4. Influenza del rapporto genitore-figlio
Alla luce di un'analisi più accurata dell'ultimo punto, emerge che il rapporto madre-figlio (6), in particolare la capacità di instaurare un legame e il senso di protezione o stabilità che ne deriva, costituisce il meccanismo principale dello sviluppo dell'aggressione estrema (cfr. Kornadt, 1992b,c).
L'aspetto del rapporto madre-figlio forse predominante nello sviluppo dell'aggressività è la rispondenza della madre, ovvero "la capacità della madre di entrare in empatia con il figlio e di saper comprendere il suo desiderio di attenzioni, nonché il grado di disponibilità o capacità di conciliazione, da parte della madre, delle proprie esigenze con quelle del figlio in caso di divergenza e di eventuale rinuncia alla realizzazione dei propri obiettivi" (Kornadt, Husarek & Trommsdorff, 1989).
Gli autori hanno avuto successo nel dimostrare che "più le madri adottano metodi educativi ispirati all'empatia e alla rispondenza, minore risulta lo sviluppo dell'aggressività nei figli. I figli di madri che si sentono spesso frustrate o irritate nei confronti dei figli, considerati peraltro un pesante fardello, sono caratterizzati invece da una spiccata aggressività". Considerando il legame affettivo, si può tracciare il seguente modello di sviluppo (da Kornadt, 1992c):
Il punto di partenza è un rapporto instabile-ritroso che porta il figlio a considerare serie minacce già delle piccole frustrazioni. Questo favorisce la configurazione di un quadro ambientale negativo e ostile.
In tal modo, i conflitti con i genitori o con chi ne fa le veci si intensificano deteriorando ulteriormente il rapporto stesso. Aumenta il distacco emotivo nei riguardi di eventuali altre figure di riferimento che invece potrebbero infondere sicurezza e stabilità. Di conseguenza, gli atti violenti commessi costituiscono uno strumento atto alla tutela dei propri interessi (alla difesa da un ambiente minaccioso).
I figli divengono particolarmente reattivi nei confronti di modelli aggressivi, per cui, per imitazione, si rafforzano le componenti aggressive nonché gli intenti ostili. Si rafforzano le strategie d'azione violente quale reazione a un ambiente ostile che, a sua volta, reagisce in modo negativo. Il figlio persiste nel suo atteggiamento di rifiuto, sviluppando fini aggressivi e inclinazioni particolarmente violente.
Tale sequenza di argomentazioni è concretizzata da una serie di dati provenienti da un'indagine dell'FBI del 1992):
I criminali non si sentono legati affettivamente ad altre persone. Non hanno riguardo nei confronti delle necessità altrui o non sono in grado di percepirle.
L'educazione, il pessimo rendimento scolastico e altri insuccessi sono ritenuti parte di un mondo iniquo e ostile; l'educazione ricevuta viene definita ingiusta, negativa, discontinua e violenta.
La maggior parte dei criminali intervistati ha avuto un rapporto problematico con il padre. 16 dei 36 soggetti intervistati hanno avuto un rapporto materno caratterizzato da freddezza e negligenza. Nel 47% dei casi il padre ha abbandonato la famiglia prima che il figlio compisse 12 anni e quindi molti dei futuri serial killer sono stati costretti ad adattarsi a un nuovo capofamiglia.
Ammesso che abbiano avuto fratelli e/o sorelle, il legame affettivo con essi/e è stato carente.
Nel 68% dei casi, oltre a un'instabilità familiare è emersa anche un'instabilità del domicilio. Prima della maggiore età, il 66% dei criminali ha vissuto al di fuori della famiglia, in collegio o presso una famiglia adottiva.
Le famiglie dei futuri assassini sono state spesso colpite da gravi problemi: criminalità (50% dei casi), disturbi psichiatrici (53,3%), alcolismo (69%), tossicodipendenza (33,3%) e/o problemi sessuali (46,2%).
Tra i vari problemi, i bambini stessi hanno spesso menzionato: sogni a occhi aperti (82%), masturbazione compulsiva (82%) e solitudine (71%).
Sono stati riferiti anche comportamenti devianti da parte dei bambini: propensione cronica alla menzogna (71%), atti di vandalismo (58%), piromania (56%), furto (56%) o eventuali atti di crudeltà contro altri bambini.
Tuttavia il rapporto instabile-ritroso non è stato ancora riconosciuto in via definitiva quale sola e unica causa del suddetto modello. È ipotizzabile un'alternativa in base alla quale anche un rapporto instabile-ambivalente potrebbe esserne la causa.
Nel caso di un infanticida recidivo elvetico si evidenzia la carenza di un legame affettivo stabile.
Nel corso dell'interrogatorio gli fu chiesto, tra le varie cose, anche quali fossero stati i moventi dei suoi delitti. Egli menzionò un forte sentimento di invidia nei riguardi delle vittime, poiché i bambini da lui assassinati vivevano in un clima familiare protettivo, cosa a lui totalmente sconosciuta. Attraverso il delitto, ha "inflitto una punizione" ai bambini, colpevoli di aver ricevuto quella protezione e quell'affetto che egli stesso non ha mai avuto. Infine ha attribuito indirettamente la responsabilità dei suoi crimini alla società tout-court, colpevole di aver ignorato la sua infanzia infelice (Winzenried, 1992).
L'ipotesi relativa a uno sviluppo inadeguato della sensibilità a causa di un comportamento errato da parte dei genitori è stata ampiamente dimostrata.
Per esempio, Malatesta & Izard (1984) sostengono che il bambino, fino all'età di tre anni, si innervosisce e reagisce in modo negativo se la madre non si pone in empatia con lui, magari rimanendo completamente impassibile o voltandogli le spalle in circostanze in cui questo si aspetta invece una conferma di natura emotiva. Nel caso in cui la madre ignori, o quasi, i desideri o i messaggi del bambino, comportandosi in modo passivo e poco affabile, le emozioni del bambino si affievoliscono, si appiattiscono, il bambino cessa di esprimere i propri sentimenti, adottando un atteggiamento apatico (...) se invece il comportamento emotivo della madre è inadeguato e imprevedibile, il bambino è costretto ad adottare un comportamento emotivo estremamente intenso, al fine di suscitare una qualche reazione nella madre. (Geppert & Heckhausen, 1990).
Harris (1989) ha osservato che i bambini che subiscono violenze diventano molto spesso aggressivi nei confronti dei coetanei e, in caso di bisogno, li soccorrono più raramente e meno volentieri. Di fronte a segnali quali pianto o dolore, tali bambini reagiscono più frequentemente con violenze, minacce e aggressioni (Main & George, 1985).
In una fase successiva, una linea educativa non rispondente, fredda, rigida e mortificante può generare nel bambino durezza, comportamenti violenti e socializzazione deviante (Ulich & Mayring, 1992; Mantell, 1978).
Uno sviluppo inadeguato della sensibilità può portare il bambino a una percezione distorta di se stesso oltre che alla totale scomparsa di stati emotivi (Lewis & Michalson, 1982).
La mancata rispondenza da parte del genitore diventa particolarmente grave laddove viene frustrato il bisogno di sicurezza e stabilità del bambino. Questo favorisce la comparsa di reazioni quali collera o violente contestazioni, dovute al fatto che il bambino si sente ferito.
"Il movente dell'aggressione verrà quindi notevolmente sviluppato, qualora abbia un valore altamente funzionale per le strutture centrali della personalità. Alla luce di questa considerazione, anche l'origine stessa del movente diviene un ‘processo motivato'. Lo scopo di quest'ultima sembra quindi consistere principalmente nella salvaguardia o nella (ri)conquista di un concetto positivo di sé. Tali ipotesi sono sostenute da prove che dimostrano come l'autolesionismo del bambino rappresenti, a livello interculturale, il presupposto fondamentale delle varie configurazioni del movente" (Kornadt, 1989b).
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