La Fuente Magna è un antichissimo vaso scoperto in Bolivia, ricco di incisioni misteriose, spesso citato come la Stele di Rosetta del sudamerica, è uno degli OOPArt più famosi
Il primo a rimettere dopo secoli le mani sopra la Fuente Magna fu un semplice ignorante contadino boliviano, che la ritrovò per puro caso all'interno delle proprietà della Hacienda Chua, la fattoria dove lavorava a pochi chilometri dal lago Titicaca.
Il suo datore di lavoro, il capo della famiglia Manjón proprietaria della hacienda, non sapeva proprio che farsene di quello strano largo vaso tutto crepe e incisioni, ma decise di contattare un suo vecchio amico archeologo per avere un parere a riguardo.
Fu così che Max Portugal Zamora giunse alla fattoria dell'amico Manjón, lontana quasi un centinaio di chilometri da La Paz. L'uomo rimase affascinato dall'oggetto, così simile ai tanti recipienti per uso cerimoniale che aveva esaminato e catalogato in carriera eppure così diverso. C'era qualcosa in tutte quelle incisioni, decorazioni e bassorilievi che lo ricoprivano sia all'interno che all'esterno che a suo parere meritava grande attenzione e di essere studiato.
Zamora portò il vaso nel museo di La Paz e lo restaurò, spendendo poi numerose, lunghe e inconcludenti ore nel tentativo di tradurre le parole incise nella sua parte interna. Sconfortato si diede infine per vinto e smise di provare.
Il Vaso Fuente, come anche verrà chiamato in futuro, finì così banalmente con l'essere conservato insieme a tanti altri oggetti in uno dei magazzini del museo: lì rimase per decenni, completamente dimenticato.
Circa 35 anni dopo riemergerà dalle polveri di quel magazzino per diventare in breve tempo uno degli Oopart più studiati e fonte di teorie alternative sulla storia del sudamerica.
1995, La Paz. Al museo archeologico si procedette a inventariare e catalogare tutti i reperti presenti nella struttura, compresi ovviamente quelli stivati nei magazzini. Una serie di domande si fece largo nella mente di chi si occupò di questo compito: ma da dove viene questo vaso così ricco di incisioni e decorazioni interne ed esterne? Qual è la sua storia?
Pochi anni dopo lo studio della Fuente Magna venne affidato a Freddy Arce e Bernardo Biados che ricercarono informazioni sull'oggetto arrivando a investigare fin nei territori a nord del lago Titicaca, a Chua.
Del ritrovamente del manufatto avvenuto quarant'anni prima non se ne ricordava quasi nessuno, tranne un vecchio ormai centenario che non solo lo riconobbe da una foto, ma spiegò ai due ricercatori che "ai suoi tempi" attorno al villaggio di oggetti simili ne erano stati trovati parecchi. Tutti erano stati poi utilizzati per le funzioni più disparate (anche come mangiatoie per i maiali) per poi sparire nel nulla nel corso dei decenni fino a essere del tutto dimenticati.
Arce e Biados tornarono a dedicarsi al Vaso Fuente, certi di avere tra le mani un reperto di notevole importanza: un'analisi approfondita del reperto li fece giungere alla conclusione che esso risalisse a circa il 3.500 a.C. e che allora servisse per cerimonie religiose purificatorie.
E poi c'erano le decorazioni: bassorilievi zoomorfi nella parte esterna, e una serie di scritture e incisioni nella parte interna, che sarebbe stato utilissimo tradurre, cui fa compagnia una solitaria figura zoomorfa.
Le conoscenze di Arce e Biados erano limitate in tal senso. I due scoprirono che le scritte all'interno della Fuente Magna erano in due lingue differenti, una molto antica ma a loro sconosciuta e una, conosciuta, simile a quella usata presso le popolazioni di Pukara.
I due ebbero quindi una fantastica idea: cercare l'aiuto di qualcuno che in fatto di lingue ne sapesse più di loro. Questo qualcuno fu Clyde Ahmed Winters, noto epigrafista nordamericano, che fu lieto di collaborare.
Winters non solo riconobbe la lingua sconosciuta identificandola come un idioma proto-sumerico, ma affermò di averla vista più volte utilizzata su oggetti e manufatti prodotti in Mesopotamia.
Winters andò oltre. Accostò questo proto-sumerico alla scrittura proto-elamita, poi la confrontò con altri sistemi di scrittura utilizzati nel 3000-2000 a.C., in particolare all’idioma Libico-berbero utilizzato nel Sahara 5.000 anni fa. Partendo da queste considerazioni e da un complesso sistema di comparazioni linguistiche, Winters fu in grado di tradurre l'iscrizione utilizzando la lingua sumera.
Le ricerche sul vaso continuarono incessantemente, nuove teorie e certezze fiorirono.
La prima riguarda il singolo bassorilievo zoomorfo all'interno dell'artefatto, simile nella forma a un noto simbolo di fertilità come la rana, che secondo alcuni rappresenterebbe la dea sumera Ni-ash, la divinità dalla quale si generarono il Ciele e la Terra.
La seconda ha a che vedere con i simboli posizionati ai lati di questo bassorilievo e vicini alle scritte proto-sumeriche: decifrarli è stato impossibile ma si è potuto attribuirli con certezza alla lingua quellca, un idioma usato nella civiltà Pukara.
La terza riguarda i bassorilievi zoomorfi scolpiti nella parte esterna della Fuente Magna: simili a un pesce misto a serpente richiamerebbero la cultura di Tiwuanaku.
Il Vaso Fuente veniva quindi utilizzato come oggetto sacro per cerimonie legate al culto della fertilità?
I ricercatori sostengono che è molto probabile.
L’incongruenza che ha fatto rientrare questo reperto nella categoria degli OOPArt consiste nel fatto che un vaso appartenente alla cultura sumera sia stato ritrovato a 3800 metri d’altezza sul livello del mare, distante decine di migliaia di chilometri dalle terre dove i Sumeri risiedevano.
Presupponendo che il manufatto sia originale e appartenente proprio alla cultura sumera, a questo punto l’archeologia e la storia dell’antica America Latina sarebbero parzialmente da rivedere.
Come sarebbe possibile tuto questo?
La spiegazione si troverebbe nelle grandi capacità di commercio e navigazione dei Sumeri. Per fare affari si spinsero con le loro imbarcazioni per i canali del Tigri e dell’Eufrate così come in mare, portando merci e conoscenze a tutti popoli che incontravano.
Gli studiosi sono inclini a pensare che Fenici e Cartaginesi conoscessero l'esistenza delle Americhe e che abbiano ereditato questa conoscenza proprio dai Sumeri.
La compravendita e lo scambio di oro, tessuti, rame e incenso era il motore instancabile degli spostamenti di questo popolo: che nel terzo millennio a.C. avrebbero utilizzato come punto di riferimento per gli spostamenti le loro imbarcazioni (capaci di trasportare alcune decine di tonnellate di merce) un porto sull'isola di Bahrein.
L’archeologo David Rohl suggerisce che l'antica cultura egizia stessa potrebbe essere stata fondata dai Sumeri, poiché sulle pareti di grotte del deserto orientale egiziano sono state trovate immagini dipinte di navi fatte di fasci di lunghe canne, come quelle che costruirono e utilizzarono i Sumeri. Questa tipologia di imbarcazione si trova dipinta anche sulle pareti di alcune grotte in Bolivia.
I Sumeri, inoltre, possedevano una cultura molto simile a quella degli Uru, un popolo che viveva sull'altopiano boliviano, lungo l'asse acquatico del fiume Desaguadero, tra il lago Titicaca e il Lago Poopó, albergati su isole galleggianti fatte di fasci di canne legate assieme.
Secondo la storia e l'archeologia ufficiali la regione Boliviana non conobbe forme di civiltà evolute fino alla seconda metà del secondo millennio a.C., periodo al quale viene fatta risalire la prima fase di Tiwanaku (1200 a.C. circa), ma da tutte le considerazioni legate alla Fuente Magna nasce quindi una nuova teoria sul Sud America, una teoria che vede i Sumeri come grandi protagonisti nella civilizzazione di questa parte del mondo.
I Sumeri nel corso del terzo millennio a.C. circumnavigarono l’Africa, giungendo fino alle isole di Capo Verde. Lì, bloccati da dei venti contrari che le loro imbarcazioni non potevano gestire nè sfruttare, furono costretti a navigare verso ovest arrivando quindi per puro caso in Brasile.
Nuovo paese, nuove ricchezze, nuove possibilità di commercio.
I Sumeri fecero quello che sapevano fare meglio: andarono alla ricerca di metalli preziosi, clienti e affari.
Partendo dalle coste dell’attuale Piauì o Maranhao si lanciarono all'esplorazione del continente, navigando il Rio delle Amazzoni e i suoi affluenti principali, giungendo infine all'all’altopiano andino attorno al 3000 a.C.
Una volta lì si mischiarono ai popoli locali, Pukara e Colla, influenzandoli dal punto di vista religioso e lessicale.
Tutte teorie senza prove?
Altri reperti archeologici, come il monolito di Pokotia, suggeriscono di no.
Appare evidente che la civiltà antica in Sud America è molto più remota e estesa di quanto si ritenesse ma, purtroppo, a causa della mancanza di fondi molti siti non sono stati affatto studiati oppure solo in parte esplorati. Tuttavia è ormai riconosciuto in modo unanime che esistesse una civiltà in tutta l'Amazzonia, dove fino ad alcuni anni fa si presupponeva non vi fossero insediamenti umani.
La datazione della Fuente Magna non fa che rafforzare questa tesi e spinge le origini della civiltà sudamericana a parecchi millenni fa (parrebbe proprio che nel IV millennio a.C. ci furono colonie sumere nel centro-sudamerica), senza contare che ancora molto rimane da scoprire su questo enigmatico vaso che già ha fatto riscrivere un capitolo della storia della Bolivia, del Sud America e delle civiltà più antiche conosciute.
Sarà possibile un giorno stabilire con certezza una mappa precisa dell'evoluzione umana? Solo il tempo ce lo dirà.
Fonti:
Yuri Leveratto, La Fuente Magna, eredità dei Sumeri nel Nuovo Mondo
AAVV, The Fuente Magna of Pokotia Bolivia
J.M.Allen, Fuente Magna, Rosetta stone of the Americas
Mario Montano Aragón , Investigations of Bolivia Fuente Magna and the Monolith of Pokotia
http://www.world-mysteries.com/sar_8.htm
http://www.esopedia.it/index.php?title=Vaso_di_Fuente_Magna
http://www.webcitation.org/query.php?url=http://www.geocities.com/webatlantis/fuentemagna.htm
http://www.reocities.com/Tokyo/Bay/7051/Awen3a.htm
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