Libri > Interviste > Davide Mana ha intervistato per LaTelaNera.com Dario Tonani, pluripremiato scrittore in uscita oggi con WAR - Weapons. Androids. Robots.
Il problema, nell'intervistare Dario Tonani in occasione dell'uscita del suo recente WAR - Weapons. Androids. Robots., è cercare di evitare di scadere in quelle atmosfere da marchetta orribile che avviliscono tanto l'autore quanto l'intervistatore. E poi, che diavolo, avere a portata di mano Dario Tonani... il desiderio di spremere da lui idee, opinioni e confidenze su una quantità di aspetti della narrativa è forte.
Bisognerebbe sequestrarlo per un paio di giorni, e martellarlo di domande. Bello, ma improponibile - ed abbastanza spiacevole per la vitt... ehm, l'autore. Per evitare di sbrodolarmi - e di importunare Dario all'eccesso - mi impongo perciò di stare nel limite di otto domande. E, con un ringraziamento all'autore per la sua disponibilità, andiamo a cominciare...
[La Tela Nera]: Spulciando il tuo catalogo è evidente la tua lunga frequentazione del genere - con una palese predilezione per il fantastico, ma senza trascurare il poliziesco e il noir. Una frequentazione che è stata evidentemente apprezzata dai cultori del genere, vista la nutrita serie di premi. A questo punto, tuttavia, la domanda ovvia è: come si sta, da scrittore di genere, in Italia? Esiste una sensazione di isolamento culturale, di servire una comunità ristretta? Ci si sente ancora chiedere "ma quando scriverai un romanzo vero"? O le cose stanno migliorando?
[Dario Tonani]: Colpo sotto la cintura per cominciare, eh Davide! Beh, ti dirò che ho smesso di preoccuparmi del fatto di essere etichettato con questo o quel marchio. Ricordati da dove provengo - la fantascienza - per cui ogni promozione ad “autore di genere” è per me una conquista sul campo. Di cui peraltro vado molto orgoglioso. In realtà, non miro affatto alla reputazione di scrittore mainstream, di norma i loro libri li leggo col contagocce e non mi divertono granché. Editorialmente parlando, in Italia professarsi autori di genere è come fare coming out: trovi sempre qualcuno che storce la bocca e ti guarda con spocchiosa diffidenza.
Isolamento culturale, dici? In parte sì, ma sempre meno di una ventina d’anni fa. Basta guardare gli scaffali delle librerie e magari scorrere la classifica dei bestseller per accorgersi che certe distinzioni/etichette non hanno più ragione d’essere, il mercato è molto più osmotico di quanto lo fosse un tempo e di quanto qualcuno voglia farci credere. Quando scriverò un “romanzo vero”? Bella domanda: quando non mi divertirò più a fare quello che faccio ora.
[LTN]: E parlando del servire una comunità - hai un lettore tipo, un destinatario ideale della tua narrativa? Ti risulta che coincida coi tuoi lettori reali? O non hai un bersaglio specifico, in mente, quando scrivi?
[DT]: No, non ce l’ho. Sono un apolide dei generi. Soprattutto a livello di racconto ho differenziato molto i miei target, scrivendo SF, horror, fantasy, thriller, noir, gialli. Mi considero ancora nella fase in cui cerco di smarcarmi da certe etichette onestamente un po’ strettine. Non so quanto durerà. Circa i miei lettori reali, ho scoperto che ogni opera tende ad avere i propri: la fantascienza - come in genere le action stories - rimane essenzialmente di pertinenza maschile, mentre basta allontanarsi di qualche passo, con lo steampunk, per scoprire che i lettori sono soprattutto lettrici. Ah, recentemente ho anche scritto una storiella d’amore (per l’ultima antologia “365” di Delos), ma in realtà - era inevitabile! - volano sberle più che baci!
[LTN]: Ancora sulla scrittura, si dice che per scrivere bene, bisogna imparare (e rubare) da quelli bravi. Quali sono i tuoi autori di riferimento, nei generi che frequenti? Cosa hai imparato (o rubato!) da ciascuno di loro?
[DT]: Scrivere e rubare sono pressoché sinonimi: dal punto di vista inconscio, intendo. È innegabile che quando leggiamo una buona storia, in qualche modo ce ne appropriamo. O meglio, la chiediamo in prestito per mai restituirla. L’unica forma di compensazione che siamo disposti a riconoscere all’autore è il parlare bene del suo libro, contribuendo a diffondere la sua moneta letteraria ed emotiva. Ma sto divagando, tu vuoi dei nomi, vero Davide? Eccoli allora: Cormac McCarty, Philip K. Dick, James G. Ballard, Richard K. Morgan, Michael Marshall Smith, Jonathan Lethem, Maurice G. Dantec, Jeff Noon, Chuck Palahniuk, tutta gente ben radicata nella narrativa di genere, ma capace con la propria impronta di andare oltre gli steccati. Più di qualsiasi etichetta li unisce la parola “ibridazione”, termine che ha improntato anche la mia scrittura.
Cos’ho imparato da ciascuno? Il coraggio di “pasticciare con generi diversi”, il tratto personale e in ultima analisi il fatto che a prescindere da quanto li ami la loro chiave non apre la mia serratura. Quindi che furto è?
[LTN]: E veniamo a WAR. Nelle due storie contenute nell'ebook (pubblicato nella collana Raggi della casa editrice Mezzotints Ebook e acquistabile presso il suo eStore), la tecnologia è ostile all'uomo, ma la responsabilità di tale ostilità resta saldamente nelle mani degli uomini. Al di là delle ovvie scelte narrative, credi davvero che la nostra cultura possa avere delle difficoltà ad usare la tecnologia in maniera costruttiva, e non distruttiva?
[DT]: Il rapporto tra uomo e tecnologia è un mio vecchio pallino, argomento d’innumerevoli storie più o meno lunghe. Ed è uno dei pilastri portanti sui quali si regge da sempre la fantascienza. Per parte mia, narrativamente parlando, non trovo affatto intrigante che l’uno e l’altra vadano d’amore e d’accordo, com’era invece in tanta SF “solare” e positivista d’antan. Sono le derive che m’interessano, i deragliamenti, le frizioni: la macchina che prende coscienza di sé e si ribella utilizzando le stesse motivazioni e le stesse armi dei suoi creatori. In realtà, in WAR come in tante altre storie in cui mi cimento con lo stesso tema, non ho esplicitato a chi siano da imputare le colpe, in fondo non m’interessa: di punto in bianco l’uomo si trova a fronteggiare una minaccia che germoglia dove attecchisce il peggio di tutto, la guerra. Non venirmi a parlare di pace in due storie sulla guerra.
[LTN]: E ancora - l'inglese China Mieville spiazzò parecchi intervistatori quando affermò che il suo intento, nello scrivere il suo romanzo più popolare, non era quello di costruire ardite metafore, ma solo di scrivere un bel romanzo pieno di mostri. Nelle storie di WAR, l'azione e la suspance si affiancano a riflessioni più profonde sulla natura del male, e sull'uso e abuso della tecnologia. Quale di questi due aspetti - divertimento o metafora - era al centro del tuo progetto quando hai scritto queste due storie?
[DT]: Mieville è la prova provata che gli scrittori di genere sono personcine a modo, magari anche fieri del loro mestiere. E non intellettuali con la puzza sotto il naso, convinti di cambiare la coscienza delle persone con una manciata di pagine… La guerra è un pozzo buio di nefandezze; accanto però ai sentimenti peggiori c’è comunque spazio per gli slanci più nobili e sinceri. Poliarmoidi, la seconda storia di WAR, è una struggente storia di amicizia tra due uomini di età molto diversa, che il destino ha voluto mettere di fronte a qualcosa d’imprevedibile e mostruoso. Ebbene, in mezzo a un diluvio di fuoco, questo “qualcosa” è anche capace di tirar fuori il meglio da entrambi. E pensare che se volessimo fare una classifica delle mie storie in cui si spara più pallattole, Poliarmoidi vincerebbe a mani basse… Ciò detto, credo di poter affermare che almeno in questo racconto divertimento e metafora siano andati a braccetto. Quanto a Necroware il discorso è un po’ più complesso, perché lo scenario è molto più ampio sia dal punto di vista narrativo che temporale: i soldati-zombie di cui si parla non si sa da dove vengano, sono un prodotto della guerra, scorie purulente che galleggiano in un brodo di culture infette.
[LTN]: Per l'edizione Mezzotints di WAR, veniamo informati che "i racconti sono stati ampiamente revisionati". In cosa consiste questa revisione? Cosa è cambiato, e perché?
[DT]: Ogni storia, a distanza di tempo, dovrebbe rifare il “bollino blu” della revisione. Dopo ciascuna lettura è innegabile che venga voglia di modificare qualcosina, magari anche solo un aggettivo, un verbo, una battuta di dialogo. E per fortuna! Vuol dire che l’autore non è rimasto fermo a come avrebbe scritto due o dieci anni prima. Spesso si tratta solo di rinfrescare il testo, di aggiornarlo sulla base del tempo che ha portato qualche capello bianco in più sulla testa dell’autore. E poi ogni revisione che si rispetti passa attraverso gli occhi di un nuovo editor, che con la propria sensibilità segnala, suggerisce, migliora… Permettimi nell’occasione di rivolgere un plauso e un grazie a David Riva, che mi ha coadiuvato nell’opera di revisione. I cambiamenti sono stati pochi, ma tutti credo in meglio e comunque concordati.
Una curiosità: l’editor della prima edizione Necroware, il grande Gianfranco Nerozzi - in passato ha suonato in una rock band - chiese a ogni autore d'inserire nel proprio racconto l'accenno a un brano musicale. Io scelsi The Rockafeller Shank del Dj, produttore discografico e beatmaker inglese Fatboy Slim, all’epoca molto in voga, ma che magari adesso pochi ricordano. Il brano, ripetuto ossessivamente nella testa del protagonista del racconto, divenne in qualche modo la colonna sonora dei Militech e diede la misura della loro inguaribile follia di zombie e di soldati votati a morire e morire e morire, per risorgere ogni volta...
[LTN]: Un tuo racconto sta per essere pubblicato sulla rivista digitale Altrisogni. Come l'hai conosciuta? Come è giunta la pubblicazione?
[DT]: Conoscevo ovviamente la rivista per averne scaricato un paio di numeri, così come conoscevo i le sue colonne portanti, Vito Di Domenico e Christian Antonini. Altrisogni è un brand decisamente noto a chi bazzica in giro per la rete, sinonimo di qualità e ottimo canale di promozione per gli autori italiani. Quanto al racconto, è stato il frutto di un gradito invito da parte di Vito e Christian, una sorta di wild card che Altrisogni mi sembra abbia cominciato a lanciare dal numero scorso. Il racconto che sarà pubblicato a breve s’intitola Incroci ed è una storia scritta a quattro mani con una giovane e brava scrittrice napoletana, Claudia Graziani. Lo leggerete e spero che mi facciate sapere, ci tengo, anzi ci teniamo…
[LTN]: Domanda ovvia, probabilmente, e inevitabile: sei un autore che ha visto i propri lavori pubblicati sia in cartaceo che in formato digitale, sia da majors che da piccoli editori. WAR, la tua più recente uscita, è un ebook che riprende due storie già apparse in cartaceo: come ti poni nel dibattito "carta vs bits", e più in generale, come vedi lo stato dell'editoria di genere, sia dal punto di vista tanto dell'autore che del lettore? Come sarà, il futuro?
[DT]: Questo è il mio nono ebook, di cui solo un paio sono state mini antologie di autori vari, per cui mi considero piuttosto… esposto su questo fronte. E devo confessare che ci credo alla grande. Sono convinto che il poter fruire di un testo su un monitor/display possa avvicinare i giovani alla lettura, e Dio sa quanto ci sia bisogno di ricambio generazionale specie tra i lettori di fantascienza.
Parlavo prima del fatto che all’epoca della versione cartacea di Necroware Nerozzi chiese d’inserire un brano musicale nel racconto, oggi quella canzone è diventata un link sulla pagina del mio sito, e la si può ascoltare come colonna sonora là dove si legge il racconto. Magia che la carta non avrebbe mai potuto fare e i tablet sì. Certo, i lettori nativi digitali credo che siano appena arrivati alle elementari, ma il domani e lì, nei vari iPad e Galaxy e negli eReader. Fermo restando che il passaggio al digitale sta modificando radicalmente sia il modo di leggere sia il modo di scrivere, a tutto vantaggio delle storie di agile fruibilità, racconti in primis.
Anche Mondo9, il mio romanzo più recente uscito qualche settimana fa per Delos Books, è diventato in un certo senso un progetto multipiattaforma: dal digitale è passato alla carta, ma si trascina dietro la coda delle bellissime immagini disegnate in esclusiva da Franco Brambilla, copertinista di Urania, che su un libro tradizionale non avrebbero potuto trovare lo spazio che meritano.
Grazie della chiacchierata, Davide, date le premesse ne sono uscito ancora intero. Alla prossima!
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