Cayetano Santos Godino: il primo omicidio del serial killer
Il 22 marzo 1906 condusse invece un'altra bimba di circa due anni, Mary Rock Phase, in un'area isolata e abbandonata. Qui, completamente soli, prima provò a soffocarla e, dopo averla ridotta in stato d'incoscienza, la seppellì viva in un fosso, coprendo il luogo della suo sepoltura con dei contenitori di latta.
Nessuno rivide mai più Mary. I suoi genitori la cercarono per settimane, poi se ne ritornarono in Italia (anche loro erano immigranti) per lasciarsi alle spalle il dolore della perdita.
Anni dopo, quando Cayetano confessò questo omicidio e spiegò alla polizia dove aveva sepolto la bambina, gli investigatori scoprirono che su quel terreno erano stati da poco costruiti alcuni edifici: si decise, vista anche l'assenza dei genitori di Mary ormai espatriati, che non valeva la pena abbattere quelle abitazioni per provare a cercare i resti del cadavere della piccola.
Cayetano Santos Godino: in colonia per due mesi
Il 5 aprile 1906 il padre di Cayetano Santos Godino fece un'orribile scoperta: all'interno di una scatola di scarpe nei pressi del letto di quel figlio che lo faceva tanto impazzire trovò i canarini domestici, scomparsi da casa qualche giorno prima, morti e privati degli occhi.
L'uomo, incredulo, incapace di educare quell'essere violento e antisociale, decise di portarlo alle autorità affinché se ne occupassero loro.
Trascinò così Cayetano alla polizia sostenendo poi, a ragione, che il bambino di quasi dieci anni molestava continuamente tutti coloro che lo circondavano, arrivando anche a insultarli e tirare loro qualsiasi oggetto gli capitasse a tiro.
Le autorità presero in carico "la piccola peste dalle grandi orecchie" (il soprannome che da sempre lo accompagnava) e lo spedirono in un centro di recupero per ragazzini difficili, dove Cayetano restò due mesi.
Cayetano Santos Godino: il ritorno alla "normalità"
Quando fu di ritorno a casa Cayetano non era affatto cambiato. Aveva solo un hobby in più: la masturbazione.
Forse l'aveva imparata da compagni di colonia più grandi, forse l'aveva scoperta da solo, ma dal giugno 1906 in avanti una delle sue abitudini fu quella di masturbarsi compulsivamente più volte al giorno, fantasticando sul male che poteva infliggere alle sue vittime.
Vittime che non smise mai di andare a cercare per le strade della città.
Il 9 settembre 1908 incontrò un bambino di due anni, Severino Gonzales, mentre giocava da solo senza la supervisione di alcun adulto. Lo convinse a farsi seguire con la promessa di alcune caramelle e lo portò in un magazzino che sorgeva di fronte alla Scuola del Sacro Cuore. Una voltà lì cercò di annegarlo in un abbeveratoio per cavalli.
Il proprietario di quel luogo, Zacanas Caviglia, accorse sentendo degli strani rumori e scoprì i due ragazzini, completamente bagnati, uno dei quali all'interno dell'abbeveratoio. Cayetano non si scompose, e nonostante il suo basso Quoziente d'Intelligenza si inventò una storia "credibile": raccontò all'uomo di aver visto una "donna in nero" che faceva del male al piccolo Severino e di essere intervenuto per aiutarlo, facendo fuggire la donna. Zacanas e le autorità gli credettero: del resto quello era "lo scemo del villaggio", come avrebbe potuto mentire su una cosa del genere o essere pericoloso?
Il 15 settembre 1908 Cayetano commise un altro gesto di inaudita violenza e crudeltà. Dopo aver attirato il giovanissimo Julio Botte (di soli 21 mesi) in un luogo isolato, provò a bruciare le palpebre al piccolo con una sigaretta: il piccolo cominciò a gridare disperato e lui fuggì prima che qualcuno potesse vederlo.
Cayetano Santos Godino: tre anni di detenzione minorile
Il 6 dicembre 1908 i suoi genitori non ne poterono più. Cayetano era troppo violento, troppo ribelle, troppo dedito alla masturbazione. Era ora che qualcuno gli insegnasse la disciplina.
Quel giorno i coniugi Godino consegnarono per la seconda volta Cayetano alle autorità, denunciandolo per reati minori. Il nanerottolo dalle lunghe braccia e dalle grandi orecchie venne così spedito nella colonia penale minorile "Marcos Paz".
Rimase rinchiuso lì per oltre tre anni.
Tre anni a base di violenze, abusi e soprusi, fisici e psichici. Dati e ricevuti.
Tre anni nei quali cercò di scappare in più occasioni, senza successo.
Tre anni che avrebbero dovuto formarlo, educarlo, tranquillizzarlo, rigenerarlo. O così almeno speravano i suoi genitori.
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