di Louis-Claude de Saint-Martin, un uomo destinato a rappresentare una pietra miliare per il misticismo cristiano.


Louis-Claude de Saint-Martin: la vita e le opere

Louis-Claude de Saint-Martin nasce il 18 gennaio 1743 ad Amboise, quarto figlio di Claude-François, Signore di Borie e del Buisson, e Louise Tournyer.

Nel 1749, in seguito alla morte della moglie, il padre convola a seconde nozze con Marie-Anne Trenzine. La figura della donna ha un ruolo determinante nella formazione del filosofo.

In relazione a quel periodo scriverà, anni dopo, ne Il mio ritratto storico e filosofico: «Ho una matrigna a cui devo forse tutta la mia fortuna, poiché è lei che mi ha dato i primi elementi di quell'educazione, dolce e devota, che mi ha fatto amare da Dio e dagli uomini» (art. 111).

È un giovane dotato e precoce, dedito principalmente a letture di carattere filosofico o meditativo. L'arte di conoscersi da se stesso di Jacques Abbadie è tra le sue opere favorite e alla sua lettura attribuirà la successiva propensione al distacco mondano.

Frequenta il collegio di Pont-Levoy per poi proseguire gli studi, su insistenza del padre, alla facoltà di diritto di Parigi (1759-1762). La sua carriera di giurista è assai breve e dopo soli sei mesi, nei quali ricopre il ruolo di avvocato regio presso il seggio di Tours, la abbandona per arruolarsi nell'esercito.

Nel 1765 è ufficiale nel reggimento di Foix di stanza a Bordeaux. È qui che avviene il suo incontro con l'enigmatico Dom Martines de Pasqually dal quale riceverà l'iniziazione all'ordine cristiano-gnostico dei Cavalieri Massoni Eletti Cohen dell'Universo (vedi sigillo a destra).

Al seguito del maestro, del quale sarà anche segretario, entra in contatto con alcuni grandi pensatori ed esoteristi dell'epoca: Bachon de la Chavallerie, Du Roy d'Hauterive, De Lusignan e Jean Baptiste Willermotz. Presso quest'ultimo si trasferisce nel 1773, dopo aver abbandonato definitivamente la vita militare.

Durante il suo soggiorno a Lione dà alla luce le prime opere: il Libro Rosso, raccolta di insegnamenti Cohen, e le Istruzioni sulla saggezza, destinate ai discepoli di Willermotz.

Nel 1778 la partenza di de Pasqually per Santo Domingo, dove morirà l'anno successivo, produce profondi sconvolgimenti nell'Ordine. Le dottrine martineziste si fondono con le scuole parigine dei Filaleti e dei Gran Professi. Saint-Martin viene invitato ad aderire alla nuova organizzazione, ma rifiuta. In una lettera dell'epoca scrive: «Vi era in tutti noi un fuoco di vita e di desiderio che ci proteggeva e ci faceva progredire con molta grazia e armonia, ho tuttavia sempre sentito un'inclinazione così intensa per la via interiore e segreta, che la via esteriore non mi ha mai veramente attratto, neppure nella prima giovinezza.»

Iniziano per lui anni di peregrinazioni e profonda attività intellettuale. Dapprima è a Parigi, dove l'innato carisma e l'eloquio brillante gli aprono le porte dei salotti e l'amicizia dell'aristocrazia illuminata.
Charles Henri, barone di Gleichen, lo descrive così: «Non aveva affatto l'aspetto di un filosofo, sembrava invece un giovane santo. La sua devozione, la profonda riservatezza e la castità di vita sembravano eccessive in un uomo della sua età.»

Risale a questo periodo la stesura dell'opera Quadro naturale dei rapporti che intercorrono tra Dio, l'uomo e l'universo nella quale troviamo in nuce le idee fondamentali sulla dottrina della reintegrazione universale, già postulata da Martines, e sulla figura del Cristo come Riparatore.

Viaggia in Italia e in Inghilterra. Tra il 1786 e il 1787, ospite a Londra del principe Galitzine, compone Il mio libro verde. In questa raccolta di mille articoli espone, in maniera chiara e accessibile, attraverso pensieri e riflessioni, una panoramica del suo pensiero non solo filosofico e religioso ma anche politico e sociale.

Nel 1788 si reca a Strasburgo, dove la sua dottrina giunge a un punto di svolta grazie all'incontro con le opere di Jacob Böhme, che considererà, da quel momento, «la più grande luce umana mai apparsa». Nelle visioni del mistico di Görlitz trova conferma e completamento agli insegnamenti martinezisti che lo portano a definire la sua metafisica.

Durante il soggiorno alsaziano salda i rapporti con Madame Charlotte de Boecklin, «un'amica impareggiabile», la prima figura femminile a lui davvero cara dopo il distacco dalla matrigna e con il suo precettore, il testamentarista Rodolphe de Salzmann. Assieme a loro inizia la gravosa opera di traduzione dei testi di Böhme in francese, progetto che continuerà fino alla morte.

Nel 1789 inizia la stesura de Il mio ritratto storico e filosofico, un diario spirituale profondamente intimista steso a beneficio dei futuri discepoli. Nell'articolo 1135 dell'opera, Saint-Martin scrive: «Questo compito è nuovo e pieno di numerosi ostacoli. È così lento che sarà solamente dopo la mia morte che esso produrrà i suoi bei frutti». Un'intuizione veritiera alla luce dell'influenza esercitata dal pensiero martinista su personaggi quali Franz Von Badeer, Joseph de Maistre, Honoré de Balzac e quanti, ancora oggi, si accostano alla sua dottrina.

Al suo ritorno da Strasburgo la capitale è in fermento per l'imminente rivoluzione. La filiazione massonica e le amicizie illuministe lo preservano dalle rappresaglie contro la nobiltà e, in un primo momento, l'assemblea costituente pensa di nominarlo precettore del Delfino, detenuto nella Petite Tour.

Tra il 1793, anno che vede la morte del padre, e il 1795 presiede, nel distretto della Loira, le prime assemblee elettorali e viene nominato commissario per la propagazione dell'istruzione pubblica. È da osservare come, pur fedele ai doveri statali, Saint-Martin veda con orrore i disordini dell'epoca, da lui considerati «immagine in miniatura del giudizio universale».

Intrattiene intanto una fitta corrispondenza con il filosofo naturalista Samuel Kirchberger, barone svizzero e membro del Consiglio dei Duecento di Berna. Temi delle loro lettere sono argomenti metafisici, riguardo il destino e l'origine divina dell'uomo. L'amicizia con il nobile, invisa a molti, sfocerà in un mandato di cattura che lo costringerà alla fuga da Parigi.

Libero da qualsiasi obbligo nei confronti delle società massoniche, dalle quali si era già assonnato con una lettera datata 4 luglio 1790, è ora libero di trasmettere il suo insegnamento, riprendendo l'antica tradizione docetica maestro-allievo. Ha origine il cenacolo degli Intimi di Saint-Martin, mai canonizzato in un ordine vero e proprio.

Gli anni successivi vedono la nascita dei suoi lavori più significativi, primo fra tutti L'uomo di desiderio, iniziato nel 1780 ma rivisitato più volte alla luce della dottrina di Böhme. In quest'opera, summa del suo pensiero, composta di 301 canti in forma di salmi, l'anima umana tende alla conquista dello stato primigenio, perduto con la caduta originaria, al quale solo la via dello spirito può ricondurre. La dottrina della Reintegrazione trova compimento.

A questo seguiranno due testi esplicativi, Ecce homo e Il nuovo uomo, scritti a Strasburgo su sprone del Cavalier Silverhielm, elemosiniere del Re di Svezia e nipote del mistico Swedenborg.

Non mancano suoi interventi in ambito sociale e politico: Lettera a un amico, o considerazioni politiche, filosofiche e religiose sulla Rivoluzione Francese (1795), Lampo sull'associazione umana (1797) e Riflessioni di un osservatore (1797).

Nel 1799 dà alle stampe Il Coccodrillo, romanzo epico-allegorico in prosa e versi. Abilmente intessuto nell'opera è il saggio riguardo l'influenza dei segni sulla formazione delle idee, che esplicita le tesi esposte da Saint-Martin contro le posizioni materialiste del professore parigino Joseph Dominique Garat.

Dello spirito delle cose (1800) e Il ministero dell'uomo-spirito (1802) completano il percorso ideale iniziato, più di vent'anni prima, con il Quadro naturale e passato attraverso L'uomo di desiderio.

Stanco, provato dalle avvisaglie di una malattia incipiente, si ritira ad Auney, presso la casa del conte Lenoir La Roche. In una lettera all'amico Willermotz scrive: «la vera parola nasce sempre e ovunque dall’angoscia e noi non possiamo ricevere né realizzare nulla se non attraverso l’angoscia, perché solo le parole nate dall’angoscia favoriscono l’evoluzione dell’uomo, sono ricche di simboli e feconde in quanto sono l’espressione della vita e dell’amore. Il cuore dell'uomo è nato per essere depositario dell'angoscia di Dio».

Il 12 ottobre 1803, per intercessione dell'amico e discepolo J. B. Gence, ottiene l'incontro con il matematico e occultista De Rossel, sulle cui teorie aveva basato la sua opera breve I numeri (1802). Al termine del colloquio confida allo stesso Gence: «Sento che me ne vado. La Provvidenza può chiamarmi, io sono pronto. I germi che mi sono forzato di seminare fruttificheranno. Rendo grazie al cielo d'avermi accordato l'ultimo favore che chiedevo».

Il giorno successivo, contornato dai discepoli e dagli amici più cari, spira serenamente senza agonia né dolore.


Louis-Claude de Saint-Martin: il pensiero

«L'uomo è la spiegazione di tutti gli enigmi» scrive Saint-Martin ne Lo spirito delle cose. In quest'affermazione è racchiuso il secretum di tutta la sua dottrina.

Nel Ministero dell'uomo-spirito riprende: «Le verità attinte dalla natura dell'uomo non possono che ottenere una completa vittoria sull'incredulo, poiché pongono nella condizione di sentire e di condividere tutta la dignità legata alle qualità umane». Queste asserzioni, apparentemente antropocentriche, acquistano valore alla luce dell'intero pensiero martinista.

Sarebbe impossibile illustrare in breve la complessa dottrina del filosofo di Amboise, prenderemo quindi in esame i punti salienti basandoci sul contenuto della sua opera principale: L'uomo di desiderio.

Fedele alla dottrina di De Pasqually, Saint-Martin vede il creato come emanazione del Principio Supremo.

«Se il mio pensiero non fosse stata una delle tue scintille, non avrei ora il potere di contemplarti». (Canto 2)

Nell’atto emanativo Dio non subisce tuttavia nessuna perdita, né separazione o alterazione della sua essenza. Come un fuoco è in grado di dar vita ad altri suoi simili senza esaurirsi ma, anzi, rendendoli in grado di fare lo stesso, così il Principio Primo dà origine all’uomo, ultima e più grande delle sue emanazioni, e lo rende attivamente simile a lui.

«Uomo, dove trovare un destino che sorpassi il tuo, giacchè sei chiamato a fraternizzare con il tuo Dio ed a lavorare di comune accordo con lui». (Canto 8)

Tuttavia una fiaccola necessita di combustibile per continuare ad ardere, mentre la luce divina è inesauribile in quanto sostanza di Dio stesso. Gli uomini, creati a lui conformi, sono in grado, almeno in potenza, di fare lo stesso in quanto possessori di un germe sacro che li alimenta senza esaurirsi mai, purché continuamente vivificato dalla presenza divina senza la quale perde la sua eternità.
«È penetrando negli esseri che Dio fa sentire loro la vita; essi sono nella morte nel momento in cui non sono più in comunione con lui». (Canto 2)

All'inizio dei tempi Adamo confuse l’essere pensiero di Dio, mandato nel mondo per esercitare la sua azione sull’universalità delle cose, con l’essere pensiero-Dio. L’uomo, simile agli angeli ribelli, operò per il proprio egoismo, invece che rivolgersi verso il Principio guardò a sé e pose il suo ego «come idolo su di un alto luogo». (Canto 217)

Persa l'originaria unità che lo legava all'Emanatore, l'uomo precipitò nella molteplicità delle cose e la creazione, che da lui doveva essere custodita e sorretta, lo seguì nella caduta, seppellendolo. «Che tutto ciò che forma l’universo senta le grida dei miei dolori. [...]Non sono le mie ingiustizie che lo hanno fatto rovinare su di me? Non devo io sopportare il peso e sollevarlo penosamente finché mi sia fatta luce attraverso le sue rovine, e abbia riacquistato la libertà?» (Canto 34)

Saint-Martin afferma, attingendo alla metafisica di Böhme, che il fine ultimo della creazione, operata da Dio a immagine del suo potere, fosse quello di specchio attraverso il quale il Principio avrebbe potuto conoscersi. Ne consegue che un tempo l’uomo fosse in grado di conoscere Dio semplicemente osservando se stesso. Ma nel rivolgere l'attenzione a se stesso come essere individuale Adamo, e con lui l'umanità, infranse il proprio specchio e precipitò nella «cloaca» del mondo sensibile dove le cose appaiono falsate e frammentate.

Come punizione per il suo crimine Dio rinchiuse l’uomo colpevole in questo mondo, senza per questo allontanarlo da sé.
«Una madre perde di vista il figlio che punisce per le lievi colpe della sua età infantile? Essa l’allontana da se di qualche passo, gli prescrive un recinto sotto i suoi occhi, e nel medesimo luogo ove essa si trova. Così Dio agisce con l’uomo colpevole». (Canto 22)

Immerso nella sua fisicità l’uomo non è in grado di ricongiungersi al Principio. Come abbiamo visto all’inizio, è tuttavia conservato in lui un germe divino, l'anima emanata, che ancora anela il ritorno all'origine. Il filosofo definisce quest'impeto Desiderio, una reminiscenza di stampo quasi platonico. L’uomo di desiderio è quindi colui che attraverso l'opposizione alle brame, echi del primo atto egoistico, causa della caduta, tenta di riaccendere la fiaccola che un tempo ardeva della stessa luce del Principio Supremo. Il suo scopo è la reintegrazione, termine che Saint-Martin riprende dall’insegnamento martinezista: una ricostruzione dell’uomo nella sua forma originale, unitaria, così com’era prima della caduta.

Dio inviò l’Agente in grado di attuare quest'opera: il Cristo, il Riparatore.
«Se non fosse venuto nel mondo un uomo che solo ebbe il potere di dire, io non sono più nel mondo, cosa sarebbe divenuta la posterità umana?» (Canto 56)

Come una malattia deve attraversare determinati stadi di guarigione, così l’uomo dovette far prima maturare le sue piaghe del peccato per poi raggiungere, con la venuta del Riparatore, un periodo di convalescenza che dura tutt'ora. Attraverso i frutti dell’Albero della Vita è chiamato a fortificare il suo spirito ormai in via di guarigione, in attesa del secondo avvento dove «[...] portato allo stadio di salute perfetta [...] conoscerà il compimento delle vie dell’amore»: la reintegrazione universale in cui tutto ritornerà all’unità originaria. (Canto 186)

Il Cristo, «uomo di dolore» (Canto 23) giunse a testimoniare per noi «la vittoria della verità sull’errore». Composto completamente da elementi puri discese nella materia non attraverso un peccato ma attraverso l’amore, per mostrarci come trasporre in atto i semi posti dai patriarchi e dai profeti. Eppure, pur nella sua purezza, venne tentato dal Nemico, poiché disceso nel disordine non poteva esimersi dalla percezione delle sue influenze.

Ciò che avvenne durante i biblici quaranta giorni nel deserto non fu quindi una tentazione legata alla materia «perché non è per i sensi e per la materia che il crimine dell’uomo era cominciato» (Canto 18), ma una prova di fedeltà e devozione.
Riuscendo laddove l’uomo aveva in principio fallito egli bilanciò nuovamente lo squilibrio del mondo e diede inizio al cammino verso la reintegrazione: nel portare «l’unità e l’amore per gli altri» mostrò la causa della rovina, «la divisione e l’amore di sé» (Canto 150) Cristo fece dono all'uomo, «come sorgente di potenza, della forza e i mezzi per vincere il nemico» il quale, una volta sconfitto nella nostra anima, non potrà più operare attraverso la materia su di noi.

Ma chi è questo nemico?
Se, come abbiamo visto in precedenza, in origine vi era un’unità completa di tutte le cose, possiamo ben dedurre che per Saint-Martin il male non può essere qualcosa a se stante, un antagonista personificato che si oppone a Dio. È l’uomo che, nel suo razionalizzare, opera anche in questo una separazione. Non esiste quindi un rivale di Dio, ma semplicemente una sua corrente opposta, un polo negativo, ed esso non ha nulla di sbagliato ma, amplificato dal primo errore, è cresciuto a dismisura travolgendo tutti i vari livelli della creazione.

«Non è per esserti contemplato, tu che non eri che immagine di Dio, che sei caduto nelle tenebre? Non è lo stesso crimine che si è ripetuto universalmente?» (Canto 17) L’uomo deve ricercare le radici vere delle cose, in primo luogo di sé stesso che «di tutte è, dopo Dio, la più sublime». (Canto 176)
Tutto ciò che è immerso nella materia non viene prodotto da una fruttificazione (unità) ma da un’aggregazione (molteplicità) e, nonostante questo, si eleva e produce frutti simili a quelli delle radici pure, ma formati da elementi corrotti. Le vere radici cercano di attecchire nel suolo della materia ma questa si condensa e ne impedisce la penetrazione. Il desiderio è la forza con la quale l’uomo deve spaccare questa dura terra fino a trovare il principio vivente e vivificante che permetterà alla propria pianta di crescere e fruttificare.

Come abbiamo già visto Saint-Martin pone l’uomo su un piano diverso rispetto al resto della natura. In principio, nell’unità iniziale precedente alla caduta, una simile distinzione non era presente, trovandosi tutto in perfetta armonia. Nell’attuale condizione invece è necessaria una distinzione: da un lato la natura vive sotto il dominio della necessità, dall’altro l’uomo possiede in se qualcosa che lo sottrae a questa legge, ciò che noi chiamiamo coscienza.

La necessità non è da intendersi come destino o predestinazione, ma come concetto di atto platonico.
L’uomo, immerso nella materia, è diventato essere, manifestazione dell’essenza (del poter essere) che era un tempo e quindi percepisce tutte le cose, a loro volta, manifestate (atto) senza poterne intuire la vera origine, la radice (potenza).

Unica fra tutte le creature ancora in parte partecipe del dono originario, mantiene in sé una parte libera, che gli permette di scegliere al di fuori della necessità. È questa la regione in cui nasce il desiderio, mezzo di transito dall’essere all’essenza, di ritorno al fondamento.

La coscienza dell’uomo può, attraverso l’esperienza spirituale, liberarsi dal dominio della causalità ma, per fare questo, è necessario che la volontà si conformi a quella di Dio attraverso la preghiera.
«Posso con una preghiera giungere fino a quelle sfere superiori, di cui le sfere visibili non sono che delle imperfette immagini». (Canto 101)

Questa forza non può scaturire da una semplice recitazione di parole, ma deve essere un’esperienza totalizzante, una vera e propria operazione attraverso il pensiero che porta l’uomo a pregare e, al contempo a percepire, in un'eco agostiniano, dio che prega in lui.
«Ma questa preghiera così efficace, può mai venire da noi? Non bisogna che sia suggerita? Pensiamo solamente ad ascoltarla con attenzione, ed a ripeterla con esattezza». (Canto 194)

Facendo sue le idee di Böhme ed Eckhart, Saint-Martin vede nell’efficacia della preghiera il mezzo di strappare Dio alla contemplazione di se stesso (Canto 202).

Le due parole impresse sull’Albero della Vita di cui parla il Canto 4, spada e amore, sono le due vie attraverso le quali spinge il desiderio: quella esteriore, che Saint-Martin definisce testimonianza, e quella interiore che assimila alla fede. (Canto 101)


Fonti:
Il filosofo incognito, Ovidio La Pera, ed. Firenze Libri 2006
Storia del martinismo e degli ordini martinisti, Pietro Turchetti, ed. Arktos 1995
Il martinismo e la sua essenza, Ugo G. Porciatti, ed. Ardenza - Napoli 1945
Martinezismo, willermozismo, martinismo e massoneria, Papus, ed. Amenothes
Gli insegnamenti segreti di Martines de Pasqually, Franz von Baader, ed. Atanòr 2010
Il martinismo e l'ordine martinista, Francesco Brunelli, ed. Volumnia 1980
Il ministero dell'uomo-spirito, L. C. de Saint-Martin, ed. M.I.R. 2000
L'uomo di desiderio, L. C. de Saint-Martin, ed. Firenze Libri 2003
Le riviste L'Initiatiòn e Gnostica, Cariscript - Parigi
Il bimestrale Conoscenza, pubblicazione interna dell'Accademia di Studi Gnostici
Shin, bollettino interno dell'Unione Martinista


Louis-Claude de Saint-Martin, il filosofo incognito
Articolo scritto da: Sol Weintraub
Pubblicato il 28/05/2013


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