Uno dei momenti cruciali del mestiere dello scrittore è quello della revisione, quando si rilegge ciò che si è scritto per portarlo a un livello di eccellenza.
Uno dei momenti cruciali del mestiere dello scrittore è quello della revisione, cioè quando, finita la prima stesura, si procede a rileggere ciò che si è scritto per portarlo ad un livello di eccellenza.
Ma cosa vuol dire rivedere un’opera?
Il concetto di revisione è strettamente connesso alla metodologia di lavoro adottata dall’autore.
Se si escludono gli esperimenti fatti da certi scrittori, scapigliati o beat generation, che producevano sotto l’effetto di droghe (leggere e pesanti), due sono le metodologie possibili per scrivere:
--- la pianificazione
--- l’approssimazione per scene successive.
Il primo metodo, il più adatto per autori esordienti e per la scrittura di opere lunghe o complesse, consiste nel programmare accuratamente la trama, decidere le caratteristiche dei personaggi e stabilire sequenza e contenuto delle scene inserite nei singoli capitoli. In una parola avere una traccia solida e ben definita, per essere liberi dalle preoccupazioni della trama e concentrare la propria attenzione durante lo sviluppo solo sullo stile.
Il secondo metodo, adatto per i racconti e consigliabile esclusivamente agli autori professionisti in grado di esercitare un rigido controllo degli strumenti narrativi, consiste costruire una traccia narrativa sommaria, quindi ammucchiare scene su scene, seguendo il proprio istinto.
Nel primo caso, la revisione consiste di due momenti distinti: prima di tutto il controllo della trama, cioè del mantenimento della fedeltà con quanto pianificato; quindi, un controllo formale per rimettere a posto le regole grammaticali, scoprire ripetizioni, allitterazioni e quant’altro.
Nel secondo caso la revisione è un momento di riscrittura, in cui viene fatta una analisi del materiale prodotto per deciderne la forma ed il posizionamento definitivi all’interno dell’opera. Un’operazione che può richiedere approssimazioni successive e può portare via molto tempo.
Indipendentemente dalla metodologia adottata, la revisione è sempre un’operazione eseguita dall’autore, che in questa fase imprime profondamente la propria personalità sull’elaborato. Dunque, il suo limite è che chi la esegue è coinvolto nel processo creativo e spesso non possiede la necessaria obiettività per giudicare la propria opera.
Per questo che nelle case editrici è presente la figura dell’editor, cioè di colui che esamina il manoscritto dall’esterno, aiutando l’autore a rielaborarlo fino a raggiungere la massima qualità possibile.
Per un autore esordiente è difficile accedere ai servizi di un editor professionista, sia per i costi che questo comporta, sia perché è difficile rintracciare qualcuno che faccia questo mestiere. Dunque, usa avvalersi della consulenza di parenti, amici o altri scrittori nelle medesime condizioni.
L’esperienza di chi scrive è che spesso questi interventi non sortono l’esito sperato, ma anzi, finisco per provocare confusioni, visto che si traducono in consigli inapplicabili, contraddittori, o semplici prese d’atto dell’opera con generici complimenti.
Conviene dunque soffermarsi sul ruolo dell’editor, per comprendere come esso realmente intervenga sull’opera dell’autore.
L’editor è colui che mette la propria sensibilità e cultura a disposizione dello scrittore per farne risaltare la personalità nell’opera presa in esame. Dunque, non effettua alcuna revisione, né si permette di stravolgere sua sponte il manoscritto che gli viene affidato.
L’opera letteraria è composta di due parti fondamentali. Vi è una parte che chiameremo per semplicità “la storia“ formata dalla trama, cioè dal susseguirsi delle scene, suddivise in capitoli e parti. Vi è poi “lo sviluppo“, cioè il modo in cui sono state scritte le scene, espressione diretta dello stile, che è quella parte innata dell’autore tramite il quale egli esprime la sua personalità, e che lo induce a scegliere certi vocaboli anziché altri, a strutturare le frasi in una maniera propria, a sviluppare i dialoghi seguendo un suo criterio, eccetera.
Il primo intervento dell’editor è su “la storia“, aiutando l’autore a capire dove il meccanismo narrativo viola la legge sulla credibilità. Questa, detta anche Legge di Coleridge, dal nome del letterato inglese Samuel Taylor Coleridge che per primo la enunciò, recita:
Il lettore sospende volontariamente la sua incredulità razionale, immergendosi pienamente nel mondo fantastico di una storia, quando questa è raccontata secondo le sue leggi interne di credibilità.
Tutto questo crolla nel momento in cui il lettore coglie una svista di qualsiasi tipo.
In altre parole, ogni azione o pensiero descritto in un’opera deve essere credibile agli occhi del lettore, il quale in nessun caso si deve sentire tradito. Questo accade sia quando la narrazione finisce in un vicolo cieco da cui non si sa come uscirne se non tramite un qualche artificio improbabile, sia quando le azioni o i pensieri di un personaggio appaiono illogiche.
L’illogicità non deriva dal raffronto con l’esperienza che il lettore ha della vita reale, ma delle regole che lo scrittore stesso espone nella narrazione.
Per fare un esempio facilmente comprensibile, spesso le città descritte nei romanzi somigliano a quelle reali, ma non ne sono specchio fedele. Così, la Mahnattan descritta da Woody Allen nel suo film omonimo non è quella vera, ma un modello concepito su misura per le esigenze del regista. Tutto questo non disturba lo spettatore che conosce la città reale, purché il modello proposto rimanga coerente con se stesso. Ovvero, non importa quanto tempo ci voglia realmente per andare a piedi da Piazza del Duomo a Firenze alla Stazione; si può anche scrivere che ci vorranno cinque minuti, anche se così in verità non è, ma è necessario che questo riferimento spaziale rimanga costante per tutta l’opera.
Stesso discorso vale per tutti gli altri aspetti presenti nell’opera. L’appartamento del protagonista, se è di tre vani, lo dovrà rimanere per tutto il romanzo; se il personaggio principale è alto ed ha gli occhi azzurri, continuerà ad averli anche dopo il quarto capitolo; se è timido, si comporterà sempre da timido, oppure, se ci sarà un cambiamento, questo dovrà essere mostrato e giustificato al lettore. Secondo lo stesso criterio, non ci dovranno essere personaggi inutili, scene sovrabbondanti, dialoghi illogici, trame secondarie superflue.
L’editor non è un altro autore o un lettore coinvolto che vuole imporre il proprio punto di vista. A lui non interessa che la narrazione prenda una strada anziché un’altra, non ha gusti personali da imporre; il suo scopo è “ripulire il diamante” per dargli la forma voluta dall’autore.
Il secondo intervento è sulla forma data a “ lo sviluppo “. L’intento non è quello di cassare determinate scelte linguistiche a favore di altre, imposte dall’esterno, ma far emergere il più possibile lo stile dell’autore. Quest’ultimo obiettivo lo si raggiunte, nel caso di scrittori esordienti, soprattutto eliminando le incertezze relative all’uso degli strumenti narrativi.
Il lavoro dell’editor è simile a quello dello psicoanalista, il quale non fa delle affermazioni perentorie, ma pone delle domande, accompagnando il paziente in un percorso interiore di maturazione. L’editor non risolve i problemi, ma dà indicazioni che aiutano a prendere coscienza delle proprio capacità creative.
Tutto questo naturalmente se lo scrittore è aperto al cambiamento.
L’imposizione di regole e schemi altrui serve solo a risolvere il problema contingente, ma non aiuta a progredire.
A proposito di revisione e sul ruolo dell’editor Copyright © 2004 by Enrico Rulli
Articolo scritto da: Enrico Rulli
Il mestiere dello scrittore: la revisione e il ruolo dell’editor
Articolo pubblicato il 01/09/2004
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