Serial Killer: cause e sviluppo della violenza estrema (pagina 4)

5. Differenze nel movente dell'aggressione

Le differenze a livello individuale nel movente dell'aggressione si originano nella prima infanzia. Le prime fasi dello sviluppo del movente hanno inizio già all'età di un anno e mezzo circa. Fino all'età di tre anni vengono poi delineate le peculiarità individuali che intervengono nella fase successiva dello sviluppo. I processi evolutivi fondamentali sono i seguenti:

1. manifestazione nella prima infanzia di reazioni colleriche e relativo nesso con fattori scatenanti, modalità di reazione e conseguenze.

2. apprendimento graduale di comportamenti aggressivi e relative conseguenze.

3. sviluppo di strategie d'azione e obiettivi dell'aggressione particolarmente ostili, in base all'imitazione di modelli preesistenti.

4. formazione di obiettivi dell'aggressione marcatamente ostili e, quindi, di un reale movente dell'aggressione in base alla percezione della propria ostilità e degli intenti che ne conseguono.

Il punto 1 fa riferimento al nesso tra collera e frustrazione, laddove per frustrazione si intende una vasta classe di circostanze che non rientrano in una definizione dettagliata ma che relativamente alla loro complessità sono classificabili a partire dalle lesioni corporali, alla violazione del rispetto di se stessi, fino ad arrivare alla totale trasgressione del sistema di valori.

Per quel che riguarda la realizzazione del nesso frustrazione/collera, in ogni singolo caso sono coinvolti numerosi processi di apprendimento individuali, per cui al cui centro si pone il rapporto, influenzato da fattori ereditari, tra esperienze avverse e inclinazione verso reazioni colleriche.

I punti 2 e 3 sono strettamente collegati tra loro e si manifestano già nella fase che prevede lo sviluppo di molteplici abilità motorie e modelli comportamentali, molti dei quali sicuramente interessanti in relazione al livello di aggressività: grida, calci o percosse.

Ugualmente collegabili a fattori ereditari possono essere anche predisposizioni all'apprendimento di comportamenti aggressivi, la cui conseguenza è lo sviluppo di una propensione emotiva verso situazioni violente. Tali processi di apprendimento si realizzano principalmente attraverso l'apprendimento per imitazione, in cui le figure di riferimento, in primo luogo i genitori, svolgono un ruolo fondamentale.

Tuttavia anche l'interazione con altri bambini costituisce un'importante fonte d'esperienza per lo sviluppo dell'aggressività. I coetanei (in particolare fratelli e/o sorelle e amici) possono quindi rappresentare, in determinate situazioni (per esempio all'asilo o al parco) la gratifica principale per i loro comportamenti aggressivi.

Ecco perché i serial killer raccontano frequentemente di essere stati, durante l'infanzia, non tanto criminali quanto vittime: vittime dei genitori o dei loro coetanei. A causa delle numerose esperienze negative vissute, si prefigurano un ambiente minaccioso, ostile, e imparano a stare costantemente all'erta da ingiustizie e soprusi. In tal modo si sviluppano gli obiettivi marcatamente aggressivi e violenti descritti al punto 4, per la cui realizzazione è necessario lottare e predominare.

Queste prime esperienze infantili costituiscono anche degli indizi inerenti la componente sessuale dei crimini. Dal momento che, contrariamente alle ipotesi precedenti, lo stimolo principale non è costituito dal movente a sfondo sessuale (vedi sopra), è necessario formulare altre ipotesi in merito.

È ipotizzabile un modello di questo tipo:

In età infantile, i criminali sono sottoposti a una serie di forti frustrazioni in diversi ambiti (scuola, famiglia, fratelli e/o sorelle...). Uno dei più delicati, nei giovani, è la sessualità.

Durante l'adolescenza, il malessere derivante dai primi ed eventualmente ripetuti insuccessi nei contatti sessuali con le ragazze può divenire una frustrazione estremamente profonda. In proposito, Kornadt & Zumkley (1992) affermano: "l'accumulo di esperienze frustranti relative a un determinato ambito esistenziale (...) potrebbe portare all'attribuzione di un'importanza eccessiva a tale aspetto. Può essere vissuto come minaccia persistente e probabilmente crescente nei confronti di esigenze fondamentali (rispetto della propria persona, desiderio di approvazione e protezione...), sulle quali si plasma un movente dell'aggressione sempre più violento, generalizzato e strettamente connesso all'affettività".


6. Perversione e fantasie sadiche

In quasi la totalità dei casi noti, i pluriomicidi presentano delle forti componenti sessuali di tipo sadico. Attualmente l'ipotesi a lungo accreditata circa un maggiore istinto sessuale non è più attendibile (cfr. ad es. Burgess, 1986).

Al contrario, viene ipotizzata una motivazione estremamente aggressiva. Nel comportamento sessuale ci sono anche moventi di natura non sessuale, come dimostra Schmidt (1983): "La sessualità acquista intensità e dinamismo indipendentemente dal carattere della persona e non soltanto per effetto di stimoli di natura sessuale, attivandosi e intensificandosi per effetto di motivazioni e sentimenti tutt'altro che sessuali".

Ciò vale in particolare per quel che riguarda la perversione, specialmente il sadismo. Già il Marchese De Sade descrisse assai esaurientemente il modo in cui il delitto perfettamente pianificato, raccapricciante, che va aldilà dell'immaginazione, possa essere il presupposto del maggior godimento possibile.

Il superamento di tabù e norme costituiscono una fonte di piacere sessuale.
"Il senso di tale familiarità con la passione e i desideri sessuali va ricercato molto semplicemente nella perversione". (Schmidt, 1983).

Per esempio, Stoller (1976, 1979) definisce la perversione una forma erotica dell'odio. L'orgasmo non implica esclusivamente l'eiaculazione, bensì anche una "manifestazione megalomane di libertà". L'appagamento sessuale deriva dall'esperienza della soluzione di un conflitto, del superamento dell'ansia, del trionfo della desiderio sessuale sulla prostrazione.

Secondo Morghenthaler (1974) l'appagamento di desideri sessuali nell'ambito di un rapporto perverso scivola in secondo piano ed è spesso del tutto irrilevante. Sulla base delle ricerche di Stoller, Schmidt (1983) delinea tre processi particolarmente significativi inerenti la perversione e, in misura minore, l'eccitazione sessuale:

1. oscillazione tra attesa e superamento del rischio. L'incorrere in un pericolo, seppur previsto, aumenta l'eccitazione sessuale

2. in una situazione di tensione, caratterizzata da ansia ed esaltazione, la sessualità si trasforma in conflitto. Il tema predominante della drammaturgia dell'eccitazione sessuale è pertanto (secondo Stoller) la violenza. Secondo Stoller, la riduzione del partner a una nullità, a un mero oggetto della situazione erotica, costituisce un aspetto importante della violenza sessuale

3. il rischio e la lotta interiore sfociano nella soluzione del conflitto, nel superamento di traumi infantili, di conflitti o traumi che, secondo Stoller, generalmente si originano nell'ambito dello sviluppo dell'identità sessuale

Gli effetti della sessualità descritti da Stoller sono stati criticati in particolare da Schorsch (1978), il quale puntualizza che una sessualità intensa non è tale esclusivamente in virtù di un comportamento violento, bensì in essa possono riaffiorare anche "desideri e nostalgie infantili, o l'ideale di uno stato di estasi paradisiaca vissuto in precedenza".

Riallacciandosi a Goldberg (1975), Schmidt (1983) definisce tale meccanismo "sessualizzazione dell'affettività", ipotizzando che: "sentimenti di sofferenza, quali angoscia, pudore, sgomento o mortificazione, sentimenti di natura aggressiva, quali collera o odio, ma anche sentimenti positivi, quali gioia e approvazione, vengono convertiti in sensazioni erotiche e tradotti, sul piano sessuale, in desiderio, attrazione ed eccitazione.
L'intensità delle esperienze e del desiderio sessuale, così come il livello di appagamento, non dipendono esattamente dall'intensità dell'impulso istintivo, bensì dalla carica simbolica dell'atto sessuale, generalmente inconscia e implicita e spesso comprensibile esclusivamente dalla biografia della persona. Pertanto, sessualità e perversione possono rappresentare una sorta di aggressività deviante da cui scaturiscono obiettivi di azioni di natura violenta piuttosto che sessuale."

I criminali, prima di giungere, come conseguenza estrema, all'omicidio, cioè l'azione realmente motivata, sotto l'influsso di una motivazione estremamente aggressiva, hanno perlopiù fantasie caratterizzate da una forte componente di violenza.

L'FBI (1985) sostiene in proposito: "Tali fantasie sono estremamente violente e spaziano dallo stupro alla mutilazione, fino ad arrivare alla tortura o all'omicidio. Si tratta di fantasie che vanno al di là dei normali desideri sessuali, volti al conseguimento del piacere".

Facendo riferimento a uno studio dell'FBI relativo al serial killer, già abbondantemente citato, Fullgrabe (1992) analizza pertanto la dinamica relativa all'insorgenza di fantasie sadiche: prima dei 18 anni, il 56% dei criminali fantasticava di commettere uno stupro, ma appena il 40% di loro aveva subito a sua volta abusi sessuali in età giovanile.

John Joubert ha riferito che le sue prime fantasie criminali si manifestarono già all'età di 6 o 7 anni: si avvicinava strisciando alla baby-sitter, la assaliva alle spalle, la strangolava e infine la divorava interamente.
Successivamente, attraverso i delitti, ha potuto concretizzare quelle fantasie che aveva continuato a perfezionare fin dall'età di sette anni.

Durante un interrogatorio, Peter Kürten ha fatto verbalizzare la seguente dichiarazione: "Quando ho immaginato di squarciare l'addome a un tale o comunque di ferirlo gravemente, mi sono sentito soddisfatto una volta per tutte (...) ho anche pensato di provocare delle stragi introducendo dei microbi nell'acqua potabile (...) poi ho immaginato anche di servirmi di scuole, o qualcosa del genere, dove mietere vittime distribuendo piccoli campioni di cioccolata da me avvelenati con l'arsenico". (Lenk &Keaver, 1974).

A giudicare dalle descrizioni delle fantasie criminali effettuate dai serial killer stessi si tratta fondamentalmente dell'anticipazione di azioni che si verificheranno, in un secondo momento, così come immaginato.
Contemporaneamente vengono calcolate le eventuali conseguenze di tali azioni e le emozioni che ne derivano. "I meccanismi propri della immaginazione presentano una serie di analogie con quelli inerenti alla percezione e l'azione (Kornadt & Zumkley, 1992)."

Non tutti i bambini reagiscono al proprio ambiente sviluppando fantasie criminali, come non tutti i bambini che nutrono fantasie criminali vi danno poi libero sfogo. Ciò che contraddistingue, in età infantile, i serial killer da quei bambini è l'estremo egocentrismo delle loro fantasie negative, di natura aggressivo-sessuale (Burgess, 1986).

È indicativo che nelle varie interviste a serial killer non si è mai evidenziato alcun racconto di fantasie o sogni positivi. Pertanto non è chiaro se tali sogni siano realmente esistiti o se invece siano stati semplicemente repressi nella memoria per effetto di violente fantasie criminali.

Il conseguente collegamento tra sessualità e violenza può essere riconducibile a molteplici cause, una delle quali potrebbe essere costituita dal fatto che molti serial killer hanno subito abusi sessuali in età infantile o sono stati testimoni di tali abusi (per esempio nei riguardi dei fratelli).

Prima o poi tali fantasie aggressive si manifestano in un contesto ludico nei confronti di altri bambini.
Un criminale ha riferito che all'età di 15 anni aveva trascinato con sé degli adolescenti di età inferiore nella stanza da bagno, dove li aveva costretti a rapporti orali e anali. Così facendo, aveva inscenato di nuovo l'esperienza da lui stesso avuta all'età di 10 anni, sostenendo in tale occasione il ruolo del prevaricatore e non quello della vittima (Burgess, 1986).

Nelle fantasie criminali, un ruolo fondamentale è svolto dalla morte e dall'omicidio.
"La morte è un esempio di estremo controllo" (Burgess, 1986).

Esercitare controllo sull'ambiente implica potere e sicurezza, in quanto viene esclusa la possibilità che si verifichino imprevisti o comunque situazioni minacciose cui far fronte. Colui che mantiene il controllo detiene forza e potere, sentendosi quindi immune da qualsiasi minaccia.

Questa catena di argomentazioni si sviluppa in primo luogo nella fantasia. Tuttavia ogni serial killer, prima o poi, giunge a un punto tale che le semplici fantasie non sono più sufficienti a garantire il senso di sicurezza e protezione desiderato, cosicché nasce il desiderio di metterle in pratica.

È così che di norma si apre la serie omicida. Nel caso in cui il criminale non venga arrestato immediatamente dopo il primo delitto, il cerchio si chiude e, apparentemente, le fantasie ottengono conferma. Si realizza una coesistenza di apparenza e realtà.

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Articolo scritto da:
Dr. Christopher Paulus

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