La maledizione dei musicisti di 27 anni: il Club 27 e il Club J

Kurt Cobain, Jim Morrison, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Brian Jones, Amy Winehouse, Richey James Edwards sono solo le vittime più famose della maledizione che colpisce i musicisti ventisettenni

Le maledizioni non esistono, certo, e questa non sappiamo neanche da chi sia stata lanciata, ma si tratta comunque di "qualcosa" che sembra proprio esistere, sotto gli occhi di tutti, con una lunga serie di vittime che non accena ad arrestarsi.

Si tratta della Maledizione dei 27 anni, e di tutte le coincidenze e fatti strani che si trascinano con essa...

La maledizione dei 27 anni: Alexandre Levy

Tutto ebbe inizio alla vigilia del quarto centenario dalla scoperta dell’America, domenica 17 gennaio 1892. Sul Tropico del Capricorno proprio mentre la costellazione dell’omonimo segno zodiacale splendeva ancora all’orizzonte, a San Paolo del Brasile, il pianista, compositore, direttore d’orchestra, Alexandre Levy moriva all’età di soli ventisette anni.

Pioniere assoluto dei suoi tempi per aver esplorato la fusione tra musica classica e folk popolare brasiliano, il maestro paulista lasciò un vuoto che i suoi concittadini cercarono di riempire subito bandendo un prestigioso premio a lui intitolato.

Con la morte di Levy il Brasile perdeva un grande artista e, anche se all’epoca nessuno lo poteva immaginare, nel mondo apriva i battenti un club davvero selettivo.
Ma andiamo con ordine.

La maledizione dei 27 anni: Coincidenze

Il 3 luglio 1971 a Parigi, Jim Morrison, poeta, cantante e leader del gruppo rock dei Doors, si spegneva a ventisette anni in circostanze ancora oggi non chiarite. Il referto ufficiale parlò di arresto cardiaco, ma, sebbene l’arresto cardiaco sia l’ovvia conseguenza della morte di chiunque, nessuna autopsia fu effettuata per individuare la causa esatta dello stop al cuore del Re Lucertola.
In assenza di certezze, la teoria più diffusa dai media dell’epoca fu un’overdose da miscuglio di alcol ed eroina. Secondo la compagna di Morrison, la stilista americana Pamela Courson, l'eroina fu da lui inalata per sbaglio credendola cocaina.

La mancata autopsia (nonostante i sospetti sulla droga e vista l’identità e la giovane età del morto), alcuni dubbi sul luogo dove sarebbe avvenuto il decesso, i funerali svoltisi in gran segreto nel cimitero di Pére Lachaise, il fatto che tra gli abusi del cantante non fosse nota l’eroina: tutti questi elementi fecero sì che ben presto, tra i fan inconsolabili e i giornalisti in cerca di scoop, si spargesse la voce che il leader dei Doors non fosse affatto morto, bensì avesse architettato una complicata messinscena per potersi defilare dalle luci della ribalta assieme a Pamela. Tra avvistamenti e smentite, questa leggenda metropolitana è andata avanti fino ai giorni nostri e ancora il 4 luglio 2008, in un’intervista al Daily Mail, il tastierista ex Doors Ray Manzarek confessava di chiedersi spesso se “…la sua morte sia stata un’elaborata sciarada”.

Accanto ai misteri della morte non mancarono le ipotesi di complotto, ovviamente messo in atto dalla fottuta CIA. Sì perché, quello di Jim Morrison fu il terzo decesso di una rispettabile tripletta comprendente anche quelli del chitarrista Jimi Hendrix e della cantante Janis Joplin, rispettivamente deceduti dieci e nove mesi prima. Troppo famosi gli scomparsi, soggetti attivi nel fermento post sessantotto, e troppo poco il tempo trascorso tra una morte e l’altra perché venisse evitato l’accostamento alla famigerata Agenzia statunitense.
Benché i sospetti fossero più che fondati, prove dell'intrigo non ne furono mai trovate.

Complotto o meno che fosse, oltre che per le comuni radici ribelli, i tre defunti furono affiancati anche per altro. Ciò che apparve evidente, persino al più scettico degli osservatori, fu un trio di coincidenze quanto meno inquietanti. Coincidenze che, per di più, riportavano anche alla dipartita di un quarto rocker, il chitarrista e cofondatore dei Rolling Stones Brian Jones, spirato esattamente due anni prima del frontman dei Doors.
Dal complotto alla maledizione il passo fu brevissimo.

La maledizione dei 27 anni: Quando le date sono importanti

Intorno alla mezzanotte tra il 2 e il 3 luglio 1969, nella sua fattoria dell’East Sussex, Brian Jones fu trovato dalla sua ragazza svedese, Anna Wohlin, immobile sul fondo della piscina. Non è chiaro se l’artista fosse già morto quando il corpo fu recuperato, di sicuro lo era all’arrivo del personale medico. Sul referto dell’autopsia alla voce “causa”, il coroner scrisse death by misadventure – morte per incidente –; di seguito annotò con diligenza che il fegato e il cuore del chitarrista erano pesantemente compromessi dall’abuso di alcol e droghe.

Anche la morte di Brian Jones fu subito avvolta dal mistero. Nel 1999 la Wohlin dichiarò che il chitarrista era stato assassinato dall'impresario edile Frank Thorogood, il quale stava ristrutturando la fattoria di Jones. In punto di morte Thorogood avrebbe confessato il suo crimine all’autista dei Rolling Stones, Tom Keylock, ma questi, successivamente, negò di aver ricevuto tale confidenza.

Sulla morte del musicista, Anna Wohlin ha poi pubblicato il libro The Murder of Brian Jones che, nonostante il titolo inequivocabile, non ha chiarito affatto la vicenda. Così come non l’hanno chiarita le numerose interviste rilasciate ai giornali da presunti testimoni rimasti anonimi.

Il 28 febbraio 1970, Brian Jones avrebbe compiuto ventotto anni.

Samarkand Hotel, 22 Lansdowne Crescent, è questa la residenza londinese dove James Marshall “Jimi” Hendrix, trascorse i suoi ultimi giorni.

Nelle prime ore del 18 settembre 1970, a settanta giorni esatti dal suo ventottesimo compleanno, il chitarrista mancino ispirato da Dio moriva affogato nel proprio vomito causato da un cocktail di alcol e tranquillanti. Mentre la causa della morte non è stata mai smentita, diversi sono stati invece i momenti in cui il decesso è stato collocato temporalmente: nottetempo nell’hotel, come asserito dalla polizia e dal personale dell’ambulanza che accorsero sul posto, oppure durante il trasporto in ospedale, forse per un infelice posizionamento della testa del cantante, secondo una delle versioni attribuite a Monika Dannemann, l’ultima fidanzata del chitarrista e ultima persona a vederlo vivo.

Negli anni successivi la Dannemann ha rilasciato diverse interviste contraddittorie in merito a quella notte, ma nonostante sia stata sospettata di omicidio dalle persone dell’entourage di Hendrix, la polizia inglese non l’ha mai formalmente accusata di nulla.

Poco più di due settimane dopo il decesso di Jimi Hendrix, il pomeriggio di domenica 4 ottobre 1970, Janis Joplin, una delle voci più sensazionali di tutti i tempi, doveva presentarsi negli studi della Sunset Sound di Hollywood per registrare la traccia vocale di una canzone che diventerà il suo epitaffio: Buried alive in the blues.

Quando non la vide arrivare, il manager del suo gruppo, John Cooke, andò a cercarla al Landmark Motor Hotel dove Janis alloggiava dall’agosto. Appena arrivato, Cooke notò che la Porsche con la carrozzeria psichedelica dell’artista era ancora nel parcheggio. Il cattivo presagio che lo sfiorò si materializzò all’interno dell’albergo: riversa a terra nella sua stanza, Janis Joplin giaceva stroncata da un’overdose di eroina.

Secondo Cooke, la rocker doveva essersi iniettata, inconscia del pericolo, una dose più potente del solito, così come sarebbe stato dimostrato dagli altri incidenti da overdose in cui incapparono diversi clienti riforniti dallo stesso spacciatore della Joplin.

Quel 4 ottobre, al ventottesimo compleanno di Janis Joplin mancavano solo tre mesi e diciassette giorni.

La maledizione dei 27 anni: Il Club "J"

Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison: quattro decessi innaturali, quattro coppie di iniziali con almeno una J, la stessa età, ventisette anni.

Ecco che dopo la morte di Jim Morrison, per la prima volta, sui media viene evocata la maledizione dei musicisti famosi e ventisettenni che hanno almeno una "J" tra le proprie iniziali. I colpiti dal maleficio vengono iscritti di diritto al Club J27.
Chi sarà il prossimo socio ammesso al circolo esclusivo?, si chiedono curiose le cassandre.

Il primo sospettato non può essere che Mick Jagger, ma fortunatamente per lui il 26 luglio 1971, compiendo ventotto anni, il cantante esce indenne dalla zona pericolosa. Ma per poco. Forse perché particolarmente antipatico, più probabilmente perché, come i suoi illustri colleghi appena defunti, è ritenuto dai benpensanti un male per la società, per cui, pur di non togliere il cantante dei Rolling Stones dalla lista dei “maledetti”, l’attenzione si sposta sulla sola lettera: la maledizione cambia bersagli e con lei il nome del gruppo che li accoglie, tolto il 27 è inaugurato il Club “J”. In un colpo solo vengono centrati due obiettivi: lasciare nel mirino del malaugurio Jagger e inserire accanto a lui John Lennon, un altro dei musicisti dell’epoca che definire scomodo è alquanto riduttivo.

Purtroppo, come sappiamo, alle 22 e 50 dell’8 dicembre 1980 la maledizione della J raggiunse davvero il genio di Liverpool alle spalle con quattro colpi di pistola esplosi da David Chapman, un suo fan al quale poco prima aveva autografato una copia dell’album Double fantasy.

Ma non fu John Winston Lennon il quinto membro del Club “J”, né fu l’ultimo.

Il 14 marzo 1972 la tessera n. 5 del club era stata già recapitata a Linda Jones, una cantante soul spentasi per coma diabetico nel riposo tra il matinee e lo spettacolo serale che doveva tenere all’Apollo Theater di New York.

Per alcuni anni l’ammissione al circolo è chiusa, poi, nel 1980 le porte vengono spalancate.

Il 23 marzo, in un incidente stradale perde la vita Jacob Miller, un artista reggae giamaicano che stava per partire in tour con Bob Marley and the Wailers.

Il 25 settembre muore un altro mito del pianeta rock, John Bonham. A 32 anni, il batterista dei Led Zeppelin affoga nel proprio vomito dopo essersi sbronzato più del solito.

A dicembre cade John Lennon, quindi il 1981 trascorre senza nuove ammissioni.
Il 5 marzo 1982 fa il suo ingresso al club John Adam Belushi, cantante e attore, protagonista indimenticabile in The Blues Brothers al fianco dell’inseparabile Dan Aykroyd. A 33 anni Belushi rimane ucciso da un’iniezione letale di speedball (eroina e cocaina assieme).

Passano cinque anni e il 21 settembre 1987, John Francis Pastorius III, noto come Jaco Pastorius, uno dei più grandi bassisti di tutti i tempi, viene pestato a morte da un buttafuori di un locale di Fort Lauderdale. Alcolista, tossicodipendente, sofferente per un disturbo bipolare, Jaco aveva 36 anni.

Il 12 agosto 1988 tocca a un’altra vittima dello speedball, Jean-Michel Basquiat, pittore newyorkese, amico di Andy Warhol e fondatore del gruppo punk Gray.

Un’altra pausa di alcuni anni e poi il circolo acquista un altro membro: il 1 febbraio 1995 scompare, letteralmente, Richey James Edwards, paroliere e chitarrista dei Manic Street Preaches, gruppo rock gallese. Nessuno ha mai scoperto che fine abbia fatto Edwards. Il suicidio dal Severn Bridge, ponte rinomato per essere stato spesso usato come trampolino, è solo una delle ipotesi. Dopo qualche anno di resistenze da parte della famiglia, il 23 novembre 2008 il musicista è stato dichiarato ufficialmente presumed dead.

Chi, senza dubbio, ha invece finito la sua storia proprio sotto a un ponte è Jeff Buckley. La sera del 29 maggio 1997, il cantante con una delle voci più emozionanti del panorama musicale americano decide di farsi un bagno senza togliersi né abiti né stivali nel Wolf River Harbour, un canale affluente del Mississippi vicino a Menphis. Canticchiando Whole lotta love dei Led Zeppelin nuota più volte avanti e indietro dalla riva ai piloni di un ponte dell’autostrada mentre un membro del suo gruppo insiste perché esca. Nel buio incombente, incurante alle esortazioni, un battello lo travolge facendolo annegare. Il corpo viene ritrovato una settimana dopo. Dall’autopsia non risultano né droga né alcol e il caso è archiviato come incidente.

La successiva vittima della maledizione è uno dei più famosi cantautori folk americani: Henry John Deutschendorf Jr., conosciuto col nome d’arte di John Denver. Appassionato di volo, il 12 ottobre 1997 Denver precipita nell’oceano Pacifico con uno dei suoi aerei. Doveva compiere cinquantaquattro anni.

Ancora silenzio per un po’, quindi la signora in nero bussa alla porta di John Graham Mellor, il leggendario vocalist dei Clash noto con lo pseudonimo di Joe Strummer. Il 22 dicembre 2002, quattro mesi dopo aver compiuto cinquant’anni, il favoloso interprete di London calling e Combat rock viene stroncato da un difetto cardiaco congenito non diagnosticato.

Cinque mesi dopo, il 25 maggio 2003, il velo della maledizione si posa su Jeremy Michael Ward, cofondatore del gruppo dub De Facto. Overdose di eroina.

Ultimo membro ammesso, per il momento, è nientepopodimeno che sua maestà Michael Joseph Jackson. Dato che per Jacko servirebbe un articolo a parte, qui ricordiamo solo: la data del decesso, il 25 giugno 2009, l’età, cinquanta anni, la causa della morte, presunta overdose da Propofol – un medicinale che dovrebbe aiutare a curare l’insonnia e, a quanto pare, ci riesce persino definitivamente –. Anche per la morte di Michael Jackson i misteri e le teorie di complotto si sprecano, resta il fatto che il fu re del pop è il diciassettesimo socio ammesso al Club “J”, cifra di tutto rispetto per una maledizione presa sul serio solo dagli svitati.

Ma la storia della maledizione, o meglio, delle maledizioni non finisce affatto con Michael Jackson, anzi, il bello deve ancora essere scoperto. Con un passo indietro.

La maledizione dei 27 anni: Il Club 27

Kurt Cobain era l'autore, voce e anima dei Nirvana, la band grunge di Seattle esplosa tra la fine degli anni '80 e i primi anni '90 dello scorso secolo. Di indole depressa e tossicodipendente, Cobain era sfuggito a un paio di overdose, l'ultima delle quali a Roma, un mese prima di morire.

Il 30 marzo 1994 il cantante si ricovera all'Exodus Medical Center di Los Angeles per disintossicarsi, ma già nella notte tra il 1 e il 2 aprile lascia di nascosto l'ospedale e torna a Seattle. Il 2 e il 3 aprile viene visto in diversi posti di Seattle, ma nonostante ciò né i suoi amici più intimi, né i suoi familiari sanno dov'è. Sua moglie, Courtney Love, per rintracciarlo ingaggia un investigatore privato.
Non servirà.

L'8 aprile un elettricista rinviene il corpo del cantante riverso a terra nel garage di casa Cobain sul lago Washington. L'autopsia accerterà che la morte sarebbe avvenuta il giorno 5 per un colpo di fucile auto-inflitto alla testa.

Tra le ultime parole scritte dal cantante dei Nirvana nella lettera trovata accanto al suo cadavere è citata la strofa, inequivocabile, di una vecchia canzone di Neil Young: It's better to burn out than to fade away, è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente.

La difficile storia di uno tra gli artisti più apprezzati e controversi del panorama rock mondiale terminava quindi con un suicidio eclatante.
Impossibile allora ignorare il numero degli anni vissuti da Cobain sulla Terra: ventisette, proprio come quelli del poker d’Assi calato dalla Grande Consolatrice a cavallo del 1970 e di altri tre membri del Club “J”.

Il sospetto che tra i musicisti contemporanei la morte avesse da sempre cacciato seguendo una traccia privilegiata, tessendo la sua tela con un filo diverso e molto più proficuo della sola lettera J, diviene quasi certezza: è il Club 27 il circolo più esclusivo e maledetto.

Per gli amanti dell’occulto la parola casualità viene cancellata definitivamente dal vocabolario. La ricerca a ritroso, iniziata subito dopo il decesso del cantante di Seattle, rivela l'esistenza di altri trenta musicisti deceduti prima di lui, come lui e gli altri citati, a ventisette anni esatti. Superfluo rivelare che dal 1994 a oggi la lista degli appartenenti al Club 27 – lista che varia di fonte in fonte – si è ulteriormente incrementata.
Noi siamo arrivati ad archiviare quarantaquattro vittime.

Il primo a iscriversi, come abbiamo visto, fu Alexandre Levy, l'ultima, Amy Winehouse. Il 23 luglio 2011 la cantante è stata trovata morta nella sua casa di Camden Square nel borough di Camden a nord di Londra, in circostanze ancora tutte da chiarire.

Nel libro dei soci iscritti al Club 27 c’è un intero pezzo d’umanità.

Umanità sfortunata? Forse.
Qualcuno parla ancora di una semplice bizzarria statistica, altri si rifanno alla casualità, molti gridano al trucco: volendo, dicono, possiamo trovare qualsiasi tipo di coincidenza strana, sia per la morte dei cantanti che per quella degli attori, dei postini o dei piloti di Formula 1.

Noi preferiamo attenerci ai fatti e riteniamo che la media di un morto ogni due anni e mezzo sia sufficiente a creare qualche apprensione.
E sospetto.


Le maledizioni non esistono, certo, e questa non sappiamo neanche da chi sia stata lanciata, però... se siete giovani e suonate uno strumento oppure cantate o scrivete testi per canzoni, nell'anno che correrà tra il vostro ventisettesimo e il vostro ventottesimo compleanno fate attenzione, il Club 27 è sempre aperto.


La maledizione dei musicisti di 27 anni: il Club 27 e il Club J
Articolo scritto da: Luca Pagnini
Pubblicato il 24/07/2011

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